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Mercoledì 18 OTTOBRE 2017
I ‘molti’ dubbi sui reali sprechi in sanità. Lo studio Anaao Assomed

Se lo spreco in sanità è indubbio, esso tuttavia necessita di un’attenta analisi perché si possa prevenire e limitare adeguatamente. Parlare di sprechi senza fornire cifre attendibili è politicamente pericoloso perché rischia di spalancare le porte a chi vuole definanziare il SSN. In particolare invocare ulteriori efficientamenti sulla base di confronti con sistemi sanitari completamente differenti è metodologicamente non corretto

La sanità, più di altri settori dello Stato, è accusata di corruzione, sprechi ed inefficienze.  Le stime sono preoccupanti, soprattutto se contestualizzate in una realtà ove il definanziamento degli ultimi anni ha causato da un lato il progressivo aumento della spesa out-of-pocket e dall’altro la rinuncia alle cure di una fetta sempre maggiore di popolazione. La possibilità che poi il personale sanitario non veda da tempo aumenti contrattuali e subisca il blocco del turn over mentre vi sarebbero sprechi miliardari, offende profondamente la dignità della categoria. 
 
Il Rapporto OCSE «Tackling Wasteful Spending on Health» 2017 riferisce che in media nei paesi OCSE un quinto della spesa sanitaria andrebbe utilizzato meglio perché non migliora gli outcome di salute. Di questa media non entra nel dettaglio, ma cita tre studi (statunitense, australiano e olandese) ciascuno con calcoli precisi riferiti alla propria realtà nazionale. Nel report OCSE si analizzano poi singole spese e procedure, sottolineando le differenze, spesso rilevanti, tra i diversi stati membri.

Gli sprechi in Italia sono invece stati conteggiati dall’ultimo rapporto Gimbe 2016 sulla sostenibilità del SSN, secondo cui ammonterebbero esattamente a 22,51 miliardi, ovvero al 20% del totale della spesa sanitaria 2016 di 112,54 miliardi. Ma i dati sono attendibili? Come è stata calcolata questa cifra?
Il dato deriva dalla trasposizione in Italia della valutazione degli sprechi del sistema sanitario statunitense fatta da Berwick e Hackbarth e pubblicata nel 2012 su JAMA 1. Nel lavoro, vengono individuate sei possibili categorie di sprechi (frodi ed abusi, overtreatment, complessità amministrativa, acquisti a costi eccessivi, inadeguato coordinamento dell’assistenza e sottoutilizzo) e vengono sommate le stime più basse per ciascuna categoria, il cui totale è pari ad 1/5 della spesa totale americana per il servizio sanitario.
 
Sprechi USA e sprechi in Italia
Ma gli sprechi statunitensi sono davvero traslabili in Italia?
Sicuramente i costi sono differenti: la spesa sanitaria in USA rappresenta il 16.4% del pil per un totale di circa $ 3.1 trilioni/anno per 325 milioni di abitanti, contro l’ 8.8% dell’ Italia.
Nel 2015 la spesa sanitaria americana pro-capite è stata di 9541 dollari, ovvero due volte e mezza la media dei paesi OCSE, in Italia di soli 3272 dollari l’anno (un terzo di quella statunitense e comunque al di sotto di tutti i principali paesi europei ).2

La sanità americana è la più costosa ma non la migliore, come esordisce un recentissimo lavoro pubblicato sul NEJM3:”nonostante molti americani ritengano che gli USA abbiano la sanità più efficiente al mondo, purtroppo questa idea non ha alcuna base”.
Se raffrontati a 16 paesi occidentali più sviluppati, gli USA hanno la maggiore mortalità infantile e la maggiore incidenza di problemi di salute neonatale; una maggiore perdita di anni di vita per abuso di droghe; una maggiore prevalenza di obesità infantile, di diabete e di BPCO; una maggiore probabilità di morire per patologie cardiovascolari; una minore spettanza di vita a 60 anni. 5-8

