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Lunedì 09 OTTOBRE 2017
L’odioso ma indispensabile payback farmaceutico

Senza una affidabile capacità e/o volontà programmatoria completa anche della domanda, con i tanti e costosi farmaci in arrivo, temo non riusciremo a liberarci degli anti dottrinali ma utili arabeschi del payback. Cosicché anche nella imminente nuova “Governance” farmaceutica, temo ce lo ritroveremo alla fine ancora una volta davanti. Come nella storiella di quel vecchio boomerang di cui quel tale cercava ripetutamente e inutilmente di sbarazzarsi

Funziona come un boomerang il payback farmaceutico. Vendi troppo? Devi ridare indietro parte degli incassi. In una logica di economia di mercato appare lampante la sua iniquità. Ma così com’è strutturato, sempre dalla prospettiva dottrinale, stona anche in un contesto di economia pianificata, su cui si accomoda solo dove più gli conviene, ovvero sull’offerta, lasciando senza controllo la domanda, così da risparmiare sulla spesa ma consumando liberamente oltre i tetti, però a carico altrui.
 
Ma senza payback i conti SSN del farmaceutico, già in rosso, sarebbero molto peggiori. Quindi fa comodo a chi è chiamato ad allocare le risorse pubbliche nel modo più funzionale. Per questo è assai improbabile venga abolito. Vale infatti diverse centinaia di milioni di euro l’anno, nelle sue varie forme e declinazioni, incluse quelle dagli accordi speciali (MEAs) e dalle eccedenze sui budget di prodotto.
Lo dicono gli ultimi dati AIFA sulla spesa gennaio-maggio: abbiamo sforato di 741 mln (7.662 mln vs. 6.921, 16,44% vs. il tetto del 14,85%), 1,77 miliardi di buco in proiezione annua. Ma è un “trompe l’oeil”, un’illusione ottica, perché il passivo è del doppio, poi dimezzato soprattutto grazie al payback.
 
Non tanto per la Convenzionata, che appare in attivo di 26 mln, ma sarebbe in rosso senza i 75 di payback. È la spesa per Acquisti Diretti a pesare, fuori sì di 767 mln ma in realtà sotto di 1,5 miliardi (spesi 4.728 mln, il 10,1%, vs. 3.211 mln, il tetto del 6,89%) 3,64 miliardi su base annua, se non ci fosse il ritorno di parecchie centinaia di milioni di payback (oltre allo scorporo dei nuovi fondi per gl’innovativi, vedi più avanti).
In altre parole, i consumi corrono molto di più di quanto appaia dalla loro spesa, perché di buona parte della loro eccedenza si fanno carico le industrie produttrici, che restituendo gli incassi finiscono col fornire i propri farmaci gratis (“et amore Dei”). Senza quella restituzione finanziaria il passivo dei conti sarebbe, appunto, parecchio più pesante.
 
Eccedenze largamente fuori misura presenti anche nei capitoli di spesa più recenti come i nuovi fondi per gli innovativi, presumibilmente meglio pianificabili, in realtà dalle (lodevoli) risorse aggiuntive divise però salomonicamente tra di essi. Emblematico, anche per evidenziarne la barocca complessità, è ad esempio il conto del fondo per i non oncologici: ha speso già a maggio 586 mln più di tutto il budget 2017, è fuori di 378 milioni sui cinque mesi e deve indietro 273 di payback. Il fondo, insomma, contemporaneamente aggiunge e toglie, una sorta di Dr Jekill e Mr. Hyde (“prima ero schizofrenico, ma adesso siamo guariti…”)
 
Il sistema di tetti-payback incarna la contraddizione tipica del farmaceutico nel dovere far convivere l’economia di mercato dei comparti economico-produttivi con l’economia pianificata della spesa pubblica. Come se Fiat dovesse restituire gli incassi delle 500 vendute in più o la Barilla per le fettuccine di troppo. Ve l’immaginate Marchionne che a novembre chiama i suoi manager e impartisce loro un sonoro “cazziatone” perché stanno vendendo troppo?
 
