quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Martedì 24 MARZO 2015
Se il medico va in crisi/2. Seconda puntata della nostra inchiesta sulle difficoltà della professione e sulle soluzioni per uscire dall’impasse

In questa seconda tornata abbiamo sentito i pareri e le proposte di Giampietro Chimenti (Fimp); Carmine Gigli (Fesmed); Francesco Lucà (Snr); Pina Onotri (Smi); Giovanni Torluccio (Uil Fpl); Angelo Testa (Snami) e Alessandro Vergallo (Aaroi Emac). (Vedi prima puntata).

La loro busta paga “vale meno” di quella dei loro padri ma anche dei “fratelli” maggiori. Subissati dalle denunce dei pazienti. Preoccupati per le nuove norme sull’accesso al Ssn che potrebbero vedere nascer una nuova categoria di medici di serie B posti fuori dalla dirigenza. Umiliati dal blocco del contratto che dura da cinque anni. Stroncati dall’azzeramento del turn over. Beffati dal miraggio del “governo clinico” promesso da anni ma ormai nel dimenticatoio dei lavori parlamentari. E poi "l'assedio" delle altre professioni. Questo soprattutto per i dipendenti.
 
Per i convenzionati stessa umiliazione per una convenzione che forse si farà ma a costo zero e dallo spettro di una riforma delle cure primarie della quale dovrebbero essere protagonisti ma che stenta ancora a decollare.
 

Insomma il medico italiano è in crisi. Ma è possibile uscirne? E come? In questa seconda puntata della nostra inchiesta abbiamo sentito: Giampietro Chimenti (Fimp); Carmine Gigli (Fesmed); Francesco Lucà (Snr); Pina Onotri (Smi); Giovanni Torluccio (Uil Fpl); Angelo Testa (Snami) e Alessandro Vergallo (Aaoroi Emac).
 
Giampietro Chiamenti (Fimp): "Mancanza risorse non sia alibi dietro cui nascondersi per evitare necessarie modifiche a sistema". Il problema di fondo "è indubbiamente che il medico negli ultimi anno ha registrato un calo vertiginoso della propria autorità professionale, andando incontro a problematiche nuove e legate soprattutto al rapporto con le altre professioni Nel complesso - sottolinea -  sia nel pubblico che a livello di convenzionamento è venuta meno la distinzione riguardante i ruoli specifici".
Per quanto concerne la pediatra di famiglia "è progressivamente venuto meno il rapporto tra il convenzionato e le istituzioni. Come pediatri di famiglia notiamo una diminuzione della concertazione, quindi fatichiamo a comunicare quale può essere il nuovo ruolo del pediatra all’interno del processo di riorganizzazione delle cure che sta scontando grossi rallentamenti e il blocco delle trattative. Ci siamo persino trovati - osserva -  a essere messi in discussione perché non è stata effettivamente riconosciuta la specificità della nostra funzione e della tipologia di compiti che ci spettano; al contrario, siamo stati confusi all’interno della riorganizzazione generale del modello di cure".
 
Il recente documento sulla medicina convenzionata garantisce però importanti passi avanti "anche se non risolve tutti i problemi e necessita di essere declinato secondo aspetti più pratici Il nodo importante è però che il testo ci riconosce una specificità vera e propria dalla medicina generale ed è esattamente ciò che chiedevamo da tempo. Nel complesso troppo spesso la penuria di risorse, che effettivamente esiste, è strumentalizzata ad arte per effettuare quei ritocchi che sarebbero indispensabili per il sistema. Ho l’impressione - conclude -  che a volta la mancanza di risorse sia un alibi dietro cui nascondersi, soprattutto per quanto riguarda la riorganizzazione tra ospedale e territorio. Anche perché servono alcune modifiche, ma non è necessario stravolgere il modello". 
 
Carmine Gigli (Fesmed): "La crisi del medico riflette quella del Ssn. La sanità è diventata un 'postificio' per le nomine politiche". Per il presidente Fesmed la figura del medico è in crisi. "Il medico è in crisi perché riflette la crisi che sta attraversando l'intera sanità italiana. E' il Ssn ad essere in crisi e questo non può non riflettersi sul medico che, ciononostante, è portato a voler assicurare comunque le migliori cure per i propri assistiti".