Nonostante spendano, in percentuale al PIL, più di tutti i paesi OCSE, gli Stati Uniti hanno il più alto tasso di mortalità teoricamente evitabile con adeguate cure mediche, dato pressoché stabile nell’ultimo decennio: al contrario nel Regno Unito si è assistito negli ultimi 15 anni ad una importante riduzione delle morti evitabili con cure adeguate, calo verosimilmente riconducibile alle riforme dell'assistenza primaria, di quella oncologica ed all’aumento della spesa sanitaria, dal 6,2% del PIL nel 2000 al 9,9% del PIL nel 2014. 7

Gli Stati Uniti hanno poi tassi di povertà e di disuguaglianza più elevati rispetto alla maggior parte dei paesi ad alto reddito: sono all'ultimo posto per l'accessibilità del sistema sanitario, con un notevole distacco dal paese penultimo classificato, la Svizzera.
Nonostante le importanti diseguaglianze sociali, se gli esiti di salute vengono disaggregati per reddito e scolarità, si riscontra che anche le classi sociali più alte hanno una salute peggiore delle corrispettive europee. 5
Dunque: se l’Italia spende nettamente meno degli USA, in proporzione al Pil e pro-capite, ed ha indicatori di salute migliori, davvero lo spreco è paragonabile?

Se consideriamo le sei categorie dello spreco proposte da Berwick e ripresa da GIMBE, l'Italia rispetto agli U.S.A sembra particolarmente parsimoniosa.
A partire dai costi amministrativi, che nel sistema sanitario americano sono eccessivamente alti. In un grosso ospedale con circa 900 posti letto, spesso sono oltre mille i dipendenti dedicati alla gestione finanziaria della struttura. Si spreca, infatti, molto tempo per interagire con le varie assicurazioni, dimostrare la reale copertura delle prestazioni da erogare, l’effettiva validità delle polizze assicurative, richiedere e verificare i pagamenti. Conseguenze di questo labirinto amministrativo sono anche i disservizi ai pazienti, che ottengono con difficoltà informazioni sui loro diritti, sui medici e sugli ospedali che dovrebbero assisterli e che talora devono pagare “out-of-pocket” spese non previste. 4

Negli USA poi vi è una moltiplicazione dei servizi, che garantisce (forse) prontezza delle cure ma a discapito dell’efficienza del sistema: in Pennsylvania, con circa 12 milioni di persone, vi sono oltre 60 centri di chirurgia cardiotoracica.
Rispetto ai paesi europei, gli Stai Uniti risultano ultimi nella coordinazione delle cure, in particolare nel passaggio di flussi informativi tra l'assistenza primaria, quella ospedaliera, i medici specialisti e gli assistenti sociali.6
Secondo il Commonwealth Fund, questa inefficienza è presente anche ma in Italia proporzionalmente minore.

Riguardo alla voce “sottoutilizzo”, prestata a Gimbe dal lavoro di Berwick, va poi ricordato che negli USA sono scarsi gli investimenti in cure primarie rispetto ai sistemi che registrano le migliori performance, dove le cure territoriali sono in grado di offrire una vasta gamma di servizi di assistenza di base, anche di notte e durante i weekend10. Inoltre, se alcuni dati di prevenzione (soprattutto screening oncologici, come la mammografia) sono oltre la media dei paesi europei6, la prevenzione delle patologie croniche, intesa come investimento nel migliorare gli stili di vita, nel ridurre l'uso di droghe, l’obesità, il diabete ecc., è lacunosa, ed il problema è accentuato dall' iniquità del sistema e dalle diseguaglianze.9

