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Giovedì 12 MAGGIO 2016
Tumori. VIII Rapporto Favo. “Anche le cure oncologiche devono fare i conti con la crisi. Farmaci, terapie e assistenza sempre più costose. Serve un nuovo modello di welfare”

I malati oncologici italiani sono 3 milioni e crescono di oltre 90.000 unità ogni anno. Si calcola che già oggi l'assistenza complessiva a un malato di cancro costa attorno ai 40 mila euro l'anno che, con i farmaci di ultimissima generazione, potrebbe raggiungere i 100 mila euro. Costi insostenibili per il Ssn che richiedono scelte e decisioni strategiche non più rinviabili. "La crisi economico-finanziaria ha riscritto i contenuti dell’assistenza necessaria e possibile, anche per i malati di cancro". IL RAPPORTO

“La crisi economico-finanziaria ha riscritto i contenuti dell’assistenza necessaria e possibile, anche per i malati di cancro”. Basterebbe questa frase per capire l’incipit dell’VIII Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici presentato oggi a Roma con cui la Favo (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) come ogni anno fotografa lo stato dell’arte sulla patologia. Se da un lato possiamo apprezzare lo sviluppo di nuove cure che aumentano i tassi di sopravvivenza, dall’altro però i costi crescenti stanno iniziando ad essere insostenibili. Questo sembra suggerirci il Rapporto 2016 realizzato da FAVO insieme a Censis, AIOM, AIRO, SIE, Istituto Nazionale dei Tumori di Milano (INT), Federsanità-Anci, FIMMG, SIMG, SIPO, SICO, AIRTUM, Coordinamento Generale Medico-Legale dell'INPS e Ministero della Salute.
 
“Ogni anno in Italia – ci ricorda la Favo - il numero di malati oncologici - 3 mln nel 2015 - cresce di oltre 90.000 unità (+3%), sia per la maggiore incidenza collegata all’invecchiamento della popolazione, ai fattori ambientali e agli stili di vita – sia, fortunatamente, per i progressi nelle terapie che migliorano la sopravvivenza e cronicizzano la malattia. Per ciascuno di questi pazienti il Sistema Sanitario spende in media oltre 5.000 euro/anno, importo che cresce a tassi elevati a causa dei nuovi farmaci (+15%/anno) e delle terapie tecnologicamente avanzate. Questi tassi male si conciliano con quelli dell’economia e con la crisi della finanza pubblica”.
 
Costi elevati’ che si traducono in vite salvate. “I nuovi farmaci – si legge -, uniti alla possibilità di diagnosi sempre più precoci hanno “cambiato i numeri” delle patologie oncologiche e reso la guarigione un traguardo sempre più raggiungibile. Secondo i dati pubblicati nel 2014 dall’AIRTUM - Associazione Italiana Registri Tumori, circa 2,4 milioni di italiani, pari al 4,4% della popolazione, vivono con una diagnosi pregressa di tumore. Di questi, il 60% (vale a dire il 2,7% del totale della popolazione) sono lungo sopravviventi, e cioè pazienti che hanno avuto la diagnosi da più di cinque anni. Ma il dato più rappresentativo degli effetti del progresso è che il 27% delle persone che vivono dopo una diagnosi di tumore ha raggiunto un’aspettativa di vita simile a quella di chi non ha mai convissuto con una simile patologia”.
 
L’impatto dei farmaci innovativi sulla Sanità italiana. In Italia sono stati diagnosticati nel 2015 366 mila nuovi casi di tumore, i decessi sono stati 175 mila ed i pazienti in cura sono stati 3 milioni. Il 27% degli italiani colpiti da tumore può essere definito guarito e la sopravvivenza a 5 anni è passata dal 39% nel 1990-1992 al 57% nel 2005-2007.

Ad oggi sono disponibili ben 132 farmaci antitumorali e negli ultimi 15 anni ne sono stati immessi sul mercato 63. Ma solo una sostanza su 10 mila supera le prove necessarie per essere approvata, non più di 2 farmaci su 10 consentono di ammortizzare i costi di ricerca e sviluppo, e gli investimenti possono superare 1 miliardo di euro per farmaco.

