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Mercoledì 18 GENNAIO 2017
I nuovi Lea e la crudele verità dei numeri

Già oggi offriamo più LEA di tutti gli altri Paesi ma li finanziamo meno, congestionando il sistema che quindi si scarica su liste d’attesa, spesa privata record, infatti sostitutiva, compresa l’intramoenia, ossimorica libera professione pubblica, o rinuncia alle cure (vedi gli allarmanti recenti dati ISTAT). E cosa accadrà ora con il nuovo pacchetto di prestazioni?

È solo post-verità mediatica il “da oggi più prestazioni gratuite per tutti”? “Larger than life”, dicono gli anglofoni, il nostro “passo più lungo della gamba”? Il passo sono i LEA rinnovati e ampliati e la gamba la capacità finanziaria e organizzativa del sistema di soddisfarli.
 
Misura lodevole, ma si riuscirà ad applicarla efficientemente? O, visto che in parecchie parti del Paese la gamba è già brevilinea e pure claudicante, il maggiore carico ingolferà ancora di più il sistema già congestionato creando paradossalmente maggiori rallentamenti?
 
Allora, in tempi di confondenti post-verità, cerco la pre-verità. Chiedendo lumi ai numeri. Nell’OCSE il nostro SSN è quello già con più LEA, con la maggiore copertura di prestazioni. Ma spende meno di tutti, o quasi, (6,7% del PIL) D’altro canto, la spesa privata è tra le più elevate, sia sul PIL (2,4%) sia sulla totale (27%). Spesa privata, infatti, prevalentemente sostitutiva: per LEA che il SSN non riesce ad evadere in modo efficiente.
 
In sintesi: offriamo più LEA di tutti gli altri Paesi ma li finanziamo meno, congestionando il sistema che quindi si scarica su liste d’attesa, spesa privata record, infatti sostitutiva, compresa l’intramoenia, ossimorica libera professione pubblica, o rinuncia alle cure (vedi gli allarmanti recenti dati ISTAT).
 
Con una potenziale aggravante in prospettiva: diventando coperte dalla sanità pubblica nuove prestazioni, il loro consumo tenderà ad aumentare (Buchanan, Legge sulla Scelta Pubblica) così ingolfando ulteriormente quel già congestionato collo di bottiglia di cui sopra.
 
Quali le soluzioni? Due le possibili direttrici. La prima, direbbe De André, è in direzione ostinata e contraria: limitare i LEA. Come avviene negli altri grandi Paesi. Una limitazione equa, per prestazioni e/o per reddito, fa sì che siano erogate con efficienza. La spesa privata sarebbe solo integrativa per quelle non coperte. Da ricordare come in quei Paesi la spesa privata,  che appunto è solo integrativa, sia inferiore alla nostra.
 
La seconda soluzione richiama il proverbiale rasoio di Occam, ovvero la più lineare: più finanziamento dei LEA in modo significativo (non il giochino contabile dei 770 milioni). Il razionale c’è: siamo il Paese con la minore fetta di spesa pubblica al SSN, il 12% (G 21%, UK 18%, FR 15%, NL e SW 19%, media EU 28 16%). Basterebbe il coraggio, tutto politico, di prendere risorse da aree di spesa pubblica oggi più finanziate ma dalla minore utilità collettiva, dando alla sanità la priorità che merita ma che oggi non ha.
 
Insomma è certamente un’ottima misura di welfare allargare i LEA. Solo che farlo mantenendo “ceteris paribus” le stesse condizioni finanziarie e organizzative di contesto e contorno equivale, al netto della festosa post-verità mediatica, alle proverbiali nozze coi fichi secchi.
 
Specialmente nelle regioni già più critiche, si rischia un ulteriore maggiore congestione del sistema così non solo non migliorandolo come nelle pur lodevoli intenzioni ma persino peggiorando l’esistente.
Finendo col produrre un clamoroso effetto paradosso: offro tutto a tutti, ancora di più con i nuovi LEA, ma col risultato che il sistema rallenta e la gente si cura meno e peggio. Vichiane eterogenesi dei fini? No, puro tafazzismo sanitario.
 
Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia Sanitaria

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