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Mercoledì 06 LUGLIO 2016
Forum Fiaso: “Ssn migliora perfomance nonostante crescita spesa privata e altro costo farmaci, che non sempre è giustificato da un miglioramento condizioni pazienti” 

Istituzioni, economisti ed esperti a confronto a Roma nel Forum sullo stato di salute della sanità italiana. Riflettori puntat sulla spesa privata che ha oramai raggiunto quota 33 miliardi, quasi un quarto della spesa sanitaria complessiva. Ed è quasi tutta “out of pocket”. Allarme per il tasso di copertura dei servizi pubblici per i 2,5 milioni di non autosufficienti: non supera il 10-20%. Ma nonostante tutto il "Ssn tiene".

La sanità italiana è stata sottoposta a stress in questi anni, pur avendo mantenuto un ottimo posizionamento nelle classifiche internazionali. Da un lato una spesa privata in costante crescita, con solo il 15% di copertura pubblica dei servizi ai 2,5 milioni di non autosufficienti e il 45% delle visite specialistiche oramai a pagamento. Dall’altro prezzi da 100mila euro a ciclo terapeutico richiesti per farmaci con solo il 16% dei costi giustificati dall’effettivo miglioramento dei pazienti. In mezzo un servizio sanitario pubblico, che nonostante le accuse di inefficienze e sprechi e che pur “dovendo fare con poco”, tiene. Come dimostrano il 68,5% dei casi di miglioramento delle performance sanitarie valutate su 92 indicatori. E’ quanto emerge da “Lo stato di salute della sanità italiana” illustrato oggi a Roma da istituzioni, economisti, manager ed esperti del settore nell’incontro organizzato da FIASO, la Federazione di Asl e ospedali in occasione della sua Assemblea nazionale, non elettiva, con Accademia di Medicina.

“Gli studi e i dati presentati nel corso dell’incontro – afferma il Presidente FIASO, Francesco Ripa di Meana-non collimano con la narrazione dominante secondo la quale i processi di efficientamento e di lotta alla corruzione sarebbero sufficienti a mantenere il nostro sistema di diritto alla salute, così come costruito in 50 anni. E ciò che è più pericoloso, facendo finta che tutto rimarrà come prima senza che sia necessario assumere delle decisioni sulle politiche da adottare”. “Questo – prosegue il Presidente FIASO- malgrado la crescita di un nuovo privato con 8 milioni di assicurati, la palese iniquità delle differenze tra territori e sistemi, la costruzione di mega-aziende che non sono più aziende, l’assenza di politiche che indirizzino nuove risorse verso l’innovazione”. “Nel frattempo si susseguono continui interventi sul sistema, che possono rappresentare una opportunità se inquadrati in un processo ben governato, ma che diventano palliativi, o peggio, forme mascherate di razionamento , se inseriti in una narrativa lontana dalla realtà del ‘mal governo da raddrizzare’ e degli infiniti risparmi potenziali”.

“L’impegno passato, presente e futuro delle Aziende resta quello di garantire la tenuta dell’SSN e il miglioramento delle performance relative a 92 indicatori di qualità mostrano che fino ad oggi ci siamo riusciti. Ma alcuni problemi –aggiunge Ripa di Meana- si acutizzano: il personale a tempo indeterminato diminuisce mentre le inidoneità raggiungono in media l’11,8%; il tasso di obsolescenza tecnologica dei nostri ospedali è passato dal 70% del 2009 all’80% del 2013, quello delle Asl dal 71 all’85%; le risorse della sanità digitale sono in costante diminuzione, eccezion fatta per lo scorso anno. FIASO –conclude Ripa di Meana- è in prima linea nel raccogliere la sfida del ‘fare meglio con meno’, ma è necessario sostituire questa visione astratta del miglioramento all’infinito quasi per inerzia, costituito da interventi che finiscono in realtà per incidere su diritti, asset e governo del sistema”.

