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Giovedì 10 NOVEMBRE 2016
Cavicchi e la ‘Quarta riforma’. Uno stimolo ‘non facile’, ma il cambiamento non può essere eluso



Gentile direttore,
la nostra vecchia cara Europa sembra ancora affezionata, sia pur tra molte defezioni, ai principi della socialdemocrazia e quindi alla tutela della salute intesa come diritto universale a prestazioni uguali per tutti. Il nostro Servizio Sanitario Nazionale rappresenta senz’altro una delle massime espressioni di questo diffuso pensiero. Per quanto disomogeneo, pieno di criticità, non sempre efficace, il nostro Servizio Sanitario resta un ottimo esempio di come con pochi soldi e abbastanza sprechi si possano raggiungere ottimi risultati.
 
Altresì tutti sappiamo che questo sistema va cambiato e non solo per la transizione demografica, la prevalente cronicità e la minor propensione alla sostenibilità sociale ma perché i costi dell’innovazione sono tali da rendere quasi impossibile che la Sanità pubblica possa concedere tutto quanto la Medicina moderna offre. 

Ivan Cavicchi ha raccolto tutte le idee maturate in tanti anni di acuta e attenta riflessione sulla medicina e la sanità e ne ha tratto un altro libro stimolante e provocatorio, la "Quarta Riforma", cioè un discorso, dai toni quasi conviviali, sulla assoluta necessità che per la quarta volta il servizio sanitario sia radicalmente ripensato e modificato. Ivan parte dalla difesa dei valori fondanti del sistema e, rendendosi conto che le esplosive problematiche economiche si intrecciano con la travolgente trasformazione della medicina e della società, propone un cambiamento sostanziale non una semplice “riparazione” o "riduzione del danno".
 
Come è possibile superare gli sprechi, utilizzare al meglio i dati disponibili, superare il disagio del personale, battersi contro una medicina fondata sull’amministrazione e non sulla libertà di scelta del medico? Da quella che è una silloge del suo pensiero, Cavicchi organizza e scrive una riflessione che, dopo un vasto e approfondito esame della situazione attuale, si conclude con dieci proposte ben articolate, ambiziose e assai innovative.
 
Perché non aprire un ampia discussione nel paese per adottarne le migliori? Forse perché ancora vale il celebre detto di Massimo D’Azeglio: “fatta l’Italia bisogna fare gli Italiani”; non basta modificare le leggi, occorre modificare la cultura della gente, cambiarne la testa. Le proposte sono stimolanti, e questo è già un grande elogio, ma pongono problemi non facilmente risolvibili nel attuale contesto politico e sociale. Oggi è come se la celebre genialità degli italiani servisse per creare vicendevoli ostacoli e poi la si usasse per inventare modi per superarli, per girare intorno ai lacci che abbiamo intrecciato intorno a noi stessi. 

Comunque alcune proposte organizzative contenute nel testo possono essere attuate, purché si trovi la volontà politica; tuttavia, superare le logiche sulla tutela della salute, ridurre la domanda e aumentarne la pertinenza non esigono soltanto atti di governo ma cambiamenti culturali. Che cosa ne dicono i cittadini, i mass media, gli amministratori locali? Produrre più salute, come propone Cavicchi, non è un problema da risolvere fra di noi ma prevede un patto con le multinazionali del farmaco e passa attraverso una serie di decisioni inerenti l’uso della medicina personalizzata e della genetica.
 
Tra produttori, medici e cittadini qualcuno deve stabilire delle regole di sostenibilità proprio per garantire coloro che hanno bisogno di tutela indipendentemente dal loro reddito. Quando affrontiamo questi temi di democrazia e socialità siamo portati ad enfatizzare la partecipazione dei cittadini, ottima cosa, purché si sia in grado di convincere le comunità che non occorre avere la risonanza magnetica e il robot chirurgico nei più sperduti paesini. 
 
Cavicchi ha ragione, ed io sono d’accordo, sulla necessità, anzi l’obbligo ormai, di ripensare la Medicina dal punto di vista metodologico e formativo, la difficoltà è di farlo in un momento di transizione come questo in cui c’è da gestire la medicina virtuale, i big data e le converging technologies. La Medicina della scelta trova il suo limite nella difformità dei comportamenti umani per cui succede che sia necessario dire al medico cosa deve fare o non fare, altrimenti si può scambiare libertà con anarchia.
 
La compossibilità, termine che il Cavicchi usa in senso tomistico, ha senso se vi è la ragionevole comprobabilità che  più cose diverse possano convivere. Il medico "autore", caro a Ivan, è in realtà un autore/attore e il teatro non è suo né egli cura la manutenzione e la scenografia. Si intravede una sorta di fuzzy medicine o medicina della irrazionalità, appassionante se in mani guidate da una forte razionalità illuministica, altrimenti  ingestibile per le difficoltà frapposte ai sistemi di verifica dei risultati e di assegnazione delle responsabilità. 

Cavicchi propone molte tracce di dibattito assolutamente condivisibili e molte soluzioni assai ben centrate, da quelle istituzionali al rapporto fra professioni, tuttavia la questione fondamentale, per rendere plausibile ciò che è possibile e viceversa, è la capacità di affrontare un’opera gigantesca, quella di cambiare i paradigmi e i punti di osservazione di tutti gli attori del sistema, cittadini, amministratori e i professionisti.

Su una questione concordo totalmente con Cavicchi, l’autolesionismo dei medici. Quis vult perdere Deus dementat, eppure ci sarebbero tutte le condizioni per gestire un ruolo sociale ancor più significativo di quello tradizionale, al di là di recriminazioni su un passato che forse non è mai esistito; a noi capita di vivere un momento entusiasmante del progresso della scienza e della tecnica: si aprono praterie sconfinate alla conoscenza e alla capacità della medicina di cambiare la vita delle persone.
 
Allora perché non provare? Credo che dobbiamo essere grati allo sforzo di Ivan che, in questo libro, è riuscito a raccogliere e sintetizzare decenni di riflessioni sulla medicina stimolando un dibattito che non può essere eluso e definendone con assoluta precisione i confini metodologici e gli spazi sociali. La proposta è di aprire una discussione generale e poi affrontare tema per tema tutti gli aspetti del complesso e variegato problema della medicina moderna, aprendo nella società un dibatto uguale a quello che negli anni ‘70 portò alla prima riforma, la legge 833.
 
Antonio Panti
Presidente Omceo di Firenze

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