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Martedì 14 FEBBRAIO 2017
Il caso di Ancona e gli impropri procedimenti disciplinari



Gentile direttore,
il dibattito che si è aperto in merito al procedimento disciplinare aperto dall’Azienda Ospedaliera di Ancona ci consegna uno spaccato delle condizioni organizzative e di lavoro presenti delle strutture sanitarie degli ultimi anni. I fatti sono noti ai lettori di Quotidiano Sanità: un infermiere viene sottoposto a procedimento disciplinare perché non ha rispettato i turni di servizio che prevedevano dopo il turno mattutino, la pronta disponibilità notturna lavorata per otto ore, il successivo turno pomeridiano.
 
Le condizioni di lavoro nelle strutture stanno pagando lo scotto della costante diminuzione di personale che non accenna a diminuire e i dirigenti cercano, non sempre riuscendoci, di programmare turni di lavoro che siano rispettosi dei diritti imposti dalle normative italiane e europee in materia di orario di lavoro e le esigenze della copertura dei servizi.
 
Gli alti dirigenti che rappresentano l’azienda interessata ammettono di non potere garantire il rispetto dei parametri di legge che, nel caso di specie, violava ben due disposizioni: la durata massima della prestazione giornaliera e il mancato rispetto del diritto al riposo giornaliero delle 11 ore.
 
La direzione generale e la direzione amministrativa dell’azienda, nelle persone del dott. Michele Caporossi e del dottor Antonello Maraldo, ha citato un mio articolo apparso proprio su Quotidiano Sanità dove però specificavo che la chiamata in pronta disponibilità del lavoratore cambia il regime in cui si trova il lavoratore stesso: non più “reperibile”, ma al lavoro con la conseguenza di avere il diritto al riposo giornaliero delle 11 ore.
 
La non equiparazione tra pronta disponibilità passiva e attiva è stata successivamente confermata dalla stessa Corte di cassazione sul mancato rispetto del riposo settimanale e che anche altri hanno avuto modo di citare.
 
La questione da uno stretto punto di vista giuridico è chiara ed è stata affrontata in queste pagine ripetutamente con riferimenti nazionali ed europei (vedi l’ottimo articolo di Carlo Palermo).
Quello che stupisce è l’irragionevolezza del procedimento disciplinare che non può essere lo strumento per garantire la copertura dei turni a pianta organica insufficiente.
 
Da un lato l’azienda ammette di programmare un orario di lavoro non rispettoso della normativa vigente, dall’altro a fronte di una disposizione di servizio non lecita e non rispettata per motivi di comprensibilissima stanchezza fisica, si risponde con un procedimento disciplinare nei confronti di un dipendente vittima di orari di lavoro non conformi a legge e certo non inadempiente ai propri doveri.
 
E’ un brutto infortunio a cui un’azienda prestigiosa e importante come l’Azienda ospedaliera di Ancona deve porre rimedio. La difesa d’ufficio del dirigente, da parte della Direzione Generale, è comprensibile in una strettissima logica aziendalistica, meno se pensiamo alla mission stessa di un’azienda del Servizio sanitario nazionale che deve garantire sicurezza e qualità delle prestazioni ai cittadini. Il fatto che il resto dell’equipe sia andata a lavorare, non è un’attenuante per l’azienda, bensì un’aggravante.
 
In questi giorni la Camera, probabilmente, approverà in via definitiva la legge Gelli che dedica un’importante parte sulla prevenzione dei rischi e tutto rischia di essere vanificato se non si riesce neanche a consentire il riposo giornaliero dopo quattordici ore lavorate di cui, otto nel turno notturno. In questi decenni ci sono stati numerosi e sofisticati studi sugli “errori umani”, ma che non presuppongono certo la completa mancanza del riposo notturno.
 
Colpisce l’ampia solidarietà posta con vari accenti delle più importanti sigle sindacali mediche come l’Anaao, l’Aaroi e la Cimo che hanno posto, con accenti diversi, la questione delle condizioni organizzative e la carenza di professionisti comune a tutta la sanità.
 
Servirebbe verosimilmente uno sforzo della dirigenza che pur essendo costretta a operare con i continui tagli imposti – di cui, ovviamente, non è responsabile – dovrebbe far sentire la propria voce ai decisori politici sull’inaccettabilità di continuare a tenere servizi aperti con personale insufficiente e sempre più anziano.
 
L’accorata e garbata lettera aperta di Elsa Frogioni al Ministro della salute e il lamento dei colleghi dell’infermiere coinvolto nel procedimento disciplinare testimoniano un disagio tangibile la cui risposta non può e non deve essere l’apertura di un procedimento disciplinare. La giustizia disciplinare rimanga confinata nell’alveo delle inosservanze e non sia estesa come metodo ordinario per la gestione del personale. Preoccupano le bozze sui “decreti Madia” che ampliano discrezionalità e tempi proprio dei giudizi disciplinari.
 
Sarebbe significativo che lettere aperte a Ministri, Assessori e Presidenti di Regioni fossero spedite anche da chi ricopre posti di responsabilità nel Servizio sanitario regionale e nazionale per chiedere a gran voce soluzioni per porre in sicurezza le prestazioni sanitarie e garantire i diritti dovuti per legge a chi tutti i giorni presta la propria opera per garantire la nostra salute.
 
Luca Benci
Giurista

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