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Mercoledì 22 NOVEMBRE 2017
Il paternalismo ippocratico e il riformismo parolaio di Cavicchi

Come ha fatto Cavicchi a non accorgersi che in questi anni si è rovesciato totalmente il paternalismo che permea tutta la medicina ippocratica? “Il paziente è ormai colui che ha l’esclusivo potere di accettare o meno la cura, di sceglierne le modalità, di determinarne i limiti”, scriveva oltre dieci anni orsono Stefano Rodotà. Non è un dettaglio è il cuore del giuramento ippocratico. Francamente dall’autore del “Riformista che non c’è” non mi sarei atteso tanto conservatorismo e resistenza al cambiamento che si è (già) realizzato

Ivan Cavicchi risponde con toni acrimoniosi a un mio articolo che Quotidiano Sanità ha acutamente intitolato “Se anche Ippocrate è contro il testamento biologico” in cui facevo il punto sulla difficoltà che trova il disegno di legge sul consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento e delle resistenze al cambiamento che si è realizzato in questi decenni in relazione alla  “rivoluzione del consenso informato”(Stefano Rodotà) che ha rovesciato i presupposti di legittimità dell’intervento sanitario e che permea tutto il rapporto con l’equipe curante e per tutte le fasi dell’esistenza.
 
In particolare riportavo le conclusioni del 1992 del Comitato nazionale di Bioetica  che sanciva il passaggio alla storia “paternalismo ippocratico” intesa come stagione  da ritenersi ormai “tramontata” in virtù della quale il medico si sentiva legittimato ad agire a ignorare le scelte del paziente e a trasgredirle quando non le condivideva.
 
Ho dato conto di una serie di argomentazioni che provengono dal dibattito degli ultimi trenta anni: ho citato documenti governativi (Il Comitato nazionale di Bioetica), ho ricordato la Costituzione e la Corte costituzionale, i documenti internazionali (La Convenzione di Oviedo), il codice di deontologia medica della Fnomceo e importanti studiosi come Stefano Rodotà, Maurizio Mori, Sandro Spinsanti e Mariella Immacolato.
 
Potevo fare più citazioni a ben vedere. Ho colpevolmente scordato Umberto Veronesi che contro il paternalismo e a favore della completa autodeterminazione del paziente ha speso tutta la sua lunga e importante vita. Potevo citare Giovanni Berlinguer che sul paternalismo medico ha scritto pagine bellissime.
 
Per Cavicchi tutte queste posizioni sono “bio-sfondoni” neologismo da lui coniato e ci mette a conoscenza della sua verità.
 
Io, per costume personale, cerco di argomentare senza dare dell’ignorante agli altri e meno che mai senza mai pormi autoreferenzialmente – come fa Cavicchi –mettendomi in cattedra e accusare di lesa maestà qualcuno semplicemente affermando che ne so “professionalmente” più degli altri.
 
Cavicchi scopre, oggi, che la bioetica ha seppellito Ippocrate (da alcuni decenni Ivan!) e reagisce in modo scomposto.  Risponde a un articolo sul testamento biologico non prendendo posizione neanche con neanche una riga sul punto: ignora il dibattito bioetico ma evidentemente anche la cronaca politica e mediatica di questi giorni con la presa di posizione di Papa Francesco sull’accanimento e sulle difficoltà di approvazione di una legge sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento che derivano proprio dalle resistenze culturali di quell’ippocratismo che lui tenacemente difende.
 
Eppure Cavicchi è quell’autore che ripete come un mantra la necessità del cambiamento e stigmatizza continuamente “l’invarianza” in sanità e non si è accorto della “rivoluzione silenziosa” che ha comportato il consenso informato che ha cambiato radicalmente l’impostazione del rapporto medico-paziente negli ultimi decenni. Il consenso informato ha determinato, come reazione, è vero, atti di medicina difensiva da parte di chi lo ha subito e lo sta subendo e la sua degenerazione amministrativa che si concretizza con l’ipermodulistica. Ha però anche determinato importanti attenzioni proprio sull’informazione. Si pensi alla bella affermazione contenuta nella versione attuale del codice di deontologia medica (2014) che definisce l’informazione “tempo di cura”. Un tempo impensabile (infatti non c’era!).
 
Cavicchi trova “spassosa” la mia affermazione che la medicina ippocratica sia da considerarsi anticostituzionale. Lo ribadisco: un intervento sanitario che prescinda dall’informazione e dal consenso del paziente è illegittimo e viola ben tre articoli della Carta costituzionale. Basta leggere cosa ha più volte detto la Suprema Corte. Da questo punto di vista il giuramento ippocratico è profondamente anticostituzionale e infatti sono molti decenni che non viene più prestato e nessuno si sognerebbe di riesumarlo.
 
Cavicchi è talmente chiuso in se stesso che non legge e non si confronta con gli altri, ma cita solo i suoi scritti! L’autocitazione, oltre a essere inelegante non permette di allargare gli orizzonti, di contaminare le proprie idee con il nuovo.
 
Come ha fatto a non accorgersi che in questi anni si è rovesciato totalmente il paternalismo che permea tutta la medicina ippocratica: “il paziente è ormai colui che ha l’esclusivo potere di accettare o meno la cura, di sceglierne le modalità (il medico, infatti deve indicare anche le alternative terapeutiche), di determinarne i limiti” scriveva oltre dieci anni orsono Stefano Rodotà ne “La vita e le regole”. Non è un dettaglio è il cuore del giuramento ippocratico.
 
Questa è una vera rivoluzione, altro che “invarianza”.
 
Francamente dall’autore del “Riformista che non c’è” non mi sarei atteso tanto conservatorismo e resistenza al cambiamento che si è (già) realizzato.
Il riformismo non può essere solo parolaio.
 
Luca Benci
Giurista

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