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Venerdì 15 DICEMBRE 2017
Speranza di vita. Italia resta seconda in Europa con una media di 82,8 anni. Prima la Spagna con 83 anni tondi. Ecco come va la salute degli italiani nella nuova edizione del Bes-Istat

La speranza di vita alla nascita in Italia nel 2016 ha recuperato la diminuzione osservata l’anno precedente, legata a una combinazione di oscillazioni demografiche e fattori congiunturali di natura epidemiologica e ambientale. Sