quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Mercoledì 15 NOVEMBRE 2017
Terapia genica del Tigem per la mucopolisaccaridosi. Primo intervento al Federico II su bambino turco

Per ora nessun effetto collaterale, nelle prossime settimane l’esito della cura. Se funzionasse sarebbe una svolta storica per tutte le malattie da accumulo. L’intervento nell’ambito di uno studio realizzato grazie alla collaborazione scientifica stipulata tra il Tigem di Andrea Ballabio (l’Istituto di Genetica e medicina di Telethon che ha sede a Pozzuoli) e l’Università Federico II di Napoli.

Terapia genica per la Mucopolisaccaridosi di Tipo VI: nei giorni scorsi è stato eseguito presso il Dipartimento di Scienze mediche traslazionali di Pediatria dell’Ateneo Federico II, il primo intervento al mondo di Terapia genica per la cura della Mucopolisaccaridosi di tipo 6, una malattia genetica rara di cui si contano solo alcune centinaia di casi in tutto il mondo, una ventina in Italia (tra cui un bambino di Pozzuoli in lista di attesa).

L’intervento è stato eseguito su un bimbo turco affetto dalla patologia congenita. Lo studio coinvolge pazienti sia italiani sia stranieri di età superiore ai 4 anni nell’ambito di una collaborazione scientifica stipulata tra il Tigem di Andrea Ballabio (l’Istituto di Genetica e medicina di Telethon che ha sede a Pozzuoli) e l’Università Federico II di Napoli, sede del centro di riferimento regionale per la cura delle malattie rare. Si tratta di un evento storico in quanto è il primo intervento di terapia genica effettuato sull’uomo nel Sud Italia e tra i pochi praticati nel nostro Paese (tutti al Nord e per altre malattie geniche). Al momento anche altri potenziali pazienti arruolabili hanno effettuato una sorta di pre-screening.

Il trasferimento del gene è avvenuto tramite una singola iniezione utilizzando un vettore virale (un retrovirus), nel cui materiale genetico è stata trasferita l’informazione mancante. Secondo quanto trapela per ora l’unica certezza è che in questa fase preliminare della cura non ci sono stati effetti collaterali. Ciò deporrebbe per un buon esito. Ma occorre prudenza: la situazione è ancora preliminare e per verificare gli effetti finali della cura e l’eventuale guarigione del bambino - che segnerebbe una svolta storica nel destino di questi sfortunati piccoli pazienti - bisognerà attendere ancora diverse settimane. Circa due mesi secondo i genetisti. Un tempo necessario al virus vettore di replicarsi e trasferire l’informazione genetica deficitaria mancante nel Dna dell’ospite dando così luogo alla stabile sintesi della proteina mancante che è alla base della malattia.

La mucopolisaccaridosi di tipo VI  è una malattia da accumulo, dovuta alla mancanza di un enzima spazzino contenuto nei lisosomi, organuli intracellulari che servono appunto a digerire e degradare alcune sostanze, in questo caso il dermatansolfato. La malattia esordisce in genere durante l’infanzia e colpisce lo scheletro (con deformità scheletriche e bassa statura), gli occhi (opacità corneale) e il cuore (causando l’inspessimento di alcune valvole).

A differenza di altre mucopolisaccaridosi, non colpisce il sistema nervoso centrale, per cui le persone affette non hanno ritardo mentale. La malattia è causata da mutazioni del gene che codificante per l’enzima arilsulfatasi-B e si trasmette con modalità recessiva ma non legata al sesso. In sostanza quando entrambi i genitori sono portatori sani della mutazione il 25% dei figli ha la probabilità di essere malato. L’unica cura finora disponibile è la terapia enzimatica sostitutiva, che consiste nell’infusione periodica dell’enzima deficitario effettuata in day-hospital (anche presso il policlinico napoletano) con una frequenza variabile da una volta ogni due settimane a una volta ogni mese.

Il virus adeno-associato ha invece la capacità di trasferire il gene codificante per l’enzima arilsolfatasi B nelle cellule epatiche che dopo l’integrazione dell’informazione ricevuta nel nucleo cellulare iniziano stabilmente, presumibilmente per molti anni, a produrre l’enzima mancante immettendolo nel circolo sanguigno a beneficio dei tessuti dove si accumula il metabolita tossico per le cellule.

La terapia genica avviene attraverso una singola infusione del farmaco in una vena periferica. Consiste in un virus trattato in laboratorio per eliminarne gli effetti dannosi e conservarne la capacità di trasferire geni. Il responsabile della sperimentazione è Nicola Brunetti Pierri. Gli studi su modelli preclinici sono stati invece effettuati da Alberto Auricchio, responsabile del programma di terapia genica dell’Istituto Telethon di Genetica e Medicina di Pozzuoli (Tigem), e professore di Genetica Medica presso l’Università Federico II di Napoli. Il gruppo di medici e scienziati che segue la sperimentazione clinica è composto dai pediatri Roberto della Casa, Simona Fecarotta e Giancarlo Parenti, con gli anestesisti Maria Vargas e Giuseppe Servillo coadiuvati da alcuni infermieri specializzati.
 
Ettore Mautone

© RIPRODUZIONE RISERVATA