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Mercoledì 08 MARZO 2017
Codice Ipasvi. Ecco perché è “inemendabile”

Per me il codice Ipasvi nella sua versione aggiornata è come una bagnarola fradicia incapace di stare a galla, per cui non ha senso aggiustarla perché non ha senso riabilitare qualcosa di irreversibilmente inabile. Ci serve una barca nuova

Luca Benci e Daniele Rodriguez, il primo un giurista il secondo un medico legale, nel dibattito sulla sanità sono una specie di “combinato disposto” del discorso normativo. Come i Dioscuri fanno una coppia inseparabile nella qualee attraverso la quale si completano reciprocamente.
 
Grande competenza giuridica, veri esperti del loro campo, di quello che scrivono non mi perdo un articolo. Pochi giorni fa su questo giornale B/R sono intervenuti con dovizia di particolari sulle carenze più significative del codice deontologico riproposto dall’Ipasvi (vedi articoli di Benci e quello di Rodriguez). Quando ho letto i loro articoli la prima cosa che mi è saltata agli occhi è stata una macroscopica contraddizione: la critica, anche serrata al codice deontologico Ipasvi che loro fanno, finisce per essere del tutto funzionale alla sua legittimazione. Cioè le loro critiche restano al di qua dell’orizzonte logico di quel codice non vanno mai al di là quando al contrario per ragioni evidenti bisognerebbe andare al di là.
 
La domanda che mi sono fatto è stata la seguente: supponiamo che la senatrice Silvestro del Pd, che coordina per l’Ipasvi (per me inspiegabilmente e illegittimamente) il gruppo di lavoro sul codice deontologico, accetti i rilievi critici di B/R, loro approverebbero il codice finale?  Loro probabilmente sì e io certamente no. Perché?
 
Perché oggettivamente tra loro e me c’è una grossa differenza di “weltanschauung”.Che cosa è?
 
E’ una parola molto importante usata, prima dalla filosofia (Kant) e quindi dalla sociologia (Weber) che banalmente tradotta vuol dire “visione del mondo” ma che in realtà riguarda la particolare posizione, concezione e intuizione che l’uomo ha verso di esso. Per me vale come implicazione dell’uomo nel mondo con il quale si rapporta o si riferisce.
 
Questa differenza di weltanschauung, nel nostro caso, riguarda quella che da anni definisco “questione infermieristica” e, circa le posizioni di B/R, spiega molte cose:
· l’idea che la norma deontologica possa prescindere da dei postulati,  quindi che abbia una sua relativa autonomia. Per B/R è indifferente se a scrivere il codice sia Aristotele o la senatrice Silvestro o qualcun altro, purché scrivano quello che sarebbe giusto scrivere. Per me non è così. Ritengo che nessuna norma possa prescindere dalle intenzioni e dagli scopi di chi la scrive. A parte Aristotele, gli scopi della Silvestro sono evidentemente personali regressivi e strumentali e spiegano esattamente perché il codice non può che essere quello che è e perché, a postulati invarianti, anche accettando tutti gli emendamenti possibili di R/B non potrebbe essere diverso. Cioè il codice è moralmente inemendabile e non bastano i suggerimenti di B/R a renderlo moralmente accettabile. E’ immorale perché i suoi scopi reali non appartengono alla professione degli infermieri ma alle smanie di potere di chi viola con estrema disinvoltura un elementare principio di incompatibilità distruggendo la prima condizione di una deontologia credibile, cioè l’autonomia;
 
· l’idea che la deontologia sia riducibile a norma giuridica e che questa abbia una sua logica e addirittura un suo ordine (partizione) e un suo linguaggio, vincolanti. Per me la deontologia prima di tutto deve esplicitare e chiarire il suo particolare rapporto con la realtà degli infermieri perché essa deve essere utile a risolvere i loro problemi non a fare da soprammobile nel tinello. Per cui le sue norme e quindi le sue logiche, la partizioni dei suoi articoli, il suo linguaggio saranno decisi coerentemente alle utilità e agli effetti che si intendono produrre nella realtà professionale degli infermieri. Ad una deontologia convenzionalmente inappuntabile dal punto di vista dei principi e delle regole personalmente preferisco una deontologia pragmatica che aiuti gli infermieri e i cittadini a risolvere i loro problemi;
 
· l’idea che le regole debbano derivare da un modello predefinito di deontologia e non dalla realtà.  Per me i modelli soprattutto se sono in crisi (come è il caso della deontologia degli infermieri) debbono essere ridiscussi perché reiterarli è semplicemente sbagliato.
 
Se i problemi degli infermieri hanno un senso lo sforzo da fare quindi non dovrebbe essere sollecitare il codice della senatrice Silvestro ad essere coerente con il modello ideale di deontologia che abbiamo in testa, ma è contestare il codice a partire dai suoi postulati e inventare un modello di codice più adatto che in quanto tale avrà il suo linguaggio, le sue regole, i suoi valori.
 
Cioè se i problemi degli infermieri hanno un senso la differenza politica vera è se basta, per risolverli, un intervento di riordino o se, al contrario, serva un intervento di riforma.  Personalmente, valutando la realtà degli infermieri ritengo che ormai il riordino abbia fatto il suo tempo. Siamo ormai ben oltre l’emendamento.
 
Secondo me gli unici che hanno capito quanto sia necessario ripensare la deontologia degli infermieri sono stati i pisani cioè il collegio Ipasvi di Pisa, che tra un codice scaduto come  lo yogurt  in fondo al frigorifero  e un codice ideale hanno fatto un’altra operazione: prima hanno definito la “questione infermieristica” cioè il problema che la deontologia dovrebbe risolvere e da questo poi hanno dedotto i postulati e i presupposti ad essa coerente e da essi le norme e tutto il resto nell’ordine più congegnale al discorso. Che B/R a un tempo snobbino la proposta di Pisa scrivendo puntigliosi articoli su una bufala quale è la proposta dell’Ipasvi, mi fa riflettere.
 
Per me il codice Ipasvi nella sua versione aggiornata è come una bagnarola fradicia incapace di stare a galla per cui non ha senso aggiustarla perché non ha senso riabilitare qualcosa di irreversibilmente inabile. Ci serve una barca nuova. La deontologia del ruolo che propongono i pisani è una nuova deontologia. Quella che B/R ci propongono alla fine resta una deontologia vecchia scritta meglio.
 
Morale della favola: i modelli se sono fradici vanno a fondo come le bagnarole per non affondare con essi non ci resta che imboccare la strada di un coraggioso riformismo. Cambiare i modelli non è proprio una passeggiata mentre per ridipingere una bagnarola basta un po’ di vernice e un pennello, in alcuni casi tanta malafede in altri tanta ingenuità e comunque, in entrambi i casi, nessuna idea su come fare diversamente. 
 
Ivan Cavicchi

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