quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Mercoledì 17 MAGGIO 2017
Salute. Diritto a rischio?



Gentile direttore,
la lettura sul suo giornale del prof. Cavicchi, Le mutue e la “banalità del male”, ultimo articolo della serie sulle nuove mutue, mi impone alcune riflessioni.
Cavicchi conclude il ciclo delle sue dotte e convincenti argomentazioni con quel “Chi tace sulle mutue è letteralmente incosciente esattamente come chi ce le propone”. La proposta politica del professore è quella di una quarta riforma sanitaria.

Nel 2005 l'ex ministro della sanità Rosy Bindi (terza riforma sanitaria: 229/99) scrisse “non s'era mai visto che i riformisti abbandonassero le loro riforme” (La salute impaziente). Noi stiamo vivendo nel tornante storico sintetizzato nel 2006 da Warren Buffett, uno degli uomini più ricchi al mondo: “C'è una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca, che sta facendo la guerra, e stiamo vincendo”.
 
Così il nostro paese sta vedendo attuarsi la proposta del ex senatore Antonio Tomassini presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato per Forza Italia, quando in un'intervista del luglio 2001 disse: “Non servirà una riforma quater. Basterà staccare la spina del 229 e lasciarlo morire, così, di morte naturale. Sarà sufficiente riaprire il libro della 502 e ricominciare a ridisegnare il sistema sanitario secondo una sana logica di efficienza e libertà”. (p.134 di La salute impaziente).

Solo che l'attuazione del definanziamento del Ssn negli ultimi anni è stata portata avanti in Parlamento da forze politiche che dichiarano di appartenere al campo riformista di centro-sinistra.

Le finalità politiche della 502/92 furono a suo tempo sintetizzate dal presidente del Consiglio Giuliano Amato in un intervento sulla Repubblica il 27 novembre 1992: “La mia idea non è che dobbiamo far pagare tutti di più, ma che sia necessario avviare una trasformazione del Servizio sanitario. Non possiamo continuare con la pratica di voler dare tutto a tutti, che poi significa dare a tutti pessimi servizi. Si vuol introdurre elementi di competizione nel sistema pubblico? Allora bisogna essere coerenti: si assicuri per tutti una gamma di servizi uniformi. Dopo di che, a cominciare dalle fasce di reddito superiori, una parte della protezione sanitaria sia rimessa a quote di contributo lasciate nelle tasche dell’utente e affidate a casse integrative che negozino con l’erogatore pubblico o anche privato servizi più efficienti”. L'art 9 della 502 che regolava il passaggio progressivo dal Ssn pubblico ad un sevizio sanitario misto vene bloccato l'anno seguente dal governo Ciampi.

Nel '99 al tavolo delle trattative in occasione della terza riforma sanitaria, ci racconta nel libro la Bindi, Confindustria si presentò con un documento 'Riprogettare la sanità': “Confindustria chiedeva di 'spezzare il monopolio pubblico nella gestione dei fondi raccolti attraverso la fiscalità generale' e di introdurre "una pluralità di enti gestori del servizio sanitario pubblici e privati' con il compito di gestire le risorse destinate alla copertura sanitaria obbligatoria. Anche le compagnie assicuratrici e i fondi privati, non solo quindi le Regioni, avrebbero potuto contrattare con i produttori, pubblici e privati, pacchetti di servizi sanitari da offrire ai propri clienti. La copertura a carico dello Stato sarebbe stata garantita solo ai più poveri e ai malati più gravi (…) il nuovo sistema di finanziamento si giustificava con l'idea che l'efficienza in sanità potesse essere garantita dalla netta separazione tra chi regola e controlla e chi produce e gestisce i servizi sanitari (…) Confindustria cercava in realtà di incrementare la spesa e allargare il mercato sanitario per gestire sia la raccolta delle risorse, con le assicurazioni, sia la produzione dei servizi, con le imprese sanitarie”. (vedi p.61).

Analogamente ci ricordava Ivan Cavicchi il 14 aprile sul il Manifesto: “Oggi l’economia si è stufata di stare ai margini del sistema pubblico e si vuole riprendere un mercato che per la grande intermediazione finanziaria, è considerato il vero è più grande business del futuro”.
 
Mi domando pertanto: quando e, soprattutto, con chi si pensa di attuare in Parlamento la quarta riforma sanitaria, e soprattutto come poi farla attuare nel Paese?
 
Seconda riflessione: il giurista Luca Benci nel suo utile e bel libro 'Tutela la salute' afferma: “Non è la mancanza di controlli che genera il problema: è l'istituto della libera professione il problema” (p. 67). Anche se poco dopo mitiga l'affermazione “In tutta onestà intellettuale non è certo possibile attribuire alla libera professione dei medici il problema delle liste d'attesa, visti i problemi strutturali e di definanziamento che ci sono stati e ci sono attualmente”.

