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Lunedì 27 NOVEMBRE 2017
Dopo duemila anni Ippocrate è ancora vivo e lotta insieme a noi



Gentile Direttore,
lechiedo cortese ospitalità sul suo eccellente Giornale (noti la G maiuscola) per permettermi di intervenire sulla “querelle” innescatasi su QS tra Luca Benci e Ivan Cavicchi relativamente ad un argomento che è mio pane quotidiano come medico e come presidente di un Ordine dei Medici e Odontoiatri.
 
“La parola agli esperti” si dovrebbe dire o almeno a chi, consenso informato e codice ippocratico, li gestiscono quotidianamente per attività professionale. Non ripeterò, perché, condividendole appieno le faccio interamente mie, le considerazioni dei Colleghi Pietro Cavalli e Ornella Mancin apparse nei giorni scorsi su QS.
 
Esprimo il mio disappunto verso il dott. Benci, il quale spero non me ne vorrà, se dal suo Giornale, mi rivolgo direttamente a lui anche con qualche indulgente asprezza.
 
Dottor Benci, scusi, ma che modo è questo di discutere! Ho letto il suo articolo in risposta a quello davvero interessante del prof Cavicchi sul paradigma ippocratico ma le devo confessare che sono rimasto molto deluso. Sia dalle sue inconsistenti argomentazioni che dal suo, direi, almeno goffo tentativo di svicolare dal confronto rifugiandosi nella solita pratica della svalutazione del suo interlocutore (parolaio, conservatore, autoreferenziale, acrimonioso, finto riformatore, ecc.).
 
Mi scusi dott. Benci, lei si definisce un giurista e da quel che capisco, soprattutto dalle sue, per altro scarne, citazioni, lei mi pare sostanzialmente a digiuno di storia della medicina, di filosofia della medicina, di questioni medico dottrinali, di ortodossia medica, ed altro ivi inerente: comprensibile per certi versi non essendo lei un medico.
 
Nonostante ciò in un articolo, che definire sorprendente è poco, cerca di propinarci   sulla base di alcune opinioni bioetiche prese un po’ qua e là, quelli che il prof Cavicchi definisce, giustamente e argutamente, dei “bio-sfondoni”.
 
Ma cosa si aspettava che le dicessimo “bravo”? (Piccola chiosa su “bio-sfondoni”. Come noto Cavicchi è un gran “produttore” di “neologismi” in campo medico: ricordo incidentalmente il medico come “autore” che va spezzettato in “auto” e “re” dove per “auto” si intende “autonomo” e “re” per “responsabile”: dunque un medico autonomo e responsabile. Altro neologismo è quello della “compossibilità” che ruba il campo a “compatibilità” aggiungendo nel significato altro, e ancora, rivolgendosi ad alcuni presidenti di Ordine, li definisce “Sco” che sta per “sconvenienti”, “scomodi” in base alle loro posizioni contrarie alla medicina economicistica che le Regioni tentano di imporre tramite la medicina amministrata. Dunque lasciamogli passare anche “bio-sfondoni” per facilitare l’argomentare!)
 
Questi bio-sfondoni le vengono elencati ad uno ad uno, con grande lealtà intellettuale. Cioè non solo le viene dichiarato un disaccordo ma le viene spiegato e dimostrato perché.
 
Non pago ricorrendo ad argomentazioni piuttosto accurate,  il prof Cavicchi,  le ricostruisce quello che lei mostra di disprezzare ma senza evidentemente conoscere nella sua pratica applicazione, cioè il paradigma ippocratico, quindi le dimostra  l’infondatezza delle sue tesi, ma nello stesso tempo le dice che l’unica tesi che lei usa contro l’ippocratismo  (il consenso informato) è comunque del tutto compatibile con il paradigma ippocratico, e che pur avendo delle contraddizioni esso non è una variabile in grado di decretare la fine di un paradigma. Più chiaro di così si muore. Tuttavia lei continua come se nulla fosse a ribadire ciò che le è stato confutato ma senza apportare una ragione in più. Che modo di discutere è questo?
 