Anche alla voce overtretment gli Stati Uniti non brillano, poiché si stima che ben il 30% dell'intera spesa sanitaria sia utilizzato per test, procedure, visite, ricoveri inappropriati12; risulta inoltre maggiore, rispetto ai paesi europei, la quota di ricoveri evitabili eseguiti nelle strutture ospedaliere.6
Se proprio dobbiamo imparare qualcosa in tema di appropriatezza, dagli USA, possiamo partire dalle iniziative virtuose come quella dello stato del Maryland, che ha ridotto le complicanze legate all'ospedalizzazione incentivando il personale dipendente alle buone pratiche con premi economici.8
Infine il costo dei medicinali americani è di gran lunga più alto rispetto quello dei Paesi Europei: nel 2015 sul sito del New York Times, nella sezione che porta il titolo “The New Health Care”, l’Italia veniva portata come esempio virtuoso per la sua politica di contenimento dei prezzi dei farmaci.11

Se facciamo riferimento alla definizione di spreco che viene data nel rapporto GIMBE, secondo cui «gli sprechi sono generati da attività che consumano risorse senza generare value», dobbiamo aggiungere che negli U.S.A. circa i 4/5 dei cittadini americani ha un'assicurazione privata, quindi una parte della spesa sanitaria andrà inevitabilmente in ricavi a favore delle assicurazioni, che non generando “value” vanno considerati come spreco.
Per tutte le sei voci della tassonomia di Berwick, da cui deriva il famoso 20% ipotizzato da GIMBE, gli USA sprecano proporzionalmente più dell'Italia e dunque il dato non è traslabile nella nostra realtà.
 
I dati Italiani
Pur in presenza di innegabili sprechi, la sanità italiana è più efficiente di altre in Europa: secondo la classifica dei sistemi sanitari elaborata dal Lancet13, sulla base dei dati del Global burden of desease, su 195 paesi l’ Italia si classifica al dodicesimo posto, tre posizioni sopra la Francia e meglio della Germania, solo ventesima, mentre il Regno Unito è al trentesimo posto e gli Stati Uniti addirittura al 35esimo. Secondo la classifica stilata dal Bloomberg Global Health Index inoltre, l’Italia ha in assoluto la miglior salute del pianeta, considerando indicatori tra cui la durata media della vita, la nutrizione, la salute mentale e fattori di rischio come tabagismo o pressione sanguigna.

E questo con una spesa sanitaria più bassa di altri stati: secondo i dati OCSE pari al 6,6% del PIL, a copertura del 75% della spesa complessiva degli italiani, per un totale del 8,8% del PIL. Percentuali queste nettamente inferiori a quelle delle altre principali economie: la Germania spende nella sanità pubblica il 10% del suo PIL, coprendo più del 90% del fabbisogno dei cittadini tedeschi, pari all’11% del PIL; in Francia, la quota pubblica dedicata è dell’8,4%, a fronte del 10,7% complessivamente speso dai suoi residenti.
 
Frodi e abusi
Nel rapporto Gimbe 2016 sulla sostenibilità del SSN, lo spreco determinato da frodi ed abusi viene calcolato in 4,95 miliardi di euro (intervallo compreso tra i 3,96 e i 5,94 miliardi). Appare concettualmente scorretto considerare la frode una forma di inefficienza: le frodi e gli abusi sono atti illeciti su cui è necessario intervenire con fermezza e con tutti gli strumenti disponibili, sia preventivi che repressivi; non è però possibile ridurre le frodi con misure di efficientamento.

Inoltre, seppur tale stima appaia sostanzialmente in linea con quelle indicate in altri studi e rapporti13-14, è doveroso sottolineare che proprio il presidente Anac Raffaele Cantone ha recentissimamente dichiarato che in sanità vi è un approccio scandalistico alla corruzione, poiché si “sparano“ cifre non attendibili, esagerate e senza alcuna validità empirica. La corruzione percepita dal cittadino, sempre secondo Cantone, non riflette quella reale, perché le sensazioni degli intervistati possono essere indicative di un clima di sfiducia ma hanno una valenza scientifica pressoché nulla.
Di fatto, nel triennio 2010/2012 la Guardia di Finanza ha accertato reati per una perdita erariale di soli 1,6 miliardi di euro. Pur non volendo sottovalutare il problema corruzione, questo dato ci indica che solo 1/10 dei reati ipotizzati è stato realmente constatato, per un valore annuo ammontante poco più di mezzo milione di euro all’anno.