In queste sua affermazioni il giurista Benci si trova in buona compagnia con persone sicuramente per bene come i presidenti delle regioni Enrico Rossi e Nicola Zingaretti. Nell'ultimo anno, i due presidenti di regione, hanno fatto dichiarazioni che farebbero pensare che la causa delle difficoltà attuali del Ssn sia imputabile prevalentemente all'istituto della libera professione. Affermazioni tipo: “In sanità basta con la libera professione intramoenia, fonte di diseguaglianza e di corruzione. Bisogna fare una cosa davvero di sinistra: abolirla. D’incanto spariranno le liste d’attesa, mi ci gioco la faccia. L’idea è promuovere una legge di iniziativa popolare al Parlamento“, Rossi nel marzo 2016. Posizione, peraltro, condivisa dai cittadini, ignari della legislazione vigente.

Ha scritto il 5 maggio, su Salute Internazionale, il dott Marco Geddes: "Ricercando sui siti aziendali di varie regioni si ottengono eclatanti e frammentarie informazioni: l'ortopedico con uno stipendio di 55.000 € che guadagna in intramoenia 890.000 €; l'urologo che dichiara 748.841 € di cui 658.000 grazie all'intramoenia; l'oculista con uno stipendio di 88.368 € e che incassa 1.039.863 € in intramoenia” - Si domanda Geddes -“Ma non si doveva mettere un tetto ai guadagni dei dipendenti pubblici? Non si doveva ricercare un corretto equilibrio fra attività istituzionali e attività in intramoenia?”.
 
E nell'articolo elenca la ricca normativa sul tema, prodotta in 25 anni dal Parlamento. Normativa composta da ben una quindicina di leggi (tra cui due riforme sanitarie). Secondo queste leggi il lavoro nel Ssn (Ulss, Aziende, case di cura private convenzionate) deve essere organizzato in modo che i tempi per usufruire di una prestazione, con l'impegnativa del medico di medicina generale, siano certi e comunque eguali a quelli che si avrebbero se la stessa prestazione venisse richiesta con il sistema della intramoenia. Inoltre è previsto che con l'impegnativa il medico di medicina generale possa scegliere, per il suo assistito, il luogo di cura e lo specialista da cui farsi curare.
 
Questi sono i principi che la nostra Costituzione repubblicana (riconfermata il 4 dicembre) tutela davanti alla magistratura con quell'articolo 32, che nel testo è l'unico diritto ad essere definito fondamentale. Questo perché quei saggi uomini dell'arco politico di allora, con quel patto, intesero risolvere la contesa fra capitalismo e comunismo che aveva insanguinato il '900.

Nel corso del secolo passato, scriveva 12 anni or sono l'economista prof. Giorgio Lughini introducendo un libro del magistrato Luigi Cavallaro: “lo Stato non ha avuto soltanto funzioni redistributive o di regolazione del processo di accumulazione del capitale; dunque funzioni strumentali, di medicazione del conflitto di classe, utili ai fini della riproduzione dei rapporti capitalistici di produzione. Lo Stato del novecento ha avuto anche un ruolo immediatamente produttivo, tale che i valori d'uso hanno potuto assumere una forma sociale diversa e nuova, rispetto a quella di merce: la forma di 'diritti'.
 
Si è così configurato un nuovo, specifico modo di produzione; superiore al capitalismo per quanto riguarda il nesso tra bisogni, produzione e consumo. E' il modo di produzione statuale, è lo Stato dei diritti; un nuovo modo di produzione che coesiste, in un rapporto conflittuale, con il modo di produzione capitalistico”. In “Lo Stato dei Diritti” 2005. E qui ritorniamo alla affermazione di Warren Buffett.
 
Allora mi domando: non abbiamo negli anni novanta cambiato la legge elettorale perché i presidenti di regione (e sindaci), uomini delle istituzioni, avessero una “marcia in più” per gestire bene la cosa pubblica? Sembra troppo chiedere che al posto di facili proclami si ponga mano subito ad una seria e determinata politica di applicazione della legalità repubblicana e se del caso davanti alla magistratura?
 
Tipo pago perché c'è una legge che me lo impone. Pretendo che nell'organizzazione del lavoro nel Ssn vengano applicate anche quelle leggi che garantiscono tempi certi per una prestazione e la possibilità di scelta dello specialista (oggi ormai superspecialista con incarico professionale) e del luogo di cura con il modulo firmato dal mio medico di medicina generale.
 
Dott. Maurizio Nazari
Medico ortopedico in pensione

© RIPRODUZIONE RISERVATA