Sulla questione “scienza e coscienza” il prof Cavicchi in primo luogo le spiega quanto pericoloso sia ridurre la medicina tout court a EBM (evidence based medicine), in secondo luogo evidenzia la contraddizione clamorosa di uno come lei che si propone come un simpatizzante della bioetica e che quindi patrocina una morale e nello stesso tempo una medicina senza morale. Ma soprattutto le dice non confondiamo l’autonomia con l’arbitrio investiamo sulla autonomia qualificando la scelta e combattiamo l’arbitrio. Lei invece cosa fa? In nome dell’arbitrio vuole cancellare l’autonomia.  Ma si rende conto?
 
Lei ci parla, senza argomentare, di un paradigma bioetico ma non risponde a nessuna delle critiche che le sono state rivolte. Torno a chiederle ma che modo è questo di discutere?
 
Al culmine di tutto il prof Cavicchi, al quale si può dire di tutto meno che è un conservatore (non so più da quanto tempo egli si batte, e non solo a parole come lei ben sa, per ripensare la medicina e non solo: basti ricordare la sua recente proposta di  “quarta riforma”) ci propone una svolta neo-ippocratica cioè le dice: salviamo i postulati fondanti dell’ippocratismo ma ricontestualizziamo tutto cioè ridefiniamo l’apparato positivista della medicina, ridefiniamo le regole della conoscenza, usiamo le relazioni quali conoscenza e numerevoli altre cose.
 
E lei che fa? Ancora una volta, non risponde, si arrampica sugli specchi dichiarandosi offeso, tenta di mettere in cattiva luce chi certo l’ha confutata ma nello stesso tempo le ha offerto delle vie di uscita di grande interesse.
 
Non ho bisogno di difendere Ivan Cavicchi, sa farlo bene da solo, né di ribadire quello che ci siamo detti a Bologna, quando lei dottor Benci è stato ospite del nostro Ordine per un convegno e cioè che lei è “il mio miglior nemico”, o meglio quello che, tra i miei detrattori, considero il più disponibile al dialogo.
 
Chi le parla è un medico che si definisce ippocratico nel senso che ha sempre proposto ai pazienti indagini diagnostiche e cure dopo aver acquisito il consenso, cioè il loro consenso. L’unica libertà che mi sono preso è stata quella di non procedere verso soluzioni che non condividevo sia in ottica di indagini diagnostiche che di trattamenti terapeutici. In sostanza ho agito secondo “Scienza e Coscienza”. “Scienza”: in funzione della mia preparazione tecnica; “Coscienza”: in funzione delle mie convinzioni etiche e morali.
 
Le spiego: questo tipo di “medico” è quello che non sarà mai un “mero esecutore di volontà altrui” se queste non trovano risonanza nella propria professionalità ed etica. Naturalmente quando mi sono trovato dinanzi a proposte che ritenevo non compatibili con il mio essere medico (“scienza e coscienza”) non ho abbandonato a se stesso il paziente ma l’ho indirizzato verso altri Colleghi che avrebbero potuto valutare diversamente quanto propostomi.
 
Vede, le diverse citazioni che lei propone, naturalmente tutte rispettabili, alla fine debbono essere convogliate in un atto medico ed è quello che ho cercato di tratteggiare nelle poche righe di sopra.
 
Il codice ippocratico resiste da oltre duemila anni e non è fino ad ora, nonostante tutto, stato scalfito al punto da risultarne snaturato, ma oggi stiamo correndo il rischio, grazie, mi scusi se glielo dico sempre con affetto, a pseudo modernizzatori come lei, di distruggere un grande patrimonio culturale.
 
