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13 DICEMBRE 2015
Le nuove linee guida in radiologia. Palesemente illegittime. Ritirarle, prima che ci pensi la magistratura

Le linee guida radiologiche sono un grande pasticcio che sembrano assolvere a finalità completamente diverse da quelle per cui sono previste. Vi è un solo modo per risolvere il tutto: il loro ritiro. Una via necessaria prima che la loro illegittimità venga dichiarata per via giurisprudenziale

E’ passato più di un mese dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale delle Linee guida radiologiche (Linee guida per le procedure inerenti le pratiche radiologiche clinicamente sperimentate) emanate in ossequio alla previsione dell’art. 6 del D. Lgs 187/2000 (legge sulla radioprotezione).
 
La finalità delle linee guida – espressione che andrebbe circoscritta in quanto ormai utilizzata per indicare documenti della più disparata natura – in una normativa che recepisce direttive europee in materia di “protezione sanitaria” contro i pericoli derivanti dalla esposizione a radiazioni ionizzanti è evidente: delineare procedure che minimizzino tali pericoli.
 
Il ministero della sìSalute ha emanato linee guida – pur potendolo e dovendolo fare prima –a ben quindici anni dalla previsione normativa con contenuti che non hanno solo la mera finalità protezionistica ma ben possono essere definite di carattere organizzativo e incidenti anche nelle normative di abilitazione all’esercizio professionale.
 
Le linee guida coinvolgono la direzione sanitaria (nei contesti ospedalieri), i medici prescriventi, i medici radiologi, i fisici sanitari e i tecnici sanitari di radiologia medica. Sin dalla “premessa” le linee guida si autoattribuiscono compiti eccedenti la propria stretta finalità radioprotezionistica  volendo fornire “raccomandazioni e indicazioni operative ai prescriventi, nonché indicazioni utili a meglio precisare funzioni e responsabilità del Medico prescrivente, del Medico radiologo, del tecnico sanitario di radiologia medica (TSRM) e del Fisico medico”.
 
Le linee guida distinguono le pratiche radiologiche a seconda dei contesti – ospedalieri e non – nelle quali vengono praticate. La regolamentazione distingue le pratiche radiologiche standardizzate, in regime di ricovero (ordinario, day hospital o day surgery o in elezione) presso strutture pubbliche o private ospedaliere; le pratiche radiologiche in regime di ricovero in urgenza-emergenza presso strutture pubbliche o private ospedaliere; le pratiche radiologiche in regime ambulatoriale presso strutture territoriali e presidi radiologici privati accreditati e non.
 
Vediamo le principali differenze proprio tenendo presente le differenti attribuzioni organizzativo-professionale suddividendo  i contesti in relazione:
a)     alla giustificazione dell’esame;
b)     alla verifica della richiesta dell’esame;
c)     all’informazione al paziente;
d)     alla competenza dell’effettuazione dell’esame;
e)     la teleradiologia.
 
a) La giustificazione dell’esame
Da un punto di vista dell’esercizio professionale e dei rapporti registriamo le diverse competenze che le linee guida attribuiscono a seconda del contesto al medico radiologo, al medico prescrivente ospedaliero, al medico prescrivente territoriale al tecnico sanitario di radiologia medica.
Negli esami effettuati in ospedale l’informazione sulla “giustificazione” è a carico del medico prescrivente ospedaliero, mentre negli esami effettuati in regime ambulatoriale  e nei contesti di emergenza, la giustificazione è a carico del medico radiologo.
E’ escluso, quindi, che la giustificazione possa essere operata da un curante diverso del medico ospedaliero (es. medico di medicina generale) che però non risulta avere minori o maggiori conoscenze radioprotezionistiche.
 
b) La verifica della richiesta dell’esame
In caso degli esami effettuati in ospedale è il TSRM il quale “sotto la propria responsabilità” deve verificare che nella documentazione di richiesta sia riportato il “consenso al ricovero, alle cure e agli esami diagnostici” e che tale “consenso sia stato sottoscritto dal paziente”. Inoltre Il TSRM deve verificare se dall'anamnesi riportata in cartella all'atto del ricovero, “possa essere esclusa la possibilità di uno stato di gravidanza o la minore età del paziente, ed inoltre se la prestazione radiologica, rispetto al quesito clinico indicato, risulti adeguata rispetto ai protocolli stabiliti”.
 