Sovra-utilizzo
La Fondazione Gimbe riporta 6,75 mld di euro quali spreco legato al sovra-utilizzo, senza tuttavia specificare chiaramente le fonti chi da cui deriva il dato, ma facendo riferimento a poco circostanziate "stime disponibili da Istituzioni e organizzazioni nazionali".
L’esistenza di inappropriatezze è innegabile ma risulta difficile valutarla in oltre 6 miliardi di € ogni anno, anche perché i processi di “efficientamento” del sistema sono stati feroci dal 2009 ad oggi. A partire dal 1995, a fronte di un aumento della popolazione residente italiana di 4 milioni, il nostro paese risulta avere tagliato quasi 145.000 posti letto e dal 2009 circa 40.000 operatori sanitari, di cui 9000 medici, sono usciti dal sistema,. Inoltre il tasso di posti letto per mille abitanti in Italia è 3,3 ogni 1.000 abitanti, poco più della metà dei 6,2 in Francia e di gran lunga meno degli 8,2 in Germania.

Riguardo all'accusa di un eccesso di ricoveri inappropriati, in Italia su 100.000 abitanti risultano avere subito un ricovero poco più di 12.000 persone all’anno, ovvero meno di un ottavo del totale. In Germania, oltre 25.600 persone, un quarto della popolazione residente, riceverebbe ogni anno cure ospedaliere superiore alla giornata, in Francia un abitante su sei. Non solo: la degenza ospedaliera media nel nostro paese è di 6,8 giorni, in Germania di 7,6 giorni.
 
Appropriatezza e concetto di “Value”
Nel lavoro di GIMBE la definizione di spreco è presa in prestito dal padre del sistema di produzione della Toyota, secondo cui «gli sprechi sono generati da attività che consumano risorse senza generare value». Ma se nel commerciare beni è semplice capire quale sia il ritorno delle risorse investite, in sanità la valutazione è molto complessa, ed il rapporto tra costi ed esiti favorevoli non sempre determinabile. Se in ambito sanitario tutti i processi che non migliorano lo stato di salute delle persone vengono definiti uno spreco, si commette una imperdonabile errore, ed un conseguente lievitare delle stime. Un’ azienda deve fare profitto, e con questo obiettivo valuta il costo dei prodotti, la loro quantità ed il prezzo di vendita. Al contrario soprattutto in campo diagnostico, è davvero difficile stabilire a priori cosa sia utile fare o non fare nelle diverse circostanze che caratterizzano la pratica medica: non sono infrequenti le prescrizioni di indagini diagnostiche, anche costose, che poi si rivelano normali e quindi, in teoria, inutili. E’ inoltre d’obbligo sottolineare come una minima quota di inappropriatezza sia inevitabile in sanità, non potendo azzerare, nel processo diagnostico/terapeutico, i falsi positivi. L’argomento era già stato ampiamente affrontato nel 2016, in occasione del cosiddetto “decreto appropriatezza”, poi fortunatamente ritirato. In tale occasione si era sottolineato come l’appropriatezza clinica si fondi su complesse interazioni di competenze scientifiche, relazione con il paziente, patrimonio etico e culturale della Professione.
Nello specifico, appare in sanità più opportuno definire ad alto value le prestazioni con un elevato rapporto tra i benefici ed i rischi, come nella definizione di Choosing Wisely, e non tra outcome e costi, come nell’ idea della Toyota.
 