Le cause di tutto questo sono molteplici. "Innanzitutto va considerato il periodo di crisi che ha investito il Paese. Per quanto riguarda in particolare la sanità, si devono aggiungere i danni creati dalla riforma del Titolo V. Danni che non verranno risolti dall'attuale riforma in corso. Si lascia ancora troppo spazio alle Regioni in materia, spazio che viene utilizzato per fare 'scorrerie finanziarie'. La sanità è diventata un 'postificio' utile a fini elettorali per sistemare gli 'amici degli amici'. Un esempio di tutto questo sono le metodologie utilizzate per la scelta dei responsabili di strutture complesse: siamo arrivati al punto che è il medico stesso a curare meno la sua preparazione clinico-professionale e più la sua figura pubblica ed i suoi rapporti con la politica perché sa che è in base a questo che verrà scelto. Ovviamente tutto questo ha una ricaduta sui pazienti in termini di qualità dell'assistenza".

Ma Gigli non si ferma qui. "Andrebbe rivista anche tutta la formazione. Troppo spesso non vi sono adeguate competenze a livello di docenti. Gli stessi specializzandi escono dagli atenei senza aver eseguito il numero minimo di interventi previsti dalle direttive europee e senza essere in grado di agire in piena autonomia". A tutto questo si aggiunge anche l'aspetto economico: "I medici non solo non vengono pagati adeguatamente, ma devono anche lavorare di più senza che questo gli venga riconosciuto".

Quanto alle possibili soluzioni, per il presidente Fesmed "non si vedono i presupposti per uscire da questa crisi". "Le Regioni - ha proseguito - vogliono continuare a mantenere le loro prerogative sulla sanità e il Governo non ha la forza necessaria per opporsi. Inoltre, non c'è la volontà politica di voler sottrarre i medici alla 'tagliola' dei magistrati: manca la volontà politica di intervenire una volta per tutte per risolvere la questione della responsabilità professionale".

Dunque, come uscirne? Per Gigli lo sbocco di tutto questo è inevitabile: "Prima o poi anche in Italia noi medici dovremmo unirci e scendere in piazza alzando la voce, come hanno già fatto i nostri colleghi francesi".
 
Francesco Lucà (Snr): “Troppi lacciuoli, abbiamo perso il nostro ruolo”. Il medico è in crisi? Certamente. Le cause? Tutta quella serie di norme e di laccioli che  hanno reso la professione medica non più appetibile e non più al centro del sistema. Per Francesco Lucà, fino a poco tempo fa segretario nazionale Snr e ora presidente della Fondazione dei radiologi, il sistema politico ha distrutto il ceto medio dove i medici sono sempre stati, e così “si è perso quel ruolo identificativo nella società che era il fulcro di un certo modo di essere”. “La perdita di ruolo della professione medica – ha detto – ha avuto una ricaduta importante non solo sul fronte economico, aspetto rilevante ma non dirimente, ma nei rapporti con i cittadini ormai formalmente insoddisfatti al punto di puntare il dito contro i medici, anche se privi di colpa, se qualcosa non funziona”.

Ma il dato estremamente negativo, secondo Lucà, è il voler sostituire alcune funzioni sanitarie proprie medico: “Il comma 566 crea delle lotte interne che non dovrebbero esserci. Siamo arrivati al punto che il cittadino non sa a chi rivolgersi. E lo dico da radiologo, spesso i pazienti identificano nel tecnico di radiologia il medico. Questo non va bene: massimo rispetto per la loro importante professione, ma non ci può essere una sostituzione delle competenze. Credo che solo il rispetto reciproco porti al miglioramento delle situazioni, le  prevaricazioni non servono  a nulla. Soprattutto è inaccettabile che dietro queste operazioni di sia solo una mera valutazione economica per ottenere lavoro a minor costo”.

