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Martedì 16 FEBBRAIO 2016
Appropriatezza. Lettera aperta a Ivan Cavicchi

Mi auguro che al prossimo incontro promosso dal Ministro con la Fnomceo quest’ultima non si limiti a “contrattare” qualche “aggiustamento” sull’elenco dei “duecento” divieti del decreto o si accontenti di non vedersi multata su qualche ricetta ma ribadisca la necessità di una prolungata quarantena della decretazione  e richieda, la Fnomceo un periodo di confronto non basato sull’economicismo ma sui reali interessi dei pazienti

Caro Ivan,
ho letto con grande attenzione, condividendoli, i tuoi ultimi articoli su Quotidiano Sanità ma intanto lascia che ti ringrazi per ricordarci di essere medici, cioè coloro i quali quotidianamente operano per salvaguardare la vita dei pazienti. Non che non lo sappiamo ma è che siamo “distratti” da questo compito che eseguiamo in ogni momento (i pazienti ce li portiamo in testa anche durante il sonno) e alla fine non ci accorgiamo di essere “dilapidatori” di risorse economiche, di essere “medici in difesa” o medici “scippati” di competenze da affidare ad altri in nome e per conto di “revisioni di spesa”. Grazie per aver suonato la campana ancora una volta nel tuo articolo di ieri.
 
Vorrei ricordare ai politici, non essendo noi dei “Cacini”, che i pazienti li vediamo noi, che la loro complessità è solo davanti a noi, che a noi affidano – discutendo - la loro sopravvivenza, che con noi discutono le soluzioni possibili delle problematiche che le loro patologie sembrano prospettare, che a noi compete il dovere-diritto di approfondire secondo scienza e coscienza cosa proporre e concordare. E non è colpa tutta nostra se il progresso ci mette a disposizione presidi e cure costosi.
 
Nella Costituzione italiana il diritto all’autonomia tecnico-operativa del medico nell’esercitare la professione si fonda sul piano scientifico negli articoli 9 –comma 1 “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”- e 33-comma 1 ”L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”-. Articoli volti, dunque, alla tutela della ricerca scientifica e alla libertà della scienza nella sua applicazione pratica.
 
Ma la Costituzione ancora chiarisce che l’indipendenza professionale del medico è funzionale all’interesse costituzionale del diritto alla salute sancito dall’art. 32 “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”
 
La Costituzione, dunque, consegna al ruolo di garanzia del medico la tutela di questo diritto. La Corte Costituzionale (sentenze 185/98; 121/99; 188/2000; 282/2002; 338/2003) ha stabilito il principio dell’autonomia terapeutica del medico persino rispetto al legislatore: “non è di norma il legislatore a dover stabilire quali sono le pratiche ammesse, con quali limiti e a quali condizioni; poiché la pratica dell’arte medica si fonda sulle acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione, la regola di fondo in questa materia è costituita dalla autonomia e dalla responsabilità del medico che, sempre con il consenso del paziente, opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a sua disposizione”.
 
E perciò dunque riservata al medico la scelta terapeutica e la libera valutazione del singolo caso sottoposto al suo esame e l’adeguamento dei protocolli alle condizioni particolari del paziente che ha in cura. In pratica, caro Ivan, la Corte riprende un tuo antico concetto, quello di “auto-re” nel senso di “autonomia” e “responsabilità”!
 
La Corte di Cassazione rincara la dose (sentenze 2865/2011; 11493/2013; 26966/2013) stabilendo che:
- “l’arte medica, mancando per sua stessa natura, di protocolli a base matematica e cioè pre-dimostrata rigorosa successione di eventi, spesso prospetta diverse pratiche o soluzioni che l’esperienza ha dimostrato efficaci, da scegliere oculatamente in relazione a una cospicua quantità di varianti che, legate al caso specifico, solo il medico, nella contingenza della terapia, può apprezzare”.
-...questo concetto non può essere compresso a nessun livello né disperso per nessuna ragione, pena la degradazione del medico a livello di semplice burocrate, con gravi rischi per la salute di tutti.”
-…è doveroso attenersi a un complesso di esperienze che va solitamente sotto il nome di dottrina, quale compendio della pratica nella materia, sulla base della quale si formano le leges artis, cui il medico deve attenersi dopo attenta e completa disamina di tutte le circostanze del caso specifico, scegliendo, tra le varie condotte terapeutiche, quella che l’esperienza indica come la più appropriata”.
 
Proprio da quest’ultima affermazione discende il dovere del medico di frapporsi alle pretese di una “appropriatezza” calata dall’alto e che ha come scopo dichiarato quello di “risparmiare”. Ma risparmiare cosa? Danaro? Forse che la complessità e variegatezza dei milioni di quadri clinici che i medici hanno dinanzi a sé ogni giorno può essere compresso in alcune linee guida assemblate mediante ricerche su pazienti altamente selezionati e per lo più con monopatologie? Beh! Se vogliamo scherzare possiamo anche dirlo. Ma siamo lontani anni luce dalla realtà.
 
Bene hai fatto a ricordare gli aspetti anti-ippocratici del nuovo Codice Deontologico fortemente voluto dalla precedente presidenza Fnomceo, in particolare riferendoti agli articoli 6 e 13 a proposito della “prescrizione” che legata “all’uso ottimale delle risorse” era pericoloso e testualmente scrivevi: “la deontologia del codice, nonostante le petizioni di principio circa l’autonomia professionale risulta purtroppo inquinata dall’economicismo e in qualche caso ad esso subordinata”.
 
E ieri dicevi Non avete voluto darmi retta ed ora se vi si critica fate i permalosi”. Beh! Sai anche che l’Ordine di Bologna, ed una decina d’altri si son ben guardati dall’adottare un Codice ritenuto non aderente alla medicina ippocratica e per la prima volta nella storia italiana sono stati adottati Codici diversi in numerose province, stante l’autonomia – per fortuna! - provinciale.
 
Voglio essere onesto fino in fondo con te che ti spendi così tanto per la nostra professione (che è anche la tua essendo tu laureato in medicina sebbene “honoris causa”).
Vedi, la cosiddetta appropriatezza i medici la esercitano tutti i giorni e mi auguro che al prossimo incontro promosso dal Ministro con la Fnomceo quest’ultima non si limiti a “contrattare” qualche “aggiustamento” sull’elenco dei “duecento” divieti del decreto o si accontenti di non vedersi multata su qualche ricetta ma ribadisca quello che molti Ordini da tempo si ostinano a richiedere, sebbene inascoltati, della necessità di una prolungata quarantena della decretazione che si insinua nell’esercizio professionale, minandolo, e richieda, la Fnomceo al Ministro, un periodo di confronto non basato sull’economicismo ma sui reali interessi dei pazienti.
 
Infatti da tempo, da parte di un consistente numero di Ordini provinciali dei medici, vi è la volontà di accedere non ad una trattativa sull’esercizio professionale imbavagliato ma ad una serena valutazione se su quanto ci viene richiesto in termini economicistici sia realisticamente realizzabile.
 
Per farlo occorre la più convinta nostra partecipazione e questa c’è tutta. Non so se vi sia da parte dei politici: grandi esempi di ascolto non ve ne sono stati negli ultimi anni ma mi auguro che questo barlume proposto dal Ministro della Salute possa effettivamente rappresentare uno spiraglio per la ripresa di un dialogo costruttivo altrimenti sarà quello che dice la Cassazione -...pena la degradazione del medico a livello di semplice burocrate, con gravi rischi per la salute di tutti.”
 
Giancarlo Pizza
Presidente OMCeO della Provincia di Bologna

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