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Martedì 12 SETTEMBRE 2017
Specializzazioni. La proposta Anaao: “Bisogna passare da un contratto formazione lavoro a un vero e proprio contratto a tempo determinato”

Occorre anticipare l’incontro tra il mondo della formazione e quello del lavoro, oggi estranei l’uno all’altro, consentendo ai giovani medici di raggiungere il massimo della tutela previdenziale ed al sistema sanitario di utilizzare le energie più fresche. La soluzione consiste nella trasformazione del contratto di formazione-lavoro in contratto a tempo determinato con oneri previdenziali ed accessori a carico delle Regioni e nel conseguente inserimento dei giovani medici nella rete formativa regionale

I conti ancora non tornano. Nonostante da tempo l'Anaao Assomed con ben tre studi pubblicati tra il 2011 e il 2017, i cui risultati sono diventati patrimonio dell’intero mondo professionale medico, chieda che vengano rivisti i numeri di accesso al corso di laurea in Medicina e Chirurgia e quelli dei contratti di formazione specialistica e delle borse di formazione in Medicina generale, la parola “programmazione” non sembra allignare nel vocabolario di chi, al MIUR, “dà i numeri”, nel senso reale (ma anche figurato) dell’espressione. Il richiamo all’attenzione sul tema non è uno sterile capriccio autocelebrativo, ma riflette la preoccupazione per il futuro del nostro SSN, in termini di sostenibilità e di qualità ed equità nell’accesso alle cure.
 
Con i tassi di iscrizione alla Scuola di Medicina e Chirurgia proposti ai tavoli ministeriali, valutando oltre che le iscrizioni ordinarie anche quelle disposte dai TAR degli anni passati, nel decennio 2017/2026 ad invarianza di programmazione (vedi figura 1) acquisiranno la laurea circa 96.000 degli attuali e futuri studenti. Se consideriamo anche i laureati che già oggi non trovano in Italia una offerta adeguata di formazione, valutabili in circa 10.000 medici, avremo complessivamente in tale lasso temporale circa 106.000 medici alla ricerca spasmodica di uno sbocco prima formativo poi occupazionale.
 

 
Ad invarianza di offerta formativa postlaurea annuale, attualmente ferma a circa 6100 contratti di specializzazione e circa 900 borse di formazione in Medicina generale, nel decennio 2017/2026 avremo almeno 36.000 medici a cui verrà negata la possibilità di completare il proprio percorso di studio, indispensabile per entrare nel mondo del lavoro. L’unica scelta che rimarrà praticabile per questi Colleghi sarà quella dell’emigrazione.
 
Gli imbuti formativi e lavorativi descritti, infatti, stanno inducendo di anno in anno una importante emigrazione di medici italiani verso altri paesi europei, Francia, Germania, Svezia, Danimarca, Regno Unito e Svizzera in particolare, oltre che verso gli Stati Uniti. Secondo dati Istat, i professionisti del settore sanitario che hanno chiesto al Ministero della Salute la documentazione utile per esercitare all’estero sono passati da 396 nel 2009 a 2363 nel 2014 (+ 596%).
 
Oramai siamo a circa 1000 laureati o specialisti che effettivamente emigrano ogni anno. Per l’Italia il costo della formazione per singolo medico si aggira intorno a 150.000 €. In termini economici, è come se regalassimo mille Ferrari all’anno agli altri paesi europei ed extra europei. Ovviamente il danno non è solo economico. Noi perdiamo talenti, intelligenze, sofisticati saperi professionali, sottratti per incuria alla sostenibilità qualitativa del nostro SSN e più in generale allo sviluppo scientifico e culturale del nostro Paese.
 
La carenza di futuri specialisti renderà ancora più grave il pieno dispiegarsi, dopo l’esaurimento dello scalone determinato dalla legge “Fornero”, del fenomeno, da noi descritto fin dal 2011, della “gobba pensionistica” dei medici dipendenti del SSN (vedi figura 2). Dal 2017 al 2026 acquisiranno i nuovi limiti per il pensionamento circa 50.000 medici dipendenti ospedalieri e dei servizi territoriali, secondo una stima prudenziale.Ad uscire dal sistema saranno in particolare i nati tra il 1951 e il 1960 che, come si evince dal grafico presentono le frequenze più alte (mediamente circa 6000 medici per singolo anno). Pertanto nel decennio 2017÷2026 l’uscita media dal SSN interesserà quasi il 50% dell’attuale dotazione, vista la composizione anagrafica, con una media di pensionamenti di circa 5000 unità/anno.
 

 
D’altra parte, vi sono aspetti organizzativi che giocano contro la permanenza in servizio, come la bassa probabilità di raggiungere posizioni elevate di autonomia professionale (solo l’8% dei dirigenti medici diventa direttore di struttura complessa), la mancata applicazione delle raccomandazioni contrattuali secondo cui ai medici con più di 55 anni di età si sarebbero dovuti evitare i turni di guardia notturna, le difficoltà crescenti di godere delle ferie e perfino dei turni di riposo giornaliero e settimanale previsti dalla legislazione nazionale e dalle direttive europee.
 