Possibilità di trovare soluzioni? Lucà è pessimista: “Dopo anni di riunioni e confronti non mi sembra che ci sia una risposta da parte del Governo alle necessità della categoria e ai bisogni dei cittadini”. Bisognerebbe invece lasciare il governo della “cosa” medica ai medici e “non è una frase fatta –ha aggiunto – le responsabilità si devono misurare rispetto a quello che veramente viene consentito di gestire. Riportiamo la sanità allo status di punto cardinali del nostro Paese. Si parla tanto di scuola, ma non mi pare che si tenti di fare la stessa cosa in sanità. Stiamo facendo decadere un sistema che funzionava, bisognerebbe avere il coraggio di dire ai cittadini che non si può più dare tutto a tutti e si troviamo alterative valide”.
 
Pina Onotri (Smi): “Puntare sul contratto unico”. "La situazione è tragica”. Non ha dubbi il segretario nazionale dello Smi, Pina Onotri nel definire lo status della professione medica oggi. “Il rinnovo dei contratti della dirigenza medica è bloccato da anni e non si riesce ad affrontare il problema del precariato. Oggi ci sono poche garanzie a tutela del lavoro medico. Basta pensare a tutti i giovani medici che emigrano per lavorare perché non siamo capaci di capitalizzare i nostri investimenti e forniamo agli altri paesi una manodopera ad alto tasso formativo a costo zero. Non mi sembra un affare. È ora di un Patto generazionale”. E poi c’è il tema delle nuove competenze dove il segretario Smi ha le idee chiare. “La questione ci sembra fortemente improntata al risparmio economico e per questo siamo contrari a spostare su altre professioni competenze che sono prettamente mediche”. C’è poi il capitolo del rinnovo dei contratti della medicina convenzionata dove il segretario Smi ribadisce la contrarietà al fatto che siano isorisorse. “Pure le rivoluzioni vanno finanziate” e poi ricorda come “in questi anni si è tagliato tanto sull’ospedale, ma questi risparmi, ed è sotto gli occhi di tutti, non sono stati reinvestiti sul territorio”. 
 
Altra questione riguarda la formazione. “Quella dei medici di medicina generale deve diventare una specializzazione con percorsi condivisi università-territorio” e poi occorre allargare le tutele. “Penso alla maternità per le giovani colleghe convenzionate”. Guardando al futuro Onotri ribadisce i sentieri che vanno percorsi. “Occorre ridare un ruolo forte al Ministero della Salute perché con il sistema delle regioni ci sono troppe diversità e sperequazioni. Speriamo quindi in una riforma seria del Titolo V”. E poi c’è il nodo risorse. “Servono investimenti, fino ad oggi solo tagli che hanno fatto precipitare la qualità del nostro Ssn nelle classifiche internazionali”. Infine, un riferimento anche alla manifestazione dei medici francesi.  "Probabilmente dovremmo scendere in piazza, ma con i cittadini al nostro fianco".
 
Infine, per Onotri “anche la categoria deve fare la sua parte, avviare una vera modernizzazione del sistema ordinistico e previdenziale, con riforme che garantiscano effettivamente la democrazia e la partecipazione, anche cambiando le regole elettorali per favorire il ricambio e dare spazio ai più giovani. Tocca, quindi, superare la frammentazione e puntare su un contratto unico a tutele crescenti dei medici, dirigenti e convenzionati”.
 
Giovanni Torluccio (Uil Fpl): “Il disagio medico è enorme, ma possiamo intervenire”. “I nostri Medici sono in condizioni estreme, sottoposti ad una doppia penalizzazione. La prima come lavoratori pubblici e quindi con il blocco dal 2009 dei rinnovi dei contratti, della retribuzione individuale e dei percorsi di carriera, la seconda come operatori di una sanità dove gli effetti del massiccio del finanziamento effettuato in questi ultimi anni è ormai tangibile e si sente sulla pelle dei cittadini e degli operatori”.