“Il cuore della questione è che nuovo non è sinonimo di innovativo”, afferma Giuseppe Traversa, del Comitato scientifico dell’Istituto superiore di Sanità. Affermazione supportata dai dati della prestigiosa rivista Jama oncology presentati dallo stesso Traversa nel corso dell’incontro. Ebbene il prezzo dei costosissimo nuovi farmaci oncologici (fino a un milione di dollari a terapia) è quasi del tutto indipendente da guadagno apportato in termini di “sopravvivenza libera dalla progressione della malattia”. “Mettendo infatti in correlazione il prezzo con il miglioramento dell’esito –spiega Traversa- si scopre che solo una minima porzione di questo, pari al 13-16% è giustificata dall’entità del miglioramento in termini di salute”. E il problema è che, come denunciato a febbraio dal New York Times “non si riescono a controllare neppure i prezzi dei medicinali a brevetto scaduto, che anzi in alcuni casi subiscono incrementi enormi”.

Le vie di uscita adottate da altri Paesi possono essere quella del prezzo per QALY, acronimo che sta per “Quality Adjusted Life Years”, unità di misura degli incrementi di aspettativa di vita connessi agli interventi sanitari. Nel qual caso bisognerebbe valutare il vantaggio anche in termini di risparmio per altre voci di spesa assistenziali. “Questo presuppone voler adottare la politica del ‘no, grazie’ quando si deve pagare un prodotto nuovo ma sovrapponibile a uno già presente sul mercato ma meno costoso”, afferma Traversa. “Occorre definire qual è il contribuito aggiuntivo che possa far accettare il maggior prezzo: ad esempio se per un antitumorale devono essere accettabili 3 o 6 mesi di sopravvivenza”, si interroga il ricercatore dell’Iss, ponendo questioni etiche di non poco conto. Oppure la scelta può essere quella verso la quale si stanno indirizzando diversi Stati Usa di contenere i prezzi chiedendo procedure trasparenti per conoscere quanto è stato investito in ricerca.

Infine , ma non da ultimo, l’appropriatezza prescrittiva, sulla quale c’è ancora da lavorare, come mostrano i dati illustrati da Traversa, che vedono il Lazio consumare per ciascun assistito 5 volte più dosi di farmaci di quelle consumate dagli abitanti veneti o dell’Emilia Romagna. La spesa privata ha oramai raggiunto quota 33 miliardi, quasi un quarto della spesa sanitaria complessiva. Ed è quasi tutta “out of pocket”, ossia pagata direttamente dai cittadini senza l’intermediazione di fondi integrativi o assicurazioni, che attenuano il rischio di esborsi insostenibili in caso di necessità.

Il tasso di copertura dei servizi pubblici per i 2,5 milioni di non autosufficienti non supera il 10-20%, per l’odontoiatria il 5%. Il 45% delle visite ambulatoriale è “out of pocket”, così come il 40% delle prestazioni riabilitative. Il 70% delle visite ginecologiche è a pagamento. “Insomma il cittadino medio, sano, quando ha bisogno è abituato a pagare e a ricercarsi le prestazioni in un sistema ancora molto frammentato, che favorisce chi ha più competenze”, spiega il Francesco Longo, del Cergas Bocconi, dopo aver sciorinato i dati. “Per questo –aggiunge- anche in sanità, come per Google, Amazon o Tripadvisor, è iniziata la competizione tra chi riuscirà a proporre una piattaforma capace di ricomporre l’offerta di servizi a misura di famiglie e pazienti. Ci stanno già provando farmacie, assicurazioni, cooperative di medici, siti web e privati in genere”. “E in questa competizione il SSN resta il principale attore per dimensioni, strutture e risorse. Ma per la sua debole cultura del servizio –conclude Longo- rischia di far retrocedere al rango di semplice produttore di servizi, lasciando agli altri il ‘packaging’ dell’ultimo miglio”.

Nonostante i costi dell’innovazione vera e presunta, la crescita della spesa privata e “la continua delegittimazione della governance del SSN, il servizio pubblico tiene e migliora le sue performance”, dichiara Sabina Nuti, responsabile del laboratorio “Management e sanità” della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. “Se analizziamo la capacità di miglioramento dei sistemi sanitari rispetto al 2014, dai dati del Sistema di valutazione del Network delle Regioni scopriamo che su 92 indicatori valutati nel 65% dei casi la performance è migliorata e nel 40% si è ridotta la variabilità geografica tra le aziende, il che significa che le Regioni sono riuscite a garantire anche maggiore equità”, afferma la Nuti. Che nell’”ingaggio” dei professionisti per la valutazione delle performance vede “lo strumento principale per garantire la tenuta del sistema”. “Mentre la recente esperienza del “decreto appropriatezza”, che mirava a controllare direttamente l’attività dei medici prescrittori con un sistema sanzionatorio, insegna che l’approccio di tipo impositivo è destinato quasi inevitabilmente a naufragare”.

Meno ottimistico il quadro fornito dai dati presentati da Federico Spandonaro, Presidente del Crea-sanità dell’Università Tor Vergata di Roma. Se nel 2003 la quota di finanziamento pro-capite differiva di circa 500 euro tra Italia e i 14 principali Paesi UE, quella forbice è destinata ad allargarsi fino a circa 1.500 euro (3.700 circa contro i 2.200 dell’Italia). Un gap che resta alto anche se rapportato al Pil pro-capite, con un meno 25% di risorse pubbliche rispetto all’Ue a 14, non compensato dalla spesa privata, che se pur in crescita nel nostro Paese resta più bassa del 18% circa rispetto ai Paesi di riferimento europei. “Questo –afferma Spandonaro- sta facendo perdere al nostro Paese il vantaggio che aveva in termini di salute rispetto al resto d’Europa, con un’aspettativa di vita che resta alta ma con tanti anni marcati da problemi di salute”. Che affliggevano meno del 55% dei nostri over 75 nel 2004 e che oggi taccano quasi il 65% dei nostri anziani.

“E’ una illusione che il nostro SSN performi benissimo”, afferma senza giri di parole Spandonaro. Che a riprova mostra i segnali di “razionamento” dell’innovazione farmacologica nel nostro Paese, marcati da un minor consumo di nuove molecole rispetto ai Paesi Big dell’Ue, che sono del 90% nel 2014, con un 32% di molecole approvate dall’Agenzia europea del farmaco, l’EMA, che nel nostro mercato non sono proprio entrate”.
Segnali allarmanti, che per Spandonaro “impongono di definire chiaramente quali siano le priorità del nostro SSN”.

E’ in questo contesto che sta realizzandosi “una tendenza diffusa alla ri-centralizzazione regionale e de-aziendalizzazione”, denuncia Mario Del Vecchio, Direttore del CUSAS dell’Università di Firenze. Un processo che per il professore passa attraverso “l’aumento delle dimensioni aziendali fino alla loro quasi regionalizzazione, la diffusione di entità intermedie anche ai fini di governo, vincoli e prescrizioni che prendono il posto di stimoli e orientamenti”. Tutto questo “accompagnato da una retorica che vede la Aziende e i loro Dg accumunati impropriamente ai costi della politica”.
I tempi richiedono invece secondo Del Vecchio “di riportare il baricentro sulle Aziende, separando meglio la politica dalla gestione, governando persone e processi complessi non solo con l’ordine gerarchico ma attraverso senso di identità e di appartenenza”. Senza dimenticare che “sistemi complessi come quelli sanitari hanno bisogno di responsabilità intermedie, anche per garantire bilanciamento degli interessi e accountability”. Quel middle-management al quale apre le porte della Federazione il nuovo Statuto approvato dall’Assemblea FIASO.
 

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