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Mercoledì 23 MARZO 2011
Nucleare. Aimn e Fofi: "Evitare assunzione irrazionale e pericolosa di farmaci"

Dopo la segnalazione da parte delle farmacie di cittadini che richiedono compresse di ioduro di potassio (KI) per prevenire l’accumulo di iodio radioattivo nell’organismo, l’Associazione italiana di Medicina nucleare e la Fofi lanciano un appello ai cittadini per fermare l’ondata di panico: “In Italia non esistono rischi per la salute derivanti dalle radiazioni fuoriuscite dalla centrale di Fukushima. L’unico effetto del KI sugli italiani, oggi, è il rischio di effetti collaterali”.

È cominciata la corsa nelle farmacie italiane per accaparrarsi confezioni di ioduro di potassio (KI), il preparato galenico in grado di prevenire l’accumulo nella tiroide di iodio radioattivo. A denunciare il fenomeno è stata la Federazione degli Ordini dei Farmacisti, lanciando un appello ai cittadini a fermare l’ondata di panico. “In Italia non esiste un pericolo di esposizione a radiazioni, e l’assunzione di farmaci al di fuori dell’indicazione del medico è da considerarsi irrazionale e pericolosa”, ha affermato il presidente della Fofi, Andrea Mandelli (leggi intervento integrale). “Come farmacisti, inoltre – ha aggiunto Mandelli -, mettiamo in guardia i cittadini dal cercare di procurarsi questi o altri farmaci attraverso l’e-commerce. Non solo si rischia di essere truffati, o di pagare cifre molto superiori al valore di mercato del farmaco, ma ci si espone al rischio del contatto con farmaci contraffatti”.

Intanto, anche oggi il ministero della Salute, che sta monitorando quotidianamente gli effetti dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima dopo il sisma che ha colpito il Giappone, lo scorso 11 marzo, ha assicurato che in Italia non ci sono rischi per la salute derivanti dalle radiazioni Giapponesi. E "se anche le correnti dovessero trasportare sull'Italia particelle radioattive provenienti dalla centrale di Fukushima – ha spiegato il ministro Ferruccio Fazio, che è anche un medico di Medicina nucleare ed ex presidente dell’Associazione italiana di Medicina nucleare (Aimn) - si tratterebbe comunque di quantità infinitesimali, estremamente diluite, che oggi siamo in grado di rilevare grazie agli strumenti sofisticati di cui disponiamo, ma che non avrebbero alcun effetto sulla salute. Si tratterebbe infatti di valori bassissimi, largamente inferiori alle dosi di radioattività naturale".

L’Associazione italiana di Medicina nucleare, inoltre, già da alcuni giorni sta fornendo informazioni e raccomandazioni ai medici e ai cittadini per gestire la situazione  (leggi qui). “Non esiste alcun rischio oggi in Italia che giustifichi l’assunzione di KI – spiega il presidente Aimn, Giovanni Lucignani (leggi l’intervista integrale realizzata da Quotidiano Sanità) – che, in ogni caso, deve essere assunto solo se raccomandato dalle autorità sanitarie locali, in seguito a un controllo effettuato in un centro specializzato, su prescrizione medica e sotto il controllo medico. Agli italiani, quindi, chiediamo di non pretendere il farmaco dal medico di famiglia e dalla farmaco alla farmacia del territorio. Se ci fosse un allarme, ed oggi non c’è, a gestirlo saranno le autorità sanitaria e i centri predisposti a farlo”. Questo perché, ricordano gli esperti, lo iodurio di potassio può determinare ipo e ipertiroidismo, sintomi influenzali e bronchite, ma anche complicazioni mediche in alcuni individui, come ad esempio le persone con insufficienza renale anche di moderata entità.

Nessun panico, quindi. Ma cosa sta facendo l’Italia per monitorare la situazione? “Il ministero ha predisposto un piano nazionale, recepito dalle Regioni, identificando alcuni ospedali per Regione dotati di servizi di medicina nucleare e di fisica sanitaria in grado di effettuare dei controlli di eventuale contaminazione superficiale interna sulla tiroide effettuata attraverso conteggio esterno della tiroide ed esame delle urine. I controlli effettuali ad oggi sulle 120 persone provenienti dal Giappone sono assolutamente tranquillizzanti”, ha aggiunto Massimo Salvatori, vicepresidente Aimn e dirigente medico dell’istituto di medicina nucleare del Policlinico Gemelli di Roma, intervenendo alla trasmissione tv Uno Mattina. C’è poi un piano di emergenza. “Ma le proiezioni – spiega Salvatori – dicono che il problema, per l’Italia, continuerà ad essere di scarsissima rilevanza”.

Gli esperti di medicina nucleare ricordano inoltre che i rischi dipendono dall’intensità delle radiazioni assorbite e dal tipo. Nelle persone che si trovano nelle immediate vicinanze di materiale radioattivo che emette radiazioni con elevata intensità i danni maggiori e più precoci sono al midollo osseo e all’intestino con conseguente suscettibilità alle infezioni, possibili emorragie e malassorbimento del cibo. Questa si chiama sindrome acuta da radiazioni e si verifica solo per livelli di radioattività molto elevati, non raggiunti nel corso dell’incidente a Fukushima, e non riguarda la popolazione generale ma solo il personale che si trova all’interno del reattore al momento dell’incidente.

Per la popolazione che vive nelle zone limitrofe, o che mangia alimenti contaminati provenienti dalle zone a rischio, il rischio deriva dalla possibile ingestione con il cibo o inalazione dall’aria di sostanze disperse in seguito all’incidente.

Ma per la popolazione italiana, evidenziano gli esperti, non esiste attualmente alcun rischio di esposizione esterna a radiazioni ionizzanti né di contaminazione interna da particelle radioattive per inalazione o per contatto. Non sono al momento necessarie misure preventive o terapeutiche. Il contatto con soggetti potenzialmente contaminati, perché provenienti dal Giappone, non espone la popolazione ad alcun tipo di rischio. Inoltre, come misura preventiva il ministero della Salute ha già predisposto il controllo alla frontiera dei cibi prodotti in o provenienti dal Giappone, al fine di garantire la sicurezza nei confronti della contaminazione da ingestione.
 

L.C.

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