Non ha dubbi Giovanni Torluccio segretario generale della Uil Fpl, gli scenari sono a tinte fosche: “Taglio dei servizi e riversamento abnorme della domanda su quelli residui, a partire dai Pronto soccorso, mancata sostituzione del personale cessato e assente con aggravio delle turnazioni e delle reperibilità, lavoro precario per coprire i servizi essenziali. Sono tutti aspetti di un disagio organizzativo che si riflette sulla qualità dei servizi e sulla possibilità di errore, di cui oltretutto i medici, da vittime finiscono per diventare il capro espiatorio”.

Ma nonostante tutto è possibile uscirne attraverso la valorizzazione delle proposte fatte dagli operatori del settore, spesso ignorate.
Come? Per Torluccio, prima di tutto va messa fine ai tagli lineari in sanità, va ripristinato il diritto ai Ccnl e va fatta ripartire la contrattazione decentrata perché “è solo coinvolgendo i lavoratori, ed il sindacato che li rappresenta, nel governo e nella gestione dell’Azienda che si può perseguire l’appropriatezza e l’ottimizzazione nell’uso delle risorse, migliorando insieme la qualità dei servizi e delle condizioni di lavoro”.Va data poi  una vera risposta al lavoro precario e va affrontato seriamente  il tema della responsabilità professionale sia negli aspetti giuridici che a monte, con riferimento alle condizioni di lavoro e all’efficacia dei sistemi di gestione del rischio.

“La lista delle rivendicazione dei nostri medici è lunga – ha aggiunto – ma soprattutto va dato ruolo ai medici e a tutte le altre professioni sanitarie per riorganizzare il sistema, per renderlo più attuale e più rispondente al mutato contesto demografico, epidemiologico, tecnologico e professionale. Un percorso che vogliamo fare respingendo sia i tentativi di avere professionalità a basso costo che è quello di mettere i professionisti del settore gli uni contro gli altri. La parola d’ordine per noi è sinergia tra gli operatori, per aprire nuovi e più significativi spazi di relazioni sindacali,  per definire nuovi modelli organizzativi, più adeguati ai tempi ed alle esigenze, per definire di più proficue relazioni tra le professioni. Un processo – ha concluso – che grazie ai potenziali effetti positivi sul funzionamento e sull’efficienza dei servizi potrà liberare risorse da investire sulla qualità delle prestazioni e sulla valorizzazione di tutte le professioni”.
 
Angelo Testa: “Hanno smontando il sistema, si salvi chi può”. “Sì il medico è in crisi. O meglio non lo era, ma ce lo hanno fatto entrare grazie agli ultimi contratti. E la nuova convezione sono farà altro che acuire questa crisi”.
È critico il presidente dello Snami, Angelo Testa convinto che per uscire dall’impasse bisognerà tornare indietro più che andare avanti. “Non ci sono risorse, non c’è nulla – ha detto – ci stiamo solo preparando a un salto nel buio. Bisognerebbe fermarsi, prendere la Legge Balduzzi riportarla alle Camere e modificarla. Se non si farà questo sarà lo sfacelo totale. Anche se in realtà già siamo allo sfacelo. Pensiamo che in Francia i medici hanno scioperato in 40mila per una situazione molto meno critica della nostra. In Italia stanno smontando tutto, siamo al si salvi chi può”.
Insomma per Testa, l’unica ancora di salvezza è la riscrittura della legge Balduzzi. Da capo a fondo: “Bisognerebbe riprendere in mano la partita del territorio per ridare dignità al territorio, e non per finta ma sul serio. Quindi potenziare le Rsa, potenziare le dimissioni protette, realizzare percorsi di presa in carico del paziente una volta dimesso dall’ospedale. Potenziare le Adi, che al momento solo sono sulla carta perché al dunque non c’è la struttura infermieristica che la può supportare. In sostanza, bisognerebbe rimettere mano a tutto, ma non in maniera propagandistica. D’altro canto nel nostro Paese la propaganda è l’unica cosa rimasta ai politici, e quindi la usano”.
E non nutre alcuna fiducia neanche nella Convenzione che arriverà: “Sono anni che non mi aspetto nulla dagli Acn – ha ahhiunto –  hanno smontato il sistema. E con la nuova Convenzione non cambierà niente. Per i medici sarà l’ennesimo evento negativo, mentre i pazienti si troveranno ancora più sballottati, magari con nuove figure che si affacceranno per svolgere il lavoro di pertinenza del medico. Così chi può se ne andrà in pensione. E per i giovani medici sarà anche peggio: non sanno neanche cosa li aspetta, sono inebetiti dai lavaggi del cervello ricevuti durante il corso di formazione dove si raccontano solo favole. Alla fine ci sarà solo una grande fuga: chi può scapperà!”.
 
