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Giovedì 25 MAGGIO 2017
Tumore del polmone. Scoperta la ‘firma’ genetica della resistenza alla chemioterapia

Messo a punto da ricercatori americani un pannello di 35 geni che potrebbe essere utilizzato per prevedere la comparsa di resistenza alla chemioterapia nel corso del trattamento del tumore del polmone non a piccole cellule. La ricerca ha permesso di individuare anche degli enzimi in grado di conferire chemioresistenza, le JumonjiC lisina demetilasi. E’ allo studio adesso una nuova classe di farmaci, gli inibitori delle JumonjiC, che potrebbero aiutare a vincere la resistenza alla chemioterapia nel tumore del polmone.

Sono molti i pazienti con tumore polmonare non a piccole cellule (NSCLC) che all’inizio mostrano una buona risposta alla chemioterapia, per diventare purtroppo poi resistenti, con conseguenze spesso fatali. La ricerca sta dunque cercando di individuare i pazienti a più alto rischio di recidiva per somministrare loro un trattamento in grado di arginare il problema. E dalla UT Southwestern Medical Center arriva una proposta, pubblicata su Cell Reports: analizzare un pannello di 35 geni che sarebbe in grado di individuare le cellule tumorali più prone a sviluppare chemio resistenza, di scoprire cioè la ‘firma’ della chemio resistenza nascosta nei geni.
 
“Le recidive tumorali dopo trattamento chemioterapico – spiega il dottor John Minna, professore e direttore dell’Hamon Center for Therapeutic Oncology Research at UT Southwestern - rappresentano un ostacolo importante al trattamento del tumore polmonare e la resistenza alla chemioterapia è un’importante causa di fallimento terapeutico. I risultati di questo studio gettano nuova luce sui meccanismi della resistenza e su come vincerli”.
 
La ricerca è stata condotta su modelli animali (topo) e cellulari di NSCLC, il tipo di gran lunga più frequente di tumore polmonare (circa l’85% dei casi).
 
“Studi condotti in passato – ricorda la sottoressa Elisabeth D. Martinez, professore associato di Farmacologia presso l’Hamon Center – hanno dimostrato che fino al 70% di queste forme tumorali sviluppano resistenza alla terapia standard, come la combinazione platino-tassani”.
 
Utilizzando dei cicli di terapia on/off a lungo termine, i ricercatori americani sono riusciti a sviluppare una serie di modelli cellulari di resistenza progressiva alla chemioterapia da parte del tumore, che vanno da molto sensibili a molto resistenti alla chemioterapia. In seguito, gli autori della ricerca sono riusciti ad individuare i geni più comunemente alterati nel corso dello sviluppo della chemioresistenza in varie linee cellulari e nel modello murino, arrivando così ad individuare la ‘firma’ genetica della resistenza, rappresentata da un gruppo di 35 geni.
 
Dopo aver individuato questi biomarcatori di resistenza, i ricercatori texani hanno utilizzato dei profili genetici di tumori del polmone umani conservati nel database dello SPORE (Specialized Programs of Research Excellence) del National Cancer Institute, presso l’UT MD Anderson Cancer Center a Houston (USA), per andare a testare la ‘firma’ genetica nei campioni biologici di diversi pazienti, dei quali era nota la risposta alla chemioterapia; e il pannello dei geni di resistenza è risultato correlato alla comparsa di recidiva di NSCLC.
 
E’ stato inoltre evidenziato che man mano che le cellule tumorali sviluppano resistenza alla chemioterapia, producono delle quantità sempre maggiori di alcuni enzimi, le JumonjiC lisina demetilasi. Si tratta di enzimi che facilitano la comparsa di resistenza, modificando l’espressione di alcuni geni.
 
“Il tumore – spiega la Martinez – utilizza questi enzimi per modificare o riprogrammare l’espressione genetica, così da sopravvivere allo stress tossico della chemioterapia. Modificando l’espressione di questi geni, le cellule tumorali possono adattarsi a sopravvivere alle sostanze tossiche”.
 
A questo punto, i ricercatori americani hanno testato due possibili nuove terapie, entrambi inibitori delle JumonjiC; una di queste, contrassegnata dalla sigla JIB-04, è stata scoperta nel laboratorio della Martinez.
Gli enzimi in grado di conferire resistenza alla chemioterapia, sono infatti anche il tallone d’Achille del tumore; più il tumore ne produce, più è suscettibile agli inibitori di JumonjiC. Visto che le cellule tumorali resistenti alla chemioterapia dipendono da questi enzimi per la loro sopravvivenza, un farmaco in grado di inibirli riporta il cancro in una condizione di vulnerabilità.
 
“Riteniamo – commenta la Martinez – che gli inibitori di jumonjiC abbiano la potenzialità di essere utilizzati sia per trattare i tumori diventati chemioresistenti, che per prevenirne addirittura la comparsa.
L’impiego dei due Jumonji inibitori, il JIB-04 e il GSK-J4 – fanno sapere gli autori - è stato in grado di prevenire la comparsa di chemioresistenza sia in colture cellulari che, parzialmente, nel modello animale.
 
Maria Rita Montebelli

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