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Martedì 27 GIUGNO 2017
La legge Gelli e i medici di medicina generale. Ma quali sono le responsabilità per le Asl?

La legge 24 sulla sicurezza delle cure e la responsabilità sanitaria prevede che le Asl siano responsabili anche delle prestazioni svolte in regime di convenzione. E quindi anche di quelle dei medici di medicina generale.Ma, ci chiediamo, come consentire alla Asl di gestire il rischio clinico  presso gli studi, indubbiamente autonomi, dei mmg? Come andranno comunicati e ricercati gli eventi avversi e gli eventi sentinella prodotti in quegli studi? Quale potere direttivo avrà la Asl nei confronti del MMg per la prevenzione e la gestione di tali eventi?

È noto come la legge 24/2017 mirasse a riportare il “sistema” in equilibrio, rimettendo in asse il rapporto tra esercenti e pazienti e recuperando quell’alleanza terapeutica che da tempo pareva smarrita. A tal fine occorreva, da un lato, ridar serenità agli esercenti la professione sanitaria, temperandone il regime di responsabilità e mitigando gli eccessi di una giurisprudenza esasperatamente sbilanciata e creativa. Dall’altro, si dovevano proteggere gli interessi dei soggetti danneggiati, mettendo in sicurezza quanto più possibile il loro diritto al risarcimento, se e quando dovuto.
 
In controluce, ed anzi in primo piano, si stagliava l’esigenza di garantire la miglior sicurezza delle cure, accordando priorità alla prevenzione del danno rispetto al suo rimedio risarcitorio e privilegiando gli obiettivi di una sana, prudente ed oculata gestione del rischio clinico.
 
Si trattava, dunque, in sintesi, di porre il paziente al centro di un sistema di cure sicuro e ben presidiato, in cui l’esercente sanitario – in luogo che bersaglio – potesse tornare ad essere sereno e virtuoso protagonista della scena e del progresso.
 
In questo contesto gli obblighi assicurativi stabiliti dalla legge 24 del 2017 rappresentano uno dei punti cardine dell’intera impalcatura normativa, consentendo anch’essi di soddisfare quel medesimo, duplice, obiettivo di protezione: la nuova assicurazione obbligatoria tende infatti a tutelare tanto l’interesse degli operatori della sanità (proteggendone il patrimonio dal rischio di responsabilità) quanto quello dei potenziali danneggiati, ai quali viene ora fornita la possibilità di rivolgere le proprie pretese  direttamente a carico di una tasca capiente e sicuramente solvibile (quale è quella dell’impresa assicurativa del responsabile o della stessa struttura, ove quest’ultima decidesse di ricorrere alle misure analoghe di gestione in proprio del rischio….).
 
Ecco dunque che gestione del rischio, responsabilità ed assicurazione costituiscono i tre pilastri di una proposizione unitaria, attorno alla quale la legge di riforma si snoda: chi governa il proprio rischio clinico deve risponderne contrattualmente, assumendosi -  di regola – l’obbligo di assicurarsi in proprio e di tenere comunque indenni i propri esercenti “strutturati” dalle pretese risarcitorie di terzi (salvo rivalsa, in caso di dolo o colpa grave).
In questo senso va letta la fondamentale e granitica distinzione operata dalla legge Gelli tra la responsabilità della struttura e quella dei “propri” esercenti.
 
La prima (la struttura), infatti, ai sensi dell’art. 7 comma 1, risponde contrattualmente di tutto ciò che avviene all’interno del suo “recinto”  e dell’operato di tutti i soggetti di cui si avvalga, anche se scelti dal paziente ed ancorché non dipendenti.
 
Ciò in ossequio al principio della responsabilità di posizione, secondo il quale chi detenga il potere di organizzazione e gestione del proprio rischio clinico debba – sì – trarne i vantaggi ma anche sopportarne i pericoli (ubi commoda ibi incommoda). Gli esercenti interni alla struttura, invece, facendo parte della sua più ampia filiera organizzativa (ed essendo dunque eterodiretti) non risponderanno più in via contrattuale (come la giurisprudenza maggioritaria aveva sin qui sostenuto) ma soltanto ai sensi dell’art. 2043 c.c..
 
Di tale beneficio, peraltro, non godono coloro i quali, pur operando all’interno della struttura, comunque intrattengono rapporti contrattuali diretti con il paziente, perché prescelti dallo stesso in base ad un precedente rapporto fiduciario negoziale (come sovente accade nel comparto privato).
 
L’esistenza di un “franco” e diretto rapporto negoziale con il paziente giustifica, invero, di per sè l’applicazione della responsabilità contrattuale, alla quale è correlato – normalmente – l’obbligo di assicurarsi in proprio, anche – e forse soprattutto -  a tutela del paziente.
 