Alessandro Vergallo (Aaroi Emac): “Temo si possa arrivare a rottura tra generazioni”. “C’è una crisi professionale che è ormai una realtà incontrovertibile, così come manca un progetto di lungo respiro sul ruolo del medico. È un’evidenza”. Così il presidente dell’Aaroi Emac, Alessandro Vergallo commenta il disagio dei camici bianchi. “Ma non è una crisi emersa all’improvviso – fa notare –. Molti segnali sono stati sottovalutati e le difficoltà sono diffuse anche nel panorama europeo. In Francia, i medici sono scesi in piazza contro una riforma di stampo privatistico”. Per Vergallo stiamo assistendo ad una “svalutazione progressiva del ruolo sociale e professionale del medico in base a criteri economicistici”. Ma per il presidente degli anestesisti rianimatori “la crisi economica, con tutto ciò che ne è conseguito (dal blocco degli stipendi e del turnover, passando per il precariato, fino al non rispetto delle regole sugli orari di lavoro) è solo la punta di un iceberg”. Il fulcro della questione, oltre che in una sorta di colpevolizzazione sociale del medico (con i tagli stipendiali, e con la persistenza della responsabilità penale e della responsabilità civile di tipo contrattuale), operata anche con la scure governativa sul sindacato, risiede nella formazione dei camici bianchi.

“Vengono formati – spiega – medici che non hanno alcuna preparazione dal punto di vista dell’organizzazione del sistema sanitario, mentre invece altre professioni sanitarie centrano la loro formazione anche su aspetti gestionali”. Proprio sul comma 566 e sulle nuove competenze delle professioni sanitarie il presidente Aaroi chiarisce: “Non siamo contrari all’implementazione in linea di principio, per gli anestesisti rianimatori avere la possibilità di lavorare con infermieri specializzati sarebbe solo un vantaggio. Ma, anche in base all’ambiguità di alcuni termini adottati, queste nuove competenze saranno solo una facciata rispetto a quello che intravediamo come il vero obiettivo: incrementare l’accesso infermieristico a ruoli direttoriali. In questo modo si creerà un governo clinico infermieristico svincolato da quello medico, che porterà ad una confusione di ruoli”.

Inoltre, è ormai improcrastinabile per quanto riguarda la specializzazione “riconoscere formalmente il ruolo degli ospedali nella formazione pratica dei giovani colleghi”. Queste le ragioni per cui l’Aaroi sostiene un canale formativo ospedaliero non separato, ma molto più integrato con quello universitario e propone gli aspetti gestionali e organizzativi come materia di formazione medica. Vergallo entra anche sull’argomento Fnomceo. “Mentre l’Ipasvi, a torto o a ragione, si è fatta portavoce delle istanze infermieristiche, l’Ordine mi è sembrato distratto su quelle mediche”. Infine, su una possibile manifestazione dei medici Vergallo sottolinea che “si potrà realizzare solo nel momento in cui i colleghi, in gran parte ancora inconsapevoli della rivoluzione in atto, ne comprenderanno la reale portata a loro danno, amplificata da un crescente precariato dei più giovani. Temo – conclude – che si possa arrivare ad un punto di rottura tra generazioni”.
 
A cura di: Gennaro Barbieri, Luciano Fassari, Ester Maragò e Giovanni Rodriquez

© RIPRODUZIONE RISERVATA