Per quanto concerne l’accertamento relativo all’effettuazione all’esposizione radiologica relativa alle donne in stato di gravidanza non si attribuisce, quindi, al tecnico la possibilità diretta dell’accertamento, ma questo può avvenire solo in relazione al controllo dell’anamnesi effettuata dal medico di reparto. Controllo documentale, quindi, senza domande dirette rispetto alla raccolta anamnestica che deve prevedere questo tipo di informazione all’origine. Non si comprende bene quale debba essere il modo di procedere una volta accertata l’assenza di tale informazione: il tecnico integra l’informazione carente del medico prescrivente? Rimanda la paziente in reparto per l’eventuale integrazione? Avverte lo specialista che provvede alla domanda?
 
Al fine della giustificazione dell’esame richiesto il tecnico dovrà verificare che sia riportato in cartella “il consenso al ricovero” (non si comprende bene perché), il “consenso alle cure” (si comprende ancora meno) e il consenso “agli esami diagnostici inclusivo anche di tutte le indagini radiologiche tradizionali proiettive non contrastografiche”. Si attribuisce al tecnico di radiologia una supervisione di tutto il sistema dei consensi all’interno della documentazione sanitaria anche non di finalità radiologica. Lungi dall’essere una valorizzazione professionale si palesa come l’attribuzione di un compito meramente amministrativo. Per altro nel momento in cui il controllo debba essere sul consenso raccolto dal medico di reparto debba in particolare controllare che tale  “consenso sia stato firmato dal paziente” (se è stato raccolto sarà stato firmato altrimenti che consenso è…).
 
Quello che sembra di comprendere è la motivazione dell’onoere dell’informazione al medico prescrivente di reparto salvo poi non fidarsi dell’effettiva esecuzione e demandare al tecnico un controllo pedissequo delle eventuali carenze di tutta la procedura che si estende, anche, alla completezza del sistema dei consensi che esorbita l’ambito radiologico.
 
Nel caso delle prestazioni effettuate in regime di emergenza è invece attribuito al medico radiologo il controllo della documentazione proveniente dal prescrivente relativi ai “dati anamnestici raccolti dal paziente e acquisito il consenso al ricovero e agli accertamenti ed esami e alle cure da parte dello stesso paziente (o da parte di chi ne fa le veci nei casi previsti)”.
 
c) L’informazione al paziente
Anche in questo caso la distinzione impera. Negli esami effettuati in ospedale (standard) l’informazione compete al medico prescrivente, negli esami effettuati in ospedale (emergenza) al medico radiologo, negli esami effettuati in ambiente ambulatoriale sempre al medico radiologo.
 
d)  La competenza dell’effettuazione dell’esame
In ospedale - esami standard – compete al tecnico di radiologia senza presenza medica, in ospedale - esami emergenza - sempre al tecnico, ma non si specifica se il medico debba o meno essere presente, in regime ambulatoriale spetta al tecnico (senza medico presente a meno che siano casi che necessitano di approfondimento o chiarimenti) oppure direttamente  al medico radiologo.
 
e) la teleradiologia
Le linee guida diffidano apertamente della teleradiologia e la circondano di una serie di paletti che le rendono impossibile nei livelli territoriali. Gli echi dell’illegittimità dell’agire professionale dei tecnici sanitari di radiologia medica del caso Marlia sono evidenti. Pur essendo stata una sentenza di assoluzione le linee guida, implicitamente, ne stabiliscono (ne vorrebbero stabilire come vedremo più precisamente) l’illegittimità.
 
La finalità delle linee guida
A questo punto è necessario occuparsi della reale finalità delle linee guida e se siano o meno esorbitanti rispetto alla previsione legislativa. In altre parole, se contengano o meno le strette finalità radioprotezionistiche, o siano da esse esorbitanti. Propendiamo per questa ultima ipotesi.
 
Ci spingono la distinzione dell’esercizio professionale nei diversi contesti, la suddivisione dell’informazione a medici diversi (prescrivente e specialista), la necessaria presenza o meno del medico radiologo all’effettuazione dell’esame e, financo, alla fungibilità o meno dell’effettuazione dell’esame stesso.
 