Anche i costi di trattamento sono aumentati: il costo giornaliero medio di un farmaco antineoplastico è aumentato da 42,20 euro nel periodo 1995-1999 a 203,47 euro nel periodo 2010-2014. Il costo medio di una terapia complessiva è passato da 3.853 euro nel 1995-1999, a 44.900 euro nel 2010-2014. La spesa per farmaci oncologici in Italia è passata da circa 1 miliardo  nel 2007 a 2 miliardi e 900 milioni nel 2014.
 
Cronici ritardi negli iter autorizzatividi Aifa e Regioni. Inoltre “avere le terapie giuste al momento giusto è l’unica soluzione per rispondere in modo adeguato alla domanda di cure efficaci. Ciò purtroppo non avviene a causa di ritardi dovuti all’iter autorizzativo dell’AIFA e alle Regioni per il loro inserimento nei PTOR. Secondo dati Censis-FAVO, il 53,8% dei pazienti pensa che la messa a disposizione di terapie innovative personalizzate sia una priorità, il 78,8% ritiene che “troppi farmaci per patologie gravi siano a carico dei pazienti” e l’83% che il ticket penalizzi le persone malate. Molte agenzie regolatorie internazionali (EMA, MHRA/NICE, AFSSAPS) hanno ritenuto necessario coinvolgere i pazienti (o i loro rappresentanti) nelle varie fasi di sviluppo e commercializzazione di un nuovo farmaco, soprattutto per quanto attiene alla qualità di vita e ai relativi aspetti etici e sociali che ogni nuova terapia spesso introduce”.

“E’ ormai imprescindibile – si evidenzia - che le aziende instaurino un “dialogo precoce” con l’EMA, sia in relazione alla utilizzazione di dati provenienti dalla pratica clinica ma anche dell’armonizzazione delle valutazioni costo – efficacia dell’Health Technology Assessment (HTA) per i nuovi prodotti”.
 
La strada da seguire. “Sui costi dell’Oncologia in rapporto alla spesa sanitaria si trovano dati scarsi e poco attendibili – ci dice il Rapporto - . Le fonti più autorevoli riportano una spesa oncologica per cittadino residente di 114 euro lungo tutta la filiera dalla prevenzione al fine vita, il che si tradurrebbe in un’incidenza sulla spesa sanitaria complessiva tutto sommato marginale, pari al 5,8% circa. Secondo uno studio dell’IRST-IRCCS, il costo oncologico è realisticamente almeno 3 volte superiore (oltre 300 euro per cittadino/anno), e si avvia a rappresentare il 20% della spesa sanitaria complessiva”.

L’esigenza di ridurre sprechi e disomogeneità. “Ma questa carenza di consapevolezza – si legge - su “quanto si spende” per l’Oncologia in rapporto a “cosa si ottiene” (il cosiddetto “valore”) è significativa, in quanto misurare un fenomeno è sempre il primo passo per governarlo (“what you get is what you measure”). Occorre superare le risposte tradizionali, spesso controproducenti nel medio periodo: tagli lineari indiscriminati; riduzioni e sospensioni di attività a fine anno “per risparmiare” sul bilancio; mancati investimenti, con duplicazione dei costi per mobilità dei pazienti e acquisto di prestazioni da strutture private; sottoutilizzo di macchinari ad alto costo; etc. Lo studio IRST ha rilevato sorprendenti e ingiustificate variazioni negli indicatori e nella spesa oncologica in territori vicini, sintomo di percorsi disomogenei: emblematica la differenza di costo procapite per farmaci oncologici da un massimo di 55 euro in un distretto a un minimo di 35 euro in un altro”.

La proposta: misurare performance e valore delle Reti Oncologiche Territoriali. “Appare evidente - rileva il Rapporto - che affrontare e governare la “tempesta perfetta” in Oncologia sarà cruciale per la sostenibilità e continuità del nostro Sistema Sanitario Nazionale. Le parole chiave sono l’approccio manageriale orientato alla misura del “valore” e ai percorsi di diagnosi e cura, e l’integrazione dei servizi in Reti Oncologiche territoriali di cui governare costantemente la performance\\\".