È evidente come un medico che non abbia ricevuto sufficienti gratificazioni professionali, costretto dalle attuali condizioni lavorative a svolgere turni di guardia notturni e una gravosa mole di lavoro straordinario, in condizioni di elevato rischio professionale, all’età di 65 anni, o prima se la sua situazione previdenziale glielo consente, anche accettando le penalizzazioni previste, decida di abbandonare il posto di lavoro e ritirarsi in pensione. Inoltre, i medici dipendenti del SSN una volta raggiunto il massimo della contribuzione pensionistica non hanno alcuna convenienza economica nel rimanere in servizio.
 
Mediamente solo il 70% dei medici specialisti sceglie di lavorare nel SSN come dipendente. Scelte diverse sono: convenzionamento con il SSN, libera professione, università/ricerca, privato accreditato e no, industrie del settore, lavoro all’estero. Nel prossimo decennio le uscite relative al personale medico universitario e agli specialisti ambulatoriali convenzionati sono attese in netto incremento per il manifestarsi anche in questi settori di una “gobba pensionistica”.
 

 
Il blocco del turnover rappresenta un ulteriore elemento che sta incidendo pesantemente sulle dinamiche di sostenibilità del nostro SSN. Il ricambio generazionale è fortemente rallentato e con esso quel trasferimento di conoscenze e capacità tecniche sostenuto dalla fisiologica osmosi tra generazioni professionali diverse. Nel 2017, se non cambiano le politiche di assunzione in servizio, l’età media dei medici ospedalieri sarà superiore a 54 anni, la più alta nel panorama europeo e la seconda al mondo dopo Israele (Dati Oecd 2015).
 
Sempre più improrogabile diventa un piano straordinario per il lavoro medico prima che sia troppo tardi, perché in sanità la risorsa umana è il principale fattore produttivo da cui dipende in larga misura la qualità del servizio.
 
Di fronte a questo disastro annunciato, da molto tempo con tenacia andiamo proponendo alcune correzioni:
· Incrementare i contratti di formazione specialistica post-laurea portandoli da 6100 a 7500/8000 ogni anno per coprire il pensionamento nel prossimo decennio degli specialisti operanti nel SSN (dipendenti del SSN, dipendenti MIUR, specialisti ambulatoriali) sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo aumentando in particolare i contratti per le specialità ad impronta olistica (pediatria, chirurgia generale, medicina interna - vedi tabella 1 tratta dal nostro studio del 2014).
 
· Incrementare le borse di formazione in Medicina generale in modo tale da coprire il turn over che si prospetta molto elevato anche in questo settore (almeno 28.000 medici in quiescenza nel prossimo decennio).
 
· Riaprire una stagione di assunzioni di medici nel SSN, non solo per coprire totalmente il turn over ma anche per permettere la piena applicazione in Italia della normativa sull’orario di lavoro in vigore in Europa dal lontano 1993, come del resto prevede la Legge 161/2014.
 
· Rivedere il numero chiuso per l’accesso al corso di laurea in Medicina e Chirurgia in base alle reali necessità tenendo conto della dinamica pensionistica professionale, del cambiamento demografico ed epidemiologico della popolazione, dello sviluppo scientifico e tecnologico, dell’erogazione dei LEA, dei modelli organizzativi con proiezioni a 10, 15 e 20 anni.
 
In concreto, pensiamo che aumentare il numero degli studenti iscritti al corso di laurea in Medicina e Chirurgia, al di fuori da seri studi di programmazione che tengano insieme aspetti demografici, dinamiche pensionistiche, esigenze del sistema in termini di formazione, qualità e quantità del personale, non risolva il problema della prossima mancanza di medici specialisti perché i primi risultati si vedrebbero solo dopo 10-11 anni. Inoltre si rischia di ripetere, nel lungo periodo, il fenomeno della pletora medica.
 
La strozzatura è data dall’imposizione del titolo di specializzazione come requisito di accesso al sistema. Occorre, pertanto, anticipare l’incontro tra il mondo della formazione e quello del lavoro, oggi estranei l’uno all’altro, consentendo ai giovani medici di raggiungere il massimo della tutela previdenziale ed al sistema sanitario di utilizzare le energie più fresche.
 
La soluzione consiste nella trasformazione del contratto di formazione-lavoro in contratto a tempo determinato con oneri previdenziali ed accessori a carico delle Regioni e nel conseguente inserimento dei giovani medici nella rete formativa regionale.
Recuperare il ruolo professionalizzante degli Ospedali rappresenta la strada maestra per garantire insieme il futuro dei giovani medici e quello dei sistemi sanitari.
 
Carlo Palermo
Vice Segretario Nazionale Vicario Anaao Assomed

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