Le finalità radioprotezionistiche diventano un dettaglio rispetto alle preponderanti norme di esercizio professionale che distinguono su tutto il processo fino a minare la “conduzione” dell’esame radiologico. Lo stesso lessico utilizzato svela il retropensiero degli estensori delle linee guida. Scrivere se effettuare l’esame “in assenza del medico radiologo” in luogo del linguaggio usuale delle norme abilitanti che indicano l’esercizio in “via autonoma” o per extenso in “autonomia” non è neutro. Quando nei contesti ambulatoriali si utilizza l’espressione “presenza attiva” del radiologo l’impostazione non cambia registro. Il profilo professionale del TSRM, lo ricordiamo, utilizza le corrette espressioni “in via autonoma o in collaborazione con altre figure professionali” che prefigurano rapporti maturi tra diverse professionalità.
 
Vi è inoltre da domandarsi se delle linee guida emanate con la forma del “comunicato” superino un complesso normativo primario che consta di ben quattro leggi: legge 42/99, legge 251/2000, legge 43/2006 e legge 190/2014 (art. 1, comma 566). La legge 42/99 parla specificamente di “campo proprio di attività e responsabilità”, la legge 251/2000 di “autonomia professionale”, la legge 43/2006 completa, pur restando inattuata, il percorso con l’istituzione degli ordini professionali. Ultima ma non ultima è la disposizione contenuta nel comma 566 della legge di stabilità 2014. Ricordiamo che per la prima volta, pur nella pessima qualità della formulazione letterale, si individua, nell’unica parte in vigore e direttamente applicabile della legge,  l’attività medica negli “atti complessi e specialistici” in materia di diagnosi, cura e terapia. Per tacere inoltre del richiamato profilo professionale. Può un atto regolamentare (le linee guida) superare un complesso normativo composto da quattro leggi ordinarie e da un decreto ministeriale richiamato da tali leggi come condizione di esercizio professionale?
 
Le linee guida del ministero sono fortemente penalizzanti la professionalità e la dignità di medici prescrittori e tecnici sanitari di radiologia medica, rischiano di porre difficoltà insormontabili, proprio per la indebita penalizzazione, a molti servizi radiologici che potrebbero continuare a erogare servizi solo non osservando le indicazioni contenute nelle stesse linee guida.
 
Serve un immediato ripensamento da parte del ministero in quanto le linee guida esorbitando la propria finalità risultano essere illegittime in primo luogo sotto per “eccesso di potere” intendendosi per tale come il tipico vizio dell’atto amministrativo che viene adottato per un fine diverso da quello previsto dalla norma giuridica primaria. Inoltre si registra il conflitto con le attribuzioni della Conferenza Stato-Regioni.
 
Quindi illegittimità ab origine. Nel merito del provvedimento le linee guida contrastano, come abbiamo visto con le norme di abilitazione all’esercizio professionale dei tecnici sanitari di radiologia medica che, come tutte le “professioni sanitarie” diverse da quella medica, oggi sono professioni “ipernormate” da norme di rango primario insuscettibili di essere derogate e limitate da norme di carattere regolamentare come quelle delle linee guida.
 
Stupisce quindi che le linee guida ministeriali siano rimaste ferme, come costruzione, ai primi anni novanta del secolo scorso e ancora di più stupisce che le  linee guida siano state sottoposte al vaglio del Consiglio superiore di sanità che le ha approvate.
Non conosciamo, in quanto non è dato conoscere, le motivazioni di tale approvazione visto che i pareri del Consiglio superiore di sanità non vengono resi pubblici dal Ministero e non vengono pubblicati nel sito web (la trasparenza, sarebbe per legge, “accessibilità totale agli atti”).
 
Questa approvazione pone in serio dubbio la qualità dei pareri dell’organo consultivo ministeriale e sarebbe interessante conoscere la composizione della commissione che ha avuto il compito di redigere tale parere.
 
Le linee guida radiologiche sono un grande pasticcio che sembrano assolvere a finalità completamente diverse da quelle per cui sono previste.
 
Nell’organizzazione possono creare solo problemi per la loro “estrema rigidità organizzativa” come ha giustamente notato l’assessore alla salute della Regione Emilia Romagna Sergio Venturi.
Vi è un solo modo per risolvere il tutto: il ritiro delle linee guida. Una via necessaria prima che la loro illegittimità venga dichiarata per via giurisprudenziale.
 
Luca Benci
Giurista

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