Sottoutilizzo
Per questa categoria gli sprechi sono una stima indiretta dei costi generati dal peggioramento degli outcome di salute conseguente al sottoutilizzo di servizi e prestazioni sanitarie dall’elevato value. Lo spreco è calcolato in questo caso in 3.38 miliardi. Sicuramente i progressivi tagli del finanziamento al SSN e l’aumento dei ticket, hanno generato una pericolosa riduzione dell’offerta e dei consumi sanitari, la cui stima tuttavia varia in modo rilevante a seconda delle fonti: secondo la ricerca Censis-Rbm16 sono ben 12 milioni gli italiani che rinunciano alle cure, dato assolutamente smentito dall’ ISTAT17 che parla di 5 milioni, meno della metà. Tra essi, soprattutto poveri e disoccupati, essendo quella economica la motivazione prevalente, con una incidenza maggiore nelle regioni del sud. Un interessante intervento dell’epidemiologo Giuseppe Costa sottolinea inoltre come sia utile, per stimare correttamente la rinuncia alle cure, precisare cosa si includa nel calcolo: anche l’ assistenza, e quindi i problemi nella gestione del malato ? Si intende poi la rinuncia a singole prestazione o integralmente alle cure?

Sarebbe utile sapere quale fonte ha utilizzato GIMBE per monetizzare gli sprechi conseguenti alla rinuncia di servizi e prestazioni sanitarie.
E’ infine fuorviante sommare al totale degli sprechi i costi causati dal undertreatment, perché per ridurli è necessario aumentare la spesa sanitaria. Quindi di fatto, dal mero punto di vista finanziario, non vi sarebbe alcun risparmio economico.
 
Complessità amministrative e inadeguato coordinamento dell'assistenza
Queste categorie vengono definite nel rapporto GIMBE rispettivamente come “processi non clinici (burocratici, gestionali, amministrativi) che consumano risorse senza generare value” e “inefficienze intraziendali e interaziendali e/o scarsa integrazione tra diversi setting assistenziali o tra vari servizi dello stesso setting”.
La Fondazione Gimbe stima in €2,48 mld di euro lo spreco legato alle complessità amministrative e in €2,70 mld quello relativo all’inadeguato coordinamento dell'assistenza. Purtroppo le fonti e il metodo di calcolo anche in questo caso non sono chiaramente esplicitati e la ripetibilità del dato risulta non effettuabile.

E’ da segnalare che nel lavoro “Tackling Wasteful Spending on Health” (OECD – gen. 2017), quando si analizzano i costi amministrativi in relazione al modo di finanziamento, l’Italia risulta tra le realtà migliori, poco dopo paesi come Islanda, Svezia, Giappone e Finlandia.
Inoltre, come riportato nel rapporto stesso, si stanno già attuando vari provvedimenti (si veda Patto per la sanità digitale, Piano Nazionale delle Cronicità, patto per la Salute 2014-2016) per rendere più efficiente il sistema. Lo stesso DM70 prevede che la percentuale del personale con ruolo amministrativo non possa superare il 7% del totale del personale, ancora al 11.1% dai dati recentemente diffusi dal Ministero18.
Ma in questo, come negli altri settori, oltre alla accuratezza delle stime va considerata l’efficacia e le ricadute in termini di salute delle iniziative già attuate e mirate a ridurre gli sprechi “non clinici”, prima di pensare a nuovi ulteriori riassetti organizzativi.

Con l’obiettivo di centralizzare molti servizi amministrativi e di eliminarne le duplicazioni infatti negli ultimi anni sono stati effettuati accorpamenti di più ASL: si è passati da un totale di 659 USL nel 1992 a 180 ASL nel 2005 e infine, nel 2017 ne sono previste 104. In totale le ASL si sono ridotte del 40% dal 2005 al 2017.ed i distretti l 33%. I risultati delle fusioni sono stati contrastanti e spesso discutibili: in certi casi l’eccessiva dimensione delle ASL ha causato diseconomie di scala ed una maggior distanza tra le direzioni strategiche e gli operatori, aumentando i costi del cosiddetto management intermedio.
Inoltre dal 2009 le Unità operative complesse sono state ridotte del 25% e la chiusura, anche doverosa, di presidi ospedalieri raramente è stata accompagnata da un adeguato potenziamento dei nosocomi vicarianti o del territorio.
 
Conclusioni
Nonostante sia doveroso re-investire in sanità ciò che si ottiene dalla lotta agli sprechi, di fatto in molti ambiti urgono finanziamenti immediati, che non possono attendere la riduzione degli sprechi per essere attuati. Essa deve essere parallela ad un congruo stanziamento del SSN, e non essere un pretesto per continuare con tagli e definanziamento.
 
Tab.1 Investimenti in sanità non ulteriormente prorogabili.

 
 
 
Di fatto fino ad ora, in sanità, con l’alibi della “lotta agli sprechi”, sono stati decisi a livello centrale solo tagli lineari, che hanno coinvolto sia le realtà meno virtuose che quelle con buoni standard qualitativi. Se il risparmio ottenuto sia derivato dalla razionalizzazione dei processi produttivi o da un impoverimento dei livelli qualitativi o quantitativi, non è ben chiaro dai dati a disposizione. Anche la stima dello spreco è incerta, anche solo per la difficoltà nel tracciare il limite tra spesa appropriata e spreco.

Se lo spreco in sanità è indubbio, esso tuttavia necessita di un’attenta analisi perché si possa prevenire e limitare adeguatamente. Gli studi specifici per calcolare il vero ammontare degli sprechi dovrebbero essere rigorosi, con fonti consultabili, caratterizzati da una particolare prudenza, poiché coinvolgono la salute delle persone, ed infine dovrebbero includere tutte le parti interessate, tra cui medici del SSN, cittadini e loro associazioni.
Parlare di sprechi senza fornire cifre attendibili è politicamente pericoloso perché rischia di spalancare le porte a chi vuole definanziare il SSN.
In particolare invocare ulteriori efficientamenti sulla base di confronti con sistemi sanitari completamente differenti è metodologicamente non corretto.
Anche per l’economia sanitaria valgono le parole usate dagli statistici: “in God we trust; all others must bring evidence”.
 
Domenico Montemurro, Responsabile Nazionale Settore Anaao Giovani

Chiara Rivetti, Segreteria Regionale Anaao Piemonte

Andrea Rossi, Responsabile Anaao Giovani Regione Veneto

David Giannandrea, Responsabile Anaao Giovani Regione Umbria

Simone Agostini Responsabile Anaao Giovani Città della Salute e della Scienza, Torino
 

Bibliografia
1. Berwick DM, Hackbarth AD. Eliminating waste in US health care. JAMA 2012;307:1513-6.
2. OECD Health Statistics 2016
3. Schneider EC, Squires D. From Last to First — Could the U.S. Health Care System Become the Best in the World? N Engl J Med 2017; 377:901-904
4. Saluteinternazionale.2017/07 sanita-usa-come-diventare-la-prima-al-mondo
5. U.S. Health in International Perspective : Shorter Lives, Poorer Health (2013) S. Health in International Perspective: Shorter Lives, Poorer Healt
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7. European Observatory on Health Systems and Policies (2017). Trends in amenable mortality for selected countries, 2004 and 2014.
8. A. Case and A. Deaton, “Rising Morbidity and Mortality in Midlife Among White Non-Hispanic Americans in the 21st Century,” Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, Dec. 8, 2015 112(49):15078–83.
9. Healt affairs Hospital Pay-For-Performance Programs In Maryland Produced Strong Results, Including Reduced Hospital-Acquired Conditions . Sule Calikoglu, Robert Murray
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12. De Boer MJ, Van der Wall EE. Choosing wisely or beyond the guidelines. Neth Heart J 2013;21:1-2
13. Healthcare Access and Quality Index based on mortality from causes amenable to personal health care in 195 countries and territories, 1990–2015: a novel analysis from the Global Burden of Disease Study 2015. The Lancet p231–266, 15 July 2017
14. Illuminiamo la salute: www.illuminiamolasalute.it
15. Libro bianco sulla Corruption in Sanità
16. Rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute
17. Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari: informazioni sulla rilevazione. Istat 2016
18. Personale delle Asl e degli istituti di ricovero pubblici ed equiparati . Ministero della salute. anno 2013

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