Sfugge a questo sillogismo soltanto il libero professionista che opera per conto e nell’interesse della struttura, secondo quanto previsto dall’art. 10 comma 2 della legge 24: egli - pur risultando stabilmente inserito in una organizzazione altrui, pur rispondendo extracontrattualmente ed essendo assoggettato all’azione di rivalsa - è comunque tenuto ad assicurarsi in proprio.
 
Ciò detto in termini generali e sistematici veniamo ad occuparci, più da vicino, degli obblighi assicurativi posti a carico delle strutture.
L’articolo 10, in relazione alla responsabilità contrattuale degli enti per danni provocati nell’esercizio dell’attività sanitaria latu sensu intesa, stabilisce che le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private devono essere provviste di copertura assicurativa o di altre analoghe misure per la responsabilità civile verso terzi e per la responsabilità civile verso prestatori d'opera,  anche per danni cagionati dal personale a qualunque titolo operante presso le strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche e private, compresi coloro che svolgono attività di formazione, aggiornamento, sperimentazione, di ricerca clinica, in regime di libera professione intramurariaovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina.
 
La formulazione dell’articolo 10 è amplissima, essendo riferita ai danni cagionati dal personale a qualunque titolo operante all’interno delle strutture medesime. Il che lascia aperto qualche dubbio circa l’obbligo di coprire assicurativamente (e dunque di rispondere in proprio)  anche dei dannicausati nello svolgimento di servizi affidati in outsourcing; servizi  la cui organizzazione ed il cui rischio d’impresa non dovrebbe che gravare sull’appaltatore, a pena di intermediazione di mano d’opera nel caso di intervento nell’organizzazione interna da parte del committente.
 
Tale prospettiva sembra poter rompere il senso logico della proposizione sistematica a cui si è fatto cenno, dando vita a fattispecie di responsabilità contrattuali pur in assenza di un autentico governo sui fattori di rischio sottostanti.
 
Tale problematica esplode, in tutta la sua urgenza, in relazione alla responsabilità delle strutture per le prestazioni sanitarie svolte in regime di convenzione con il ssn .Il personale in convenzione  può operare all’interno delle strutture e in tal caso non si ravvisano differenze rispetto al personale dipendente.
 
Ma anche i mmg e i pediatri di libera scelta appartengono a tale categoria.In che termini la asl deve rispondere anche dei danni provocati da questi soggetti, che certamente si muovono in termini di sostanziale autonomia rispetto alla struttura? E in che misura quest’ultima deve effettivamente provvedere a fornir loro una copertura assicurativa diretta? La risposta a queste domande è essenziale per definire il perimetro dell’obbligo assicurativo e andrà fornita in sede di scrittura dei decreti attuativi, che dovranno individuare i clusters di soggetti del rischio professionale per i quali deve rispondere la struttura. 
 
In attesa della decretazione occorre distinguere di due aspetti.
Quanto al tema della responsabilità, la Corte di Cassazione aveva già recentemente affermato, con un'interpretazione del tutto innovativa, la responsabilità dell'ASL ex art. 1218 c.c. per l'errore compiuto dal medico con essa convenzionato (sentenza n. 6243 del 27 marzo 2015).
 
In quella vertenza, i giudici di primo grado – rimanendo aderenti all’orientamento in quel tempo maggioritario – avevano invece escluso la responsabilità dell’ASL ex art. 1228 c.c., ritenendo che gli obblighi assunti dal Servizio Sanitario Nazionale nei confronti dei cittadini abbiano un contenuto meramente organizzativo, non avente ad oggetto la prestazione professionale gravante invece esclusivamente sul medico.
 
Neppure era sostenibile, secondo la corte territoriale, l’applicazione del c.d.“contatto sociale” poiché nei rapporti tra il medico di base ed il paziente, l’ASL rimane interamente esclusa non avendo nessun rapporto diretto con il paziente che richiede la prestazione professionale al medico di base, né alcun potere di vigilanza, di controllo o di direzione sull’attività di quest’ultimo; attività che viene esercitata in piena autonomia alla stregua di quella di un libero professionista.
 
La Corte di Cassazione giunge invece a conclusioni opposte e ribaltate, prendendo le mosse da un’attenta lettura della legge n. 833/78, la quale dando effettività al precetto costituzionale di cui all’art. 32 Cost., mira a garantire i livelli minimi ed uniformi delle prestazioni sanitarie che devono essere assicurate ai cittadini, includendo “l’assistenza medico-generica” (art. 14 comma 3, lett h)). tra le prestazioni “ curative “ (così espressamente definite dal combinato disposto degli artt. 19 e 25 della legge 833/78) che il SSN spettano alle Unità sanitarie locali .
 
In forza delle suddette disposizioni, la prestazione medico-generica avviene sia in forma ambulatoriale che domiciliare nei confronti del cittadino "iscritto in singoli elenchi periodicamente aggiornati presso l’unità sanitaria locale" nel cui territorio lo stesso ha la residenza ed è prestata dal personale dipendente del servizio pubblico (laddove l’assetto organizzativo delle USL lo consenta) o dal personale con esso convenzionato.
 
