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Sabato 15 AGOSTO 2015
Infermieri e Oss. Proviamo a ragionare?



Gentile Direttore,
è la prima volta che scrivo al vostro portale e spero di riuscire a trasmettere con chiarezza i concetti scaturiti dopo la lettura della lettera del Migep sulla questione OSS-Infermieri. Volutamente parlo di “questione” non adducendo ai classici sostantivi “guerra” o “diatriba” per non enfatizzare i toni già accesi, sperando di riportare la crescente acredine ad una comunicazione dal tono parco: quella placidità necessaria ad affrontare una questione da risolvere, in modo civile, conforme alla dignità professionale e confacente alle normative vigenti che sono il corollario di questa rete di rapporti.
 
Ed è sempre intenzionalmente che non inneggio ad una guerra tra competenze pur restando saldo il concetto che a mio parere le affermazioni fatte dal Migep sull’esecuzione di “prestazioni infermieristiche” da parte del personale OSS sono gravi: un OSS non può eseguire un emogas e credo che chi si occupa di tutela professionale Infermieristica debba necessariamente intervenire a chiedere spiegazioni di quanto dichiarato. 
 
Sono il primo ad avere la coscienza professionale limpida nell’ importanza della multidimensionalità funzionale che ruota intorno ad un processo assistenziale di cui il paziente è il beneficiario ma il lavoro d’équipe è legato imprescindibilmente al rispetto dei confini professionali e questo limite non viene sempre rispettato.
 
Ed anche quando, perché si sa che tutto evolve, la scienza professionale progredisce nella conoscenza e approfondimento delle competenze, finché una normativa non legifera lo sviluppo ottenuto come atto professionale eseguibile da una definita categoria, tali confini sono da considerarsi immutati. Si faccia attenzione alle parole, di nuovo scelgo di evitare di parlare in termini di “intromissione” o “scavalcamento” che è lessico che indispettisce e crea una forza locutoria esacerbante la tensione nota.
 
I tentativi degli Infermieri di difendere la professione non devono produrre negli animi degli OSS toni recriminatori perché una cosa è bistrattare una persona nella sua professione ma ben altra è argomentare su ciò che anche la legislazione palesa. Le precedenti asserzioni della Presidente Nazionale Ipasvi Barbara Mangiacavalli e le dichiarazioni di Vito de Filippo contro la generalizzazione della nomenclatura professionale sanitaria si muovevano in questo senso.
 
Mi chiedo: se gli OSS, come asseriscono, vogliono epurare la loro professione dalle ambiguità che li accostano agli Infermieri non dovrebbero gioire se qualcuno combatte questa tendenza a ridurre il personale solo alla figura Medica e Infermieristica? Ne conseguirebbe una demarcazione definita anche del loro ruolo. Invece questo non è accaduto. Semmai ha sortito l’effetto contrario: l’OSS ha (purtroppo temo volutamente) attecchito ancor di più alla matrice infermieristica e non è solamente la delega professionale a costituirne il mordente.
 
Ma la normativa vigente è chiara. L’OSS nasce come figura di supporto e non come responsabile di un processo (processo e atto lavorativo sono due cose molto diverse) Questo non vuol dire che esso debba ricoprire la parte più bassa nella verticalizzazione gerarchica con cui sembra essere eretta l’ossatura della struttura sanitaria. La sanità è una matriosca; un insieme di contenuti e contenitori in movimento e di attori che traslano continuamente la loro posizione professionale in questo sistema. Ma richiamare la centralità del paziente come scusa per legittimare una traiettoria non supportata dalla legge è una falla grave nel sistema.
 
Come può un OSS parlare di “benessere del paziente” e subito dopo scrivere una lista di “eparine, emogas, parnaparine etc” che di “paziente” non hanno nulla poiché polarizzano l’assistenza semplicemente sulla prestazione eseguita? Ecco, allora il benessere del paziente è un processo non una prestazione: se un OSS compila la lista della spesa invece di parlare in certi termini vuol dire che non ha compreso bene la natura della sua professione. E se un Infermiere lo segue diventa connivente nella delittuosità del concetto “assistenza”.
 
Questa è la visione olistica tanto decantata e mai applicata ed è chiamato tanto l’OSS quanto l’Infermiere a incarnarla. Ma se assistenza infermieristica significa processo assistenziale (e non prestazione) va da se che l’infermiere ne è il responsabile e quindi eccoci a tangere la stessa verità contenuta nella Legge. Lo svolgimento di un atto professionale, l’autonomia nel compierlo e la responsabilità di tutto il disegno progettuale sono tre cose molto diverse: la prima e la seconda possono abbracciare entrambe figure ma la terza è ad appannaggio dell’Infermiere. Perché il concetto di responsabilità riconvoca alla mente nozioni (quali: rischio, risorse, clinical management, valutazione, raggiungimento obiettivi, rivalutazione) che sono le catene del D.N.A infermieristico e per la quale la Legge prevede anche il penale se la loro inadempienza cagiona un danno al paziente.
 
Questo paradigma che funge da base all’intero processo assistenziale (che ripeto essere solo un contenitore a sua volta imballato in un altro recipiente) deve essere preso in considerazione attentamente dagli OSS, senza toni di recriminazione personale e senza accusare gli Infermieri di essere politicamente volti al gattopardismo lavorativo affinché la figura OSS si mantenga asseverata. Gli Infermieri difendono, giustamente, la professione per cui hanno studiato che comporta l’assunzione della responsabilità di un processo (di cui le eparine sono solo una parte del tutto) a loro esclusiva titolarità.
 
Che poi questa parte di assistenza non si vede e non si tocca perché rappresenta l’abisso in cui galleggia la punta dell’Iceberg (l’evidente quotidiano) è un altro discorso e non è dissertabile qui, poiché l’obsolescenza dei sistemi sanitari e la strategia organizzativa a cui dobbiamo sottoporci (tutti) merita un libro a parte. Ma essa esiste, è legiferata ed incedibile ed è quel binomio diritto – dovere che proprio realizza la natura olistica dell’assistenza infermieristica: il diritto a veder riconosciuta la propria arte ed il dovere di metterla al servizio del paziente che ne ha bisogno. Patrimonio esclusivo, unico ed incedibile della professione Infermiere.
 
Andrea Lucchi
Infermiere 

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