quotidianosanità.it
stampa | chiudi
Lunedì 24 LUGLIO 2017
Colite ulcerosa. Un test fecale ne prevede la guarigione
Secondo alcuni ricercatori cinesi dell’Università di Hong Kong, il test immunochimico fecale piò prevedere con esattezza la guarigione della mucosa nei casi di colite ulcerosa. Lo studio ha coinvolto 140 pazienti ed è stato pubblicato dal Journal of Chrons Colitics
(Reuters Health) – Un team di ricercatori cinesi afferma che un test immunochimico fecale non invasivo è in grado di prevedere con precisione la guarigione della mucosa nei pazienti affetti da colite ulcerosa (UC).”Il test immunochimico fecale (FIT) può prevedere con precisione la guarigione della mucosa non solo a livello endoscopico ma anche a livello istologico”, dice Siew C. Ng dell’Università cinese di Hong Kong, autore dello studio. “La performance è paragonabile a quella della calprotectina fecale (FC), fino ad ora nota come il marker non invasivo più accurato per valutare l’attività della malattia”.
Lo studio
Alcuni studi precedenti avevano analizzato l’utilità del FIT nel valutare la guarigione endoscopica della colite ulcerosa, ma la sua precisione in tal senso non è stata determinata. Ng e colleghi hanno confrontato l’accuratezza del FIT con quella di FC nella previsione della guarigione istologica. Il loro studio prospettico ha coinvolto 140 pazienti con colite ulcerosa.Tra questi pazienti, il 71% era in remissione clinica (anche se il 16% di questi aveva infiammazione della mucosa rilevata endoscopicamente), mentre circa il 30% mostrava segni istologici di infiammazione non visibili all’endoscopia. I risultati di FIT erano correlati significativamente con i risultati colonoscopici, con il punteggio Geboes e con l’indice Nancy, due parametri istologici ampiamente usati.
Con l’analisi ROC, l’accuratezza predittiva per la guarigione endoscopica era simile per FIT (AUC = 0.772) e per FC (AUC = 0.793, p = 0.773). FIT e FC hanno anche mostrato analogie nell’analisi di previsione della guarigione istologica utilizzando il punteggio Geboes o l’indice Nancy. Per la previsione della guarigione endoscopica, FIT, con cutoff di 50 ng / mL, mostrava una sensibilità del 72%, una specificità del 68% e un valore predittivo positivo dell’82%, rispetto a FC: sensibilità 81%, specificità 71%, valore predittivo positivo 87%. I risultati erano simili per entrambi i metodi anche nella previsione della guarigione istologica. La combinazione tra FIT e FC ha migliorato l’accuratezza della previsione della guarigione istologica e più dell’85% dei pazienti con FIT <50 ng / mL e FC <50 mcg / g hanno ottenuto la guarigione istologica.
La colonscopia, comparata con FIT e FC, mostra maggiore sensibilità e valore predittivo negativo, ma specificità più bassa e valore predittivo positivo per la guarigione istologica.”Se i nostri risultati verranno convalidati da coorti indipendenti e di maggiori dimensioni, personalmente preferirei utilizzare FIT per monitorare la colite ulcerosa. Ha il vantaggio di essere molto più economico e user-friendly, rendendolo idoneo ad un uso ripetuto in ambito clinico. FC può essere usata in modo intermittente (ad esempio a intervalli di 3-6 mesi) per prevedere la guarigione istologica mentre la colonscopia può essere impiegata principalmente per il follow-up”.
I transcriptional blood biomarker
In un altro rapporto contenuto nella rivista, Azucena Salas e i suoi colleghi del CIBER-EHD di Barcellona descrivono l’utilità dei transcriptional blood biomarkers come marker surrogati di guarigione della mucosa nella colite ulcerosa. L’analisi microarray ha identificato 122 geni significativamente alterati nella UC endoscopicamente attiva e ha stabilito una correlazione tra l’espressione di quattro geni – HP, CD177, GPR84 e S100A12 – e il grado di attività endoscopica.Inoltre, l’alterazione dell’espressione di questi quattro geni è correlata significativamente con i cambiamenti osservati all’endoscopia dopo trattamento con farmaci anti-TNF.
“A mio parere – dice Salas – l’aspetto più interessante della ricerca consiste nel fatto che i biomarcatori identificati sembrano riflettere i cambiamenti individuali dei pazienti nella risposta alla terapia, quindi potrebbero essere utili per il monitoraggio non invasivo dei miglioramenti delle lesioni della mucosa. Penso sia anche importante che i medici comprendano le limitazioni di questi e altri biomarcatori del sangue utilizzati per monitorare la malattia nei pazienti affetti da IBD. La loro principale debolezza risiede nella bassa sensibilità. Non sono in grado di rilevare l’attività endoscopica della malattia in tutti i pazienti e in ogni momento. Questo è vero per tutti i biomarcatori ematici conosciuti, e, anche se quelli trascrizionali presentano una sensibilità leggermente migliore, le differenze non sono eclatanti. Nonostante questo, i biomarcatori trascrizionali del sangue possono aiutare i medici a decidere quando si trovano in situazioni in cui non può essere un’opzione eseguire un esame endoscopico”.
Fonte: J Crohns Colitis 2017
Will Boggs
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)
© RIPRODUZIONE RISERVATA