Da un lato quindi l’utente, nella scelta del proprio medico di fiducia, è chiamato a optare tra il medico pubblico dipendente operante nelle USL (divenute ASL) o il medico convenzionato operante nel comune di residenza dell’utente del S.S.N.; dall’altro lato, il medico viene selezionato sulla base di parametri definiti da accordi regionali ed iscritto in appositi elenchi e viene remunerato direttamente dall’ASL; nessun obbligo remunerativo sussiste invece in capo all’utente ed anzi il pagamento anche parziale della prestazione professionale da parte di quest’ultimo comporta il venir meno del rapporto di convenzionamento con il S.S.N.
 
Alla luce della normativa in esame, osservano i giudici di legittimità, la scelta del medico convenzionato per l’assistenza medico-generica deve avvenire nei confronti della ASL che cura la tenuta degli elenchi dei medici con i quali ha instaurato lo specifico rapporto di convenzionamento, rapporto che si distingue per le sue peculiarità da quello di lavoro subordinato ma anche da quello del libero professionista, poiché, pur svolgendosi in autonomia e su un piano di parità, è diretto a soddisfare le finalità istituzionali del S.S.N..
 
La prestazione professionale del medico convenzionato sì iscrive dunque nel momento esecutivo di un obbligo preesistente derivante dalla legge che grava esclusivamente sull’ASL e non anche sul medico convenzionato, del cui operato l’ASL si sia avvalso per adempiere alla propria obbligazione e di cui è responsabile ai sensi dell’art. 1228 c.c.
 
La legge Gelli ha recepito tale indirizzo e lo ha fatto sostanzialmente proprio. In questo senso va letto, infatti, l’art. 7 comma 2, nella parte in cui esplicitamente afferma la responsabilità dell’ente per le prestazioni svolte in regime di convenzione con i Servizio sanitario nazionale.
 
Meno chiaro -  e non del tutto condiviso tra i primi commentatori della norma – è se (ferma la responsabilità strutturale ex art. 1228 c.c.) i mmg ed i pediatri di libera scelta rispondano in via extracontrattuale e debbano essere garantiti assicurativamente dal SSN. L’impostazione normativa sembra deporre in questo senso, e tale pare dunque l’interpretazione più accreditata. Senonchè la spiccata vocazione libero professionale della loro attività (per come svolta in concreto) ha indotto qualcuno a sostenere la loro responsabilità contrattuale ed il correlativo obbligo di assicurarsi in proprio.
 
Al netto di tale questione, dai contorni forse ancora un poco opachi, rimane la dirompente affermazione della responsabilità contrattuale delle Asl per il fatto dei propri medici convenzionati. Ma tale essendo lo stato dell’arte, come conciliare tale gravosa responsabilità con la situazione di governo del rischio clinico, per come oggi si presenta? O meglio: come consentire alla Asl di gestire il rischio clinico  presso gli studi, indubbiamente autonomi, dei mmg? Come andranno comunicati e ricercati gli eventi avversi e gli eventi sentinella prodotti in quegli studi? Quale potere direttivo avrà la Asl nei confronti del MMg per la prevenzione e la gestione di tali eventi? Quale tipo di formazione dovrà organizzare la Asl ai sensi del disposto del comma 539 della legge 208/2015?
 
Tra le pieghe di tale aspetto della riforma Gelli (sin qui non adeguatamente considerato) si annida dunque uno dei punti più dolenti della sanità territoriale: il rapporto tra strutture sanitarie pubbliche e MMG, proprio in considerazione della autonomia che connota la loro attività clinica.
 
La gestione del rischio clinico rappresenta il core di qualunque attività clinica.Nel caso del MMG la gestione del rischio da parte della Asl dovrebbe estendersi alla gestione dei percorsi territoriali di prevenzione e di continuità di cura. Sotto questo profilo, a fronte di uno sforzo organizzativo notevole ma necessario per la sanità italiana, la ferma direzione intrapresa dalla legge Gelli potrebbe costituire una grande opportunità.
 
Perché se di responsabilità deve trattarsi, alla Asl dovrà darsi la possibilità di governarne i fattori di rischio. E ribaltando l’angolo visuale, la stessa Asl non potrà essere considerata responsabile ove non posta in condizione di cogestire il processo di prevenzione e cura, in stretta sinergia con i MMG. Sotto questo versante, potrebbe aprirsi una nuova stagione di raccordo nei processi di cura tra ospedale e territorio, che sola giustificherebbe la responsabilità, e il connesso obbligo assicurativo, a carico della Asl.
 
Un nuovo tassello, dunque, nel passaggio dalla responsabilità sanitaria alla sanità responsabile.
 
Maurizio Hazan
Avvocato, Vice Presidente Melchiorre Gioia
 

Tiziana Frittelli
Direttore generale Policlinico Tor Vergata e vice presidente Federsanità Anci

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