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Mercoledì 22 LUGLIO 2015
Comma 566. È possibile modificarlo?



Gentile direttore,
intervengo sulle sue interessanti riflessioni del 20 luglio “L’inutile guerra del comma 566” e sul comunicato stampa di cui sempre il suo giornale ha dato notizia ieri “Comma 566: è muro contro muro”. Come è noto il ministero ha proposto una modifica della parte dell’incipit del comma togliendo il riferimento agli “atti complessi e specialistici”. Di conseguenza la norma verrebbe così riformulata: “Ferme restando le competenze dei laureati in medicina e chirurgia di prevenzione, diagnosi, cura e terapia…”.
 
In cambio di questa accettazione della modifica il ministero avrebbe garantito il passaggio in Conferenza Stato Regioni della bozza dell’accordo che riguarda la professione infermieristica.
Queste le notizie che ci è dato sapere.
 
Provo a fare una serie di riflessioni giuridiche astenendomi da quelle politiche a cui rimando a chi di dovere.
La ratio del 566, così è spesso stato argomentato, era la copertura legislativa delle competenze specialistiche da attribuire alle professioni sanitarie.
 
In tempi assolutamente non sospetti (gennaio 2014) analizzavo le possibilità di implementazione delle competenze avanzate e specialistiche.
 
Non è elegante citarsi ma in questo caso è utile farlo.
Scrivevo:
“In via astratta le strade percorribili possono essere:
a) il cambiamento normativo che può coinvolgere la legge ordinaria (legge 42) o la normazione secondaria relativa alla modifica del profilo professionale. Entrambe o una sola di esse;
b) l’integrazione di un atto normativo della Conferenza Stato Regioni a normativa statale invariata;
c) l’integrazione al profilo professionale con un nuovo decreto ministeriale relativo alle sole competenze avanzate;
d) la riconducibilità delle competenze avanzate all’attuale sistema di abilitazione all’esercizio professionale attraverso operazioni meramente interpretative.”
 
Concludevo affermando la liceità del punto sub b) e quindi l’implementazione delle competenze poteva avvenire a “legislazione invariata”. Da un punto di vista giuridico non c’erano e non ci sono ostacoli in quanto proprio la legge 42/99 è stata costruita come una sorta di work in progress, ovvero come una legge, sostanzialmente “cornice” che demanda ad altri atti regolamentari – un tempo il decreto ministeriale adesso l’atto normativo della Conferenza Stato Regione – la reale definizione degli ambiti di attività.
 
Delle quattro strade possibili, sembra strano, ma ne è stata decisa una quinta: non la modifica legislativa, dunque, ma una nuova norma (che comunque impatta nella legislazione precedente): il comma 566 giustappunto.
 
L’incipit del 566 viene riconosciuto da alcuni come il tentativo di definire, sia pure grossolanamente, l’ambito medico (Rodriguez), da altri, compreso il sottoscritto, il posizionamento verso l’alto dell’attività medica esclusiva e della perdita proprio dell’esclusività “verso il basso”. Ora, senza dare a “alto” e “basso” alcuna connotazione positiva o negativa ma solo meramente descrittiva, il risultato dell’incipit del 566, o più correttamente la sua ratio, è stata quella di circoscrivere le attività mediche da svolgersi in via esclusiva agli “atti complessi e specialistici” in materia di diagnosi, cura e terapia e non riconoscere, di conseguenza l’esclusiva sugli atti “non complessi e non specialistici” nelle stesse materie e quindi estensibili a quelle che per convenzione chiamiamo “professioni sanitarie”.
 
La modifica proposta dal ministero, di fatto, depotenziando il comma 566 – nell’unica parte attualmente in vigore – rende del tutto inutile proprio il comma stesso in quanto fino al dicembre 2014 era ben chiaro che le attività descritte fossero da considerarsi afferenti alla professione medica in via esclusiva. Il comma 566, prima parte, ha introdotto nel diritto positivo una recondita definizione di attività medica tentando di sottrarla, invano in realtà, alle mutevoli interpretazioni professionali, dottrinarie, giurisprudenziali e medico legali che, con la modifica proposta, si riespanderebbero, come nel periodo ante- 566.
 
Per altro la seconda parte del comma 566 può impattare nella legislazione previgente modificandone l’assetto e, addirittura superandolo. Se versiamo in un’ottica di modifica, nella seconda parte, andrebbe inserita la dicitura, “fatte salve le disposizioni dettate dalla legge 42/99 e dai profili professionali”, altrimenti si rischia una sovrapposizione legislativa e regolamentare di competenze che certo non aiuterebbe la difficile fase attuale.
 
Ecco allora che la modifica del comma 566, prima parte, si presenta come un mero atto di volontà politica del ministero in una situazione che si presenta comunque pasticciata. La modifica del 566 creerebbe problemi all’impianto normativo che si ritroverebbe con una disposizione sostanzialmente inutile e ripetitiva della legislazione previgente e che comunque sconta  anche l’opposizione decisa delle professioni sanitarie. La mancata modifica crea invece problemi di carattere politico-professionale sul versante medico e che da luogo – come ha dato luogo adesso – a possibili tentazioni revansciste di riordino del sistema attraverso le mediocri proposte della legge c.d. D’Incecco sull’atto medico.
 
Dato che è inutile rivangare il passato e la decisione di adottare uno strumento legislativo che, obiettivamente, non era indispensabile dato che era sufficiente l’impianto precedente sulla formazione e sulle competenze post base, bisogna cercare di uscire dall’attuale situazione di stallo creatasi.
 
Si può uscirne in due modi: attraverso un pacato dibattito di tutte le professioni coinvolte auspicato dal direttore di questo giornale oppure attraverso un atto politico forte del ministero che, allo stato, sembra difficile. La prima ipotesi sarebbe del tutto in linea con la linea concertativa sposata dal 566, la seconda riporterebbe il ministero al centro delle decisioni dopo avere improvvidamente affidato tutto al sistema concertativo che, come era facile prevedersi, rischia di trasformarsi in uno strumento di non decisione a causa dei veti incrociati che si possono – come si sono – creati.
Non si può non notare che l’alveo naturale dello sviluppo professionale è quello contrattuale e quella potrebbe essere una delle sedi idonee per impostare le giuste politiche.
Una cosa è comunque certa: il sistema non può permettersi un’ulteriore paralisi nel momento in cui deve riorganizzarsi a risorse finite.
 
Luca Benci
Giurista

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