Inoltre per “la qualità della vita del paziente ed i costi economici, sociali ed umani che ricadono sulle malati e familiari devono diventare il nuovo criterio ordinatore di una innovazione ad alto impatto sociale ed economico. Ed è altresì di fondamentale importanza che, anche in Italia, si sviluppi sempre più la cultura dell’Health Technology Assessment e che questa venga svolta principalmente nell’ambito di in un organismo “centralizzato e dedicato” evitando duplicazioni inutili e costose”. 

“La combinazione reattiva con i cambiamenti demografici, con la disgregazione del precedente modello di famiglia e con l’aumento esponenziale dei costi dell’innovazione tecnologica rende necessaria una nuova visione del welfare che si avvalga anche dei contributi di attori non istituzionali, ma capaci di rappresentare e interpretare la domanda di assistenza come le associazioni dei malati. Ai nuovi bisogni complessi non corrispondono, infatti, adeguate risposte”, scrive il presidente Favo Francesco De Lorenzo.
 
“Il sistema sanitario è in sofferenza, schiacciato dalla contingenza e dall’improvvisato contenimento della spesa. È anche orfano di un progetto politico che ne attualizzi gli scopi e lo renda al passo con i tempi. L’associazionismo dei malati dovrà intervenire nella costruzione della nuova visione, ponendosi come stabile interlocutore al fianco di tutti gli attori coinvolti nel cambiamento”. E in questo senso “il contributo del volontariato oncologico è pertanto centrale e strategico in ragione dell’elevato impatto economico e sociale del cancro, sia con riferimento alla fase acuta, sia con riferimento alla fase di riabilitazione ancora oggi sorprendentemente trascurata dal Servizio sanitario nazionale.
 
De Lorenzo affronta poi anche il problema dei nuovi farmaci. Sul versante dell’assistenza farmaceutica non è più accettabile confinare l’innovatività a una valutazione sull’efficacia clinica e per di più limitata alla fase acuta della malattia. Il cambiamento che FAVO auspica è legato alla considerazione della qualità della vita assicurata dal farmaco e non solo della quantità. A fronte di una spesa per le cure oncologiche cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi venti anni, la scelta delicata e spesso “tragica” della classe di rimborsabilità di un farmaco deve essere orientata da criteri nuovi. L’efficacia, infatti, non può più essere misurata soltanto in ambiente clinico, ma si dovrà valutare l’impatto complessivo sulla qualità della vita, dagli aspetti familiari, a quelli sociali e lavorativi”.
 
“Nel trattamento dei tumori – ricorda poi il presidente Censis Giuseppe De Rita - stanno arrivando farmaci di nuovissima generazione ad altissimo prezzo. Si parla di farmaci che vanno a colpire una singola mutazione genetica; che sono quindi funzionanti solo ad un singolo percorso di cura; che non possono puntare sulla universalizzazione dei trattamenti; e che di conseguenza devono trasferire il proprio costo ad un singolo paziente, con un costo evidentemente altissimo. Chi si può accollare un tale carico? Ricordiamoci che già oggi il costo sociale del tumore per l’unità di riferimento (paziente e care-giver) è di 41 mila euro ogni anno; se ad esso dovesse aggiungersi il costo di un farmaco di nuova generazione (si ragiona di 50-60 mila euro all’anno) si arriverebbe ad oltre centomila euro l’anno".
 
"Una cifra insostenibile per il singolo malato e la sua famiglia - precisa - , ma anche per il sistema sanitario nazionale. E che facciamo? Sballiamo bilanci familiari e pubblici, oppure lasciamo il malato senza la speranza (fra l’altro più fondata che nel passato) di prolungare significativamente i suoi anni di vita? È questa la novità radicale di questi ultimissimi anni, su cui si va sviluppando un dibattito pubblico molto delicato: da una parte si sottolinea l’obbligato rifiuto di alcuni sistemi sanitari pubblici (per esempio quello inglese) a farsi carico del costo di medicinali miratissimi ed individualizzati; dall’altra parte si sottolinea quanta angoscia una tale decisione porterebbe nei malati ed in genere nella popolazione delle varie nazioni, in una opinione pubblica prevalentemente orientata a ritenere che il prolungamento della vita è un valore da non subordinare a fattori di costo, il tempo, anche una sua piccola frazione, è un tesoro comunque da conservare e valorizzare”.

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