Ma c’è nel payback qualcosa di errato anche nella sola prospettiva dell’economia pianificata, comunque necessaria in sanità pubblica, ma che così però è applicata solo sull’offerta e non sulla domanda, riversando sul produttore il costo del trattamento di un considerevole numero di pazienti (più i “non responders” dei rimborsi con “Success Fee”). Marchionne che non solo deve ridare indietro gli incassi ai compratori oltre il tetto di spesa ma deve lasciare loro le 500, non essendoci un tetto alla loro domanda ma solo alla spesa.
 
In altre parole, il payback chiede conto “ex post” dei consumi che eccedono il pianificato addossando all’offerta la “colpa” d’inflazionarne la domanda, non tenendo conto che la terapia segue pedissequamente la necessità di cura (es. in oncologia). Invece l’industria ne è considerata responsabile e perciò sanzionabile (payback).
 
In un nesso tra “colpa” e “pena” analogamente quantificato “ope legis”, come soglia della colpa (la % del tetto) ed entità della pena (% del payback da restituire), tuttavia stabilite senza relazione quantitativa di causalità. Significa abdicare al basilare “principio del beneficio” che nelle interazioni tra sanità ed economia dovrebbe legare in un’unica progressione bisogno, domanda, consumo e spesa.
 
E nella cui declinazione, qui sta il punto cruciale di tutta questa mia riflessione, dovrebbe mettere al centro il PDTA quale insieme di riferimento, tetti di spesa inclusi, come “unicum” omnicomprensivo delle sue singole componenti o prestazioni da gestire e modulare flessibilmente. Questo, a mio avviso, il modus operandi per superare la logica “a silos” dei tetti di spesa farmaceutici, con un obiettivo di pura economia di scopo: fornire la migliore assistenza attraverso i processi allocativi più efficienti (secondo Regione, Area Vasta, AO, ASL, ecc.) L’antitesi del principio di vincolo di destinazione incarnato appunto dai tetti coi susseguenti payback.
 
Superando l’intricato insieme dei meccanismi diretti e indiretti accavallatisi negli anni (i tetti, i budget per industria e prodotti, i fondi speciali gemelli eterozigoti, con tutte le interazioni tra questi, addendi e scorpori incrociati compresi) che dà ragione a Flaiano quando dice che in Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco.
 
Il sistema definisce i prezzi, la rimborsabilità (Aifa), la decisione di consumo (medici dipendenti, ASL, ospedali, ecc.) e conosce la domanda data da prevalenza e incidenza: ha quindi tutti gli strumenti per controllare in toto il processo e quindi pianificarne “ex ante” ogni suo aspetto in modo lineare, minimizzandone l’incertezza ed evitando le bizantine misura tampone “ex post” quale è il payback.
 
Che però consente di trattare tutti riducendo in modo cruciale il reale sfondamento di spesa, che già oggi senza payback veleggia a fine anno a quasi 1,8 miliardi, il 10% sopra il pianificato (17,7 miliardi, cioè il 14,85% del FSN + il miliardo dei due fondi speciali) e che senza di esso sarebbe di svariate centinaia di milioni più elevato.
 
Ecco perché, in soldoni, senza una affidabile capacità e/o volontà programmatoria completa anche della domanda, pur se presenti tutti gli strumenti per consentirla, con i tanti e costosi farmaci in arrivo, temo non riusciremo a liberarci degli anti dottrinali ma utili arabeschi del payback, pur se contestato, condannato da TAR e Consiglio di Stato e quindi blandito da marinaresche promesse di cancellazione.
 
Cosicché anche nella imminente nuova “Governance” farmaceutica, temo ce lo ritroveremo alla fine ancora una volta davanti. Come nella storiella di quel vecchio boomerang di cui quel tale cercava ripetutamente e inutilmente di sbarazzarsi.
 
Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia Sanitaria 

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