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Martedì 17 MAGGIO 2016
Chi ha paura degli Osteopati?



Gentile direttore,
l'Osteopatia praticata dagli osteopati, a differenza dell'osteopatia praticata dai non osteopati, non è "Medicina empirica o alternativa" bensì "Medicina preventiva e interdisciplinare". E come tale viene giustamente definita dall'attuale legislatore. Alcune lobby della sanità italiana vorrebbero relegare l'osteopatia in ambiti differenti per salvaguardare lo status quo, negando evidenze attuali come i rapporti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, la norma europea CEN, la regolamentazione degli osteopati in numerosi Paesi d'Europa e del mondo.

E' singolare il tentativo di considerare alcune indicazioni terapeutiche proprie di una corporazione professionale e precluse ad altre competenze. Non potendosi riconoscere dignità intellettuale a una simile rivendicazione di esclusività, la sola interpretazione del clamore attuale di alcune rappresentanze contrarie all'osteopatia parrebbe riferirsi al mero corporativismo; ovvero, alla difesa pregiudiziale delle proprie posizioni volta ad alimentare artatamente sentimenti negativi verso gli osteopati, ai quali si imputa ingiustamente  la prospettiva di precarietà e inadeguatezza professionale dei propri associati.

Iniziativa metodologicamente spregiudicata e assolutamente scorretta nel merito. Pare infatti superfluo riferire autorevoli esempi di interprofessionalità e multidisciplinarietà sanitaria, laddove le indicazioni di trattamento corrispondano a differenti mansioni tra esse cooperanti ad esclusivo beneficio dei pazienti.

E' altrettanto oggettivo il dato nazionale che attribuisce agli osteopati la soddisfazione significativa di un elevato numero di italiani: elementi quantitativamente rilevanti, suffragati dai dati della ricerca internazionale e dagli orientamenti di essenziali Istituzioni nazionali e sovranazionali che considerano l'osteopatia una pratica scientificamente fondata per configurarsi come disciplina autonoma in ambito sanitario.

Pare una battaglia tardiva e persa in partenza quella combattuta contro la professione osteopatica, per qualche strana ragione non similmente orientata verso i chiropratici a cui anche si rivolge l'iniziativa legislativa. Quasi una testimonianza obbligata per quanto accesa e talvolta scomposta nei toni.

Ben più produttiva e meglio finalizzata sarebbe invece la vigilanza sui metodi con cui abilitare i nuovi professionisti. Infatti, assai più credibile e degno di rilievo sarebbe il ruolo delle rappresentanze sanitarie se orientato a richiamare la qualità delle prestazioni degli osteopati in riferimento alla tracciabilità istituzionale della loro formazione e del loro esercizio, anche in termini retroattivi. 

Appare infatti condivisibile che le abilità e le competenze culturali acquisite in corsi di formazione sotto controllo terzo possano rappresentare il metro preliminare per la successiva regolamentazione dei professionisti. E, nella fattispecie, vorrei richiamarmi ai contenuti del "Disciplinare della professione di osteopata" come da voi pubblicato a margine dell'intervento del collega Luigi Ciullo: un documento prodotto dall'esperienza Europea e ispiratore della norma CEN per l'osteopatia.

Più utile per la collettività e anche per loro stesse sarebbe quindi l'attenzione delle associazioni alla validità dei curricula formativi degli osteopati, anziché puntare il dito indistintamente su un'intera categoria professionale o su trascurabili attività di altre associazioni private. 

Qualora e auspicabilmente venga approvata la legge di imminente discussione, molto più credibili apparirebbero iniziative finalizzate alla definizione di criteri vincolanti per l'accesso ai nuovi ordini professionali, ad esempio e come premesso, in riferimento ai percorsi di studi ufficiali in Italia e all'estero.

Detto altrimenti,  se il reale timore delle rappresentanze sul piede di guerra è rappresentato dal proliferare  di professionisti non qualificati, altri e più conseguenti a tale finalità dovrebbero essere i loro campi d'azione: a partire dagli "standard di riferimento" non tanto della professione tout court quanto delle competenze e della tracciabilità dei nuovi operatori. I primi, infatti, sono stati già definiti dalle maggiori autorità internazionali; i secondi, invece, di stretta competenza nazionale.

Non vorremmo dover pensare che un piccolo numero di osteopati adeguatamente qualificati e indubbiamente utili al Sistema Sanitario faccia più paura di una pletora di operatori sedicenti che si vorrebbe mantenere sotto il controllo di lobby sempre meno rappresentative o, in alternativa, condannare come abusivi.
 
Luciano Doniaquio
Osteopata e Fisioterapista / Docente I.E.M.O. Genova

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