Il prof Cavicchi mi sembra sia stato chiaro: non si tratta di fare apologia dell’ippocratismo ma di distinguere ciò che deve essere confermato perché valido, da ciò che deve essere ripensato perché non più valido, sapendo in questo modo di rivolgersi ad un intimo convincimento non solo mio personale ma anche di migliaia e migliaia di colleghi medici: si tratta sempre di operare con prudenza ma sempre per la salvaguardia del “bene primario” del malato.
 
che propone il prof Cavicchi, e che lei mostra di non aver voluto capire, non è proprio una passeggiata e anche per me, ippocratico convinto, non semplice da accettare e da mettere in pratica perché implica di ripensare molte cose tra le quali la formazione base del medico, le prassi consuetudinarie e il Codice Deontologico attualmente vigente.
 
Ricordo, a lei e a chi avrà la bontà di leggerci, che l’Ordine che ho l’onore di presiedere si è rifiutato di adottare l’ultima versione del codice deontologico propostaci dalla federazione nazionale degli ordini perché giudicato da noi non adeguato a cogliere le sfide del nostro tempo.
 
Che dirle ancora dottor Benci la mia impressione è che lei in questa circostanza non solo abbia fatto la proverbiale “pipì fuori dal vaso” dimostrandosi quanto meno imprudente nell’occuparsi di cose che non conosce, ma quel che è peggio ha finito con l’immiserire una discussione che per i suoi contenuti meritava davvero molta più sensibilità soprattutto da parte sua.
 
Concludendo devo dire che mi ha molto colpito la fine del suo articolo dove citando” il riformista che non c’è” (2013) accusa il prof Cavicchi sostanzialmente di non esser coerente con le sue idee e le voglio spiegare perché dandole una dritta.
 
E’ del tutto evidente che lei l’opera soprattutto filosofica e epistemologica del prof. Cavicchi non la conosce altrimenti avrebbe citato un altro libro, questo davvero fondamentale, che è “Ripensare la medicina: restauri, reinterpretazioni, aggiornamenti” 2004) e che a me, le confesso, è costato qualche difficoltà di comprensione dal momento che la sua lettura non sempre è stata agevole.
 
Le rammento questo libro perché in esso troverà la chiave di lettura che le consentirà di comprendere la critica severa che le è stata rivolta e che va ben oltre l’ippocratismo.
 
In un capitolo “il dipartimento di filosofia medica” (pagg. 103-164) Cavicchi, con una analisi incalzante, ci dimostra quella che lui chiama “l’inettitudine della bioetica” a risolvere i problemi paradigmatici della medicina e ci spiega che l’unica strada percorribile che ci resta è ritornare alla filosofia e all’etica in quanto etica, non etica applicata, nel senso, dice lui, che oggi più che mai abbiamo bisogno di un pensiero che aiuti il pensiero della medicina a ripensarsi.
 
Ora le dico cosa penso io in scienza e coscienza non solo da medico ippocratico, con più di 40 anni di esperienza sulle spalle, ma anche da presidente di Ordine.
 
Ha ragione Cavicchi, la bioetica in questi anni in nessun modo è riuscita a darci una mano a risolvere e ad affrontare i nostri problemi paradigmatici. Essa non è e non ha quel pensiero che ci servirebbe. Non ha la vocazione né le competenze e, meno che mai, lo spessore culturale per governare le tante complessità in gioco. Ora lei nel suo articolo ci viene a dire che il paradigma ippocratico è stato superato dal paradigma bioetico. Mi creda sulla parola, è una sciocchezza, ma a parte ciò mi chiedo con queste tesi lei dottor Benci come pensava di farla franca e di passare inosservato? Il vero bio-sfondone che le è stato attribuito è quello di ritenere capace la bioetica di darci le soluzioni di rinnovamento paradigmatico che ci servono. Campa cavallo che l’erba cresce.
 
Dottor Benci mi consenta di salutarla e con la simpatia immutata che nutro nei suoi confronti, di rivolgerle una domanda: visto che lei è tanto bravo a demolire i paradigmi giudicandoli addirittura anticostituzionali, in questo momento difficile per la medicina, cosa ha di interessante da proporci?
 
Giancarlo Pizza
Presidente OMCeO di Bologna

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