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13 DICEMBRE 2015
L’infermiere oggi.  Il senso della nostra professione

La consapevolezza dell’assistere infermieristico come ponte di relazione che incontra, supporta, cura, nega, accompagna, comprende.Mentre un infermiere sta compiendo un gesto di assistenza infermieristica, anche il più banale, se una persona sente la sua dignità sollevarsi e il suo essere uomo trova una dimora di significato, noi abbiamo rimesso in moto il mondo

Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare
una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te[1].
 
Conosciamo più questa meditazione poetica  come inizio del grande romanzo del 1940 di Hemingway, Per chi suona la campana, ma lo stesso autore lo mutua dal grande poeta metafisico inglese del XVII° secolo John Donne.
 
Una riflessione che racconta bene lo stato d’animo dell’umanità nel mondo occidentale dei nostri giorni che vede le proprie sicurezze frantumarsi, i propri valori messi alla prova, i cardini della convivenza sociale dissolversi. L’homo homini lupus[2] dall’immaginario entra prepotentemente nella realtà e diffonde, senza misura, paura e terrore. L’europa di Platone, di Agostino , di Spinoza, di tutta la filosofia idealista tedesca, della liberta situata dell’esistenzialismo francese fino alla dura prova heideggeriana, viene minata nei suoi fondamenti.
 
Sfuggendo ogni analisi storica, politica , religiosa, economica, ci si deve chiedere come tutto questo abbia  a che fare con noi; con me e con te. Ciascuno di noi è anzitutto donna e uomo del suo tempo, con le proprie opinioni ( doxa) che indicano una visione del mondo ; su queste opinioni si struttura la nostra scelta di essere infermieri e la professione della conoscenza infermieristica (episteme).
 
Vi sono equivoci nel rapporto tra il mondo personale e il mondo professionale. Nessuna  distanza, ma la capacità di governare le proprie opinioni e il proprio modo di essere alla luce della scienza che si è deciso di approfondire e vivere. E viceversa, in un rapporto di continuum.
 
Per tale motivo quanto accade intorno a noi in questi tempi dolorosi ci riguarda come infermieri. Superata l’indignazione, il dolore, lo stupore e la scelta di non cedere alla tentazione della paura, bisogna ripartire, riprendere la strada.
L’assistenza infermieristica, nel mondo attuale, è un luogo e uno spazio in cui riprendere il cammino di umanità  dell’homo viator.
E’ la quotidianità il luogo della ri-partenza. La quotidianità del nostro essere infermiere, della nostra responsabilità verso l’altro.
 
Jean Watson ha introdotto recentemente, nel suo assetto teorico di primo piano, il concetto di caritas (Watson,2008, 2010). Per noi infermieri italiani la radice identitaria della Charitas è molto più forte di quanto il pragmatismo statunitense riesca a suggerire, e racconta un modo di essere in relazione di cura che si fa carico dell’altro indipendentemente dalle categorie  che rendono l’altro ostaggio di pregiudizi.
 
Si riparte da qui: dalla consapevolezza dell’assistere infermieristico come ponte di relazione che incontra, supporta, cura, nega, accompagna, comprende.
Attraverso il nostro compito disciplinare assumiamo la nostra responsabilità e diciamo con forza che non ci arrenderemo a un mondo che non riconosciamo.
 
L’assistenza infermieristica, come disciplina prescrittiva, vive nel quotidiano, col suo assetto valoriale ben declinato nel Codice Deontologico in essere, al fine per declinarlo concretamente nell’assoluto, insondabile e irripetibile incontro con l’altro.
 
L’assistenza infermieristica è un ponte di umanità. E’ il ponte che porta ad assistere senza alcun pregiudizio vittime e carnefici; il ponte che vive nei campi profughi ai confini del mondo; il ponte che riallaccia i nodi di relazione familiare all’interno di una casa in una visita domiciliare; il ponte che indica l’esserci mentre  si attende nella sala di attesa di un centro di rianimazione; il ponte che sa prendersi cura dell’altro oltre ogni categoria di religione, di etnia, di paese, di lingua, di malattia.
 
L’infermiere quotidianamente si fa testimone dell’umano  testimoniando  non l’uomo che aggredisce l’altro uomo, ma l’uomo che accoglie, in piena scienza e coscienza.
E tutto questo avviene nel silenzio, nel succedersi dei giorni sui giorni, senza che i più se ne accorgano.
 
Questa è la nostra responsabilità, questo è il compito storico della disciplina infermieristica. “Il problema che oggi sembra essere il più scottante, il più decisivo di tutti, la domanda dovrebbe porre a sé stesso ed anche agli altri…. La domanda circa la possibilità che l’uomo esista senza decadere in una condizione infraumana, se l’uomo si consegna soltanto all’attività dalla quale deriva un guadagno immediato e se la conoscenza dev’essere misurata e sottomessa al suo potere di incrementare il progresso tecnico”[3].
 
La disciplina infermieristica incarnata nella nostra pratica clinica, nella ricerca, nella formazione, nella organizzazione, non sfugge la domanda, ma la coltiva, attraverso il gesto.
Il gesto non è un’azione. E’ qualcosa di più e di diverso.
Il gesto è luogo di senso sia per chi lo effettua e sia per chi lo riceve.
 
E’ una azione dettata da intenzionalità e intensità. Il gesto è sintesi della disciplina infermieristica poiché nell’intenzionalità vive la scienza e nella intensità vive la coscienza.
I gesti di assistenza infermieristica dicono la dignità della persona che abbiamo preso in carico, e danno significato al concetto di alterità.
 
La persona  che riceve un gesto non riceve solo una risposta alle proprie necessità, ma  sente la sua dignità sollevarsi, il suo essere persona confermarsi, la sua vita gemere. Sia esso carnefice o aguzzino, poco importa.
 
Un gesto apre quindi alla trascendenza del possibile. Apre al futuro.
Azioni quotidiane che raccontano quanto le parole non possono contenere. Gesti da gustare  in silenzio-
Chi agisce e chi contempla colui che agisce si trovano in due diversi spazio-temporali differenti, estranei ed enigmatici l’uno per l’altro, come capita a chi sogna, con le figure e gli eventi dei suoi sogni.
 
Il gesto è presenza totale in cui il potere, il sapere, l’assistere si fondono e diventano inseparabili finché perdura questo stato che nella condizione umana è eccezionale e transitorio. E’ in verità, uno stato privilegiato, come esito ma è il presupposto della condizione umana e l’esigenza del suo compimento.[4]
 
Ci ricorda il grande Florenskij, nel testamento ai figli, che solo nel quotidiano, nelle cose più ovvie e ordinarie, è presente la trascendenza.
 
Noi infermieri ripartiamo dai gesti per dare senso a noi, alla nostra vita, alla nostra responsabilità, alla umanità intera. Noi infermieri reagiamo alla paura e al dolore nel nostro dovere quotidiano di una scienza al servizio dell’uomo perché trovi un territorio di senso da cui ripartire.
Abbiamo iniziato questo breve con Donne che parafrasiamo dicendo che se è vero che ogni uomo che muore tocca il nostro vivere è altrettanto vero che ogni gesto infermieristico lo salva.
 
Ora, proprio ora,  mentre un infermiere sta compiendo un gesto di assistenza infermieristica, anche il più banale, se una persona sente la sua dignità sollevarsi e il suo essere uomo trova una dimora di significato, noi abbiamo rimesso in moto il mondo.
 
Una mano sfiorata, una procedura dettata dalla migliore evidenza possibile, uno sguardo incrociato, un saluto inatteso, allontanano ogni timore rimettono in movimento  il nostro desiderio e la nostra responsabilità di essere uomini.
 
Cosi noi infermieri, ogni giorno, possiamo salvare il mondo.
Perché l’umanità è il posto degli umani.
 
 
Edoardo Manzoni
Direttore Generale Istituto Palazzolo (Bergamo)
Dottore magistrale in Scienze infermieristiche e docente all’Università Milano Bicocca

[1] John Donne, Devotion upon emergent occasions, 1624

[2] Modo di dire la cui traccia più antica è in : Plauto lupus est homo homini, Asinaria, a. II, sc. IV, v. 495
[3] M.Zambrano, L?aula in Per l’amore e per la Libertà, Marietti, Genova, 2008
[4] cfr. M. Zambiano, Le parole del ritorno,  Enna, Città aperta ed., 2003

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