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Lunedì 20 NOVEMBRE 2017
Legge Gelli. La nuova riforma fa emergere importanti dubbi interpretativi

L’interpretazione letterale della novella legislativa trascina con sé due straordinari pericoli: quello di depotenziare il diritto alla salute che pur resta un principio-guida di rango costituzionale; e quello di far scadere l’impegno del medico che ha sempre riconosciuto la perizia come un connotato costitutivo dello stesso sapere scientifico. Che non è fatto solo di sapere teorico e che vive di un sapere pratico che ci distingue dai molti ciarlatani.

È notizia di questi giorni (ripresa anche da Quotidiano sanità) che il Dott. Rocco Blaiotta, nella sua funzione di presidente della IV Sezione penale della Corte di cassazione (uno tra i massimi studiosi dell’illecito colposo medico), ha posto all’esame delle Sezioni Unite della Corte regolatrice l’interpretazione dell’art. 6 della legge Gelli-Bianco che ha novellato la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria. Perché la nuova riforma, anche nell’interpretazione dei Supremi Giudici, ha fatto emergere dubbi interpretativi di straordinario rilievo e contrastanti indirizzi giurisprudenziali che confermano le nostre personali diffidenze riguardo ad una legge accolta con pareri contrastanti.
 
Accanto agli (almeno iniziali) entusiastici plausi mediatici culminati nella raccolta di moltissime firme in una petizione pubblica promossa per velocizzare l’iter della sua approvazione, la dottrina ha, infatti, espresso forti e ripetute riserve al punto tale che qualche acutissimo osservatore si è spinto ad affermare che questa legge "cambierà la medicina in peggio", con il rischio che essa, addirittura, potrà arrivare a scardinarne i suoi fondamentali connotati ippocratici (cfr. Cavicchi I., 2017).
 
Pur senza banalizzare questioni tecniche davvero complesse a causa dell’infelice formulazione della norma ciò su cui le Sezioni Unite della Corte regolatrice dovranno far chiarezza è il perimetro applicativo dell’irresponsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria.
 
Provo a riassumere: l’irresponsabilità penale introdotta dalla novella legislativa non riguarda qualsivoglia attività sanitaria in senso lato bensì i soli atti medici di natura diagnostica, preventiva, curativa, riabilitativa, palliativa e di medicina legale produttivi di una lesione personale o causativi la morte della persona in relazione a comportamenti imprudenti o negligenti, agiti od omessi in violazione delle raccomandazioni contenute in quelle guidelines che saranno elaborate dagli Enti e dalle istituzioni pubbliche o dalle Società scientifiche o dalle Associazioni tecnico-scientifiche purchè regolarmente iscritte in un apposito elenco nazionale o, in loro mancanza, nelle bestpractice clinico-assistenziali per le quali l’art. 3 della nuova legge prevede la costituzione di un apposito Osservatorio nazionale. Con la conseguenza che la legge Gelli-Bianco ha stabilito l’irrilevanza penale di quei comportamenti colposi rispettosi delle buone pratiche clinico-assistenziali e delle linee guida nazionali, per come le stesse saranno definite, fatte emergere e periodicamente aggiornate ai sensi di legge.

Essa, facendo però menzione alla sola imperizia, ha così ghigliottinato quel fecondo orientamento giurisprudenziale "per il quale la colpa lieve nell'attenersi a linee guida importa la non punibilità anche nelle ipotesi di negligenza e imprudenza" (cfr., Piras. P, 2016): un’esecuzione sommaria che, pur colta dagli interpreti più attenti, non è stata però appieno compresa nei suoi effetti negativi dai professionisti della salute, nemmeno ai loro massimi livelli, visto il plauso entusiastico che ha accompagnato l’approvazione della legge. La legge Gelli-Bianco ha così circoscritto l’abolitio criminis alle sole situazioni astrattamente riconducibili nell’imperizia non trovando però essa applicazione né in quei diffusi ambiti del care non governati da linee guida e da buone pratiche clinico-assistenziali né nelle ipotesi in cui le raccomandazioni in esse contenute devono essere disattese a causa delle peculiarità cliniche del paziente o della deviazione del caso rispetto al teorico atteso. Il quale, molto spesso, presenta salti, deviazioni ed interruzioni perché ogni malattia, al di là del sapere enciclopedico che tende ad ipostatizzarne i contenuti ed i segni, ha, spesso, espressioni i cui caratteri fenotipici sono altamente instabili; con la conseguenza che una cosa è standardizzare per efficientare, un’altra è quella di curare la persona reale nei diversi assetti organizzativi e tecnologici che non sono quasi mai né considerati né esplorati nelle indagini penali.

Resta però aperta ed ancora controversa una questione non certo secondaria: se la nuova riforma della colpa professionale delinea o meno uno scenario più o meno favorevole rispetto alla precedente riforma del 2012 completata dall’allora Ministro, on. Renato Balduzzi.

Un primo contributo interpretativo è quello offerto, a tale riguardo, dalla sentenza Taraboni (Cassazione, Sez, 4 penale, sent. n. 28187 del 20 aprile-7 giugno 2017) che, annullando il giudizio di assoluzione di un medico psichiatra per il gesto omicidiario commesso da un paziente affidato alle sue cure e rinviato la questione al Tribunale di Pistoia, ha dato molto spallate alla nuova riforma ritendendo più favorevole la disciplina precedente.
 
Nel suo complesso il giudizio espresso dai supremi Giudici sulla nuova riforma della responsabilità professionale è lapidario suscitando essa "alti dubbi interpretativi" attraverso "incongruenze interne tanto radicali da mettere in forse la stessa razionale praticabilità della riforma in ambito applicativo»; con una "disarticolante contraddittorietà" e con una "drammatica incompatibilità logica" (Par. 7) che, a parere dei supremi Giudici, pur novellando l’abolitio criminis, rischia tra l’altro di "vulnerare l’art. 32 Cost., implicando un radicale depotenziamento della tutela della salute" (Par. 7). Un radicale passo all’indietro per tutti, sia per il cittadino che pretende la sicurezza della cura, sia per il professionista il quale chiede un regime di imputabilità meno severo per contenere il contenzioso sia per la collettività la quale pretende, in ogni campo, l’uso responsabile delle risorse e l’allentamento dei costi dell’overdiagnosis e dell’overtreatment che sono oramai diventati veri e propri pilastri della medicina moderna.

Un secondo contributo interpretativo offerto dai supremi Giudici è quello contenuto in una sentenza più recente: la n. 50078 del 19 ottobre 2017 sempre della IV Sezione penale della Corte di Cassazione, in diversa composizione (sentenza Cavazza). Con un netto ed incomprensibile revirement (Cfr., Cupelli C., 2017), i supremi Giudici, ritornando sui loro stessi passi o (forse) dimenticando la strada imboccata della precedente lettura costituzionale della nuova legge sulla responsabilità professionale, valorizzano l’interpretazione letterale dell’art. 590-sexies c.p. affermando, in buona sostanza, la non punibilità del medico che, seguendo le linee guida o le buone pratiche adeguate e pertinenti, sia incorso nella loro imperita applicazione (par. 7).
 
L’imperita fase di applicazione delle linee guida o delle buone pratiche clinico-assistenziali sarebbe, così, sotto l’ombrello protettivo dell’irresponsabilità penale anche nell’ipotesi di una grave deviazione del comportamento professionale con la conseguenza, davvero paradossale, che la colpa, in questa linea interpretativa, sarebbe circoscritta alla sola loro non conoscenza. Quasi un’imperizia di risulta (o in eligendo) che non soddisfa, evidentemente, nemmeno i medici e che suscita molte perplessità rispetto all’art. 3 Cost. la cui violazione manifesta chiamerà sicuramente in causa la Corte costituzionale. Anche se, in questa fase di profonda incertezza nell’interpretazione giurisprudenziale, c’è da chiedersi se questo tentativo di allargare l’ombrello protettivo dell’irresponsabilità penale del medico, favorito dall’interpretazione letterale della nuova norma, non metta in discussione i contenuti di quella risposta che abbiamo ripetutamente fornito a chi ci interrogava sull’ampiezza alare degli scudi protettivi. Perché un’imperizia di risulta confonde nuovamente le acque ergendosi a lido salvifico verso il quale cercheranno l’approdo ed il riparo le navi della negligenza e dell’imprudenza.
 

La conseguenza di tutto ciò è un momento di pericolosissimo stallo, a conferma che questa riforma è di una disarmante contraddittorietà logica pur avendo nei fatti operato una incomprensibile controsterzata rispetto alla riforma del 2012 sia pur proponendosi, almeno in parte, i medesimi obiettivi: la riduzione del contenzioso medico ed il contenimento dei costi della medicina difensiva. Obiettivi che, sicuramente, non saranno realizzati poiché, nonostante sia pacifica l’irresponsabilità penale del professionista che ha rispettato le regole cautelari previste dalle linee guida e dalle buone pratiche clinico-assistenziali approvate ed implementate nel rispetto della legge, non si capisce come possa essere esclusa la sola punibilità per imperizia o come possa esistere un’imperizia per così dire di risulta per non dire addirittura in eligendo sia pur anche ammettendo che esse non contengano regole di prudenza e di diligenza professionale.

Resta inalterato il terzo obiettivo della nuova riforma: quello di migliorare la sicurezza della cura e di snellire le procedure per il giusto risarcimento del danno da colpa professionale causato alla persona. Saprà la nuova riforma realizzare questi obiettivi? Lo spero, molto dipende dalle risorse umane che metteranno in campo le Regioni e le Direzioni strategiche aziendali ma ne dubito cogliendo ancora molte resistenze, incomprensibili vuoti ed imperdonabili salti pur restando convinto che l’interpretazione letterale della novella legislativa trascina con sé due straordinari pericoli: quello di depotenziare il diritto alla salute che pur resta un principio-guida di rango costituzionale; e quello di far scadere l’impegno del medico che ha sempre riconosciuto la perizia come un connotato costitutivo dello stesso sapere scientifico. Che non è fatto solo di sapere teorico e che vive di un sapere pratico che ci distingue dai molti ciarlatani di cui si sono occupati anche le cronache.
 
Augurandomi che tutti sappiano responsabilmente coglierli anche se, molto probabilmente, si doveva fin da subito intervenire per scongiurarli se è vero - come è vero - che tra interpretazioni autentiche della legge fatte dai Ministeri, isterismi delle Società scientifiche e delle Associazioni tecnico-scientifiche per rientrare nell’accreditamento attraverso il reclutamento last-minute di nuovi iscritti e le modifiche statutarie, prese di posizione del Consiglio superiore della magistratura riguardo alla scelta dei periti e dei Consulenti tecnici e modifiche legislative inserite in provvedimenti omnibus ora all’esame del Parlamento, i correttivi di quella frettolosa riforma si sono già mossi dai blocchi di partenza.
 
Perché il mossiere della quotidianità è inflessibile e perché non è sempre facile coglierne le sfumature ed i chiaro-scuri, senza derubricare questioni che non sono banali e che sono parte costitutiva del nostro stesso vivere collettivo. 
 
Fabio Cembrani
Direttore U.O. di Medicina Legale
Azienda provinciale per i Servizi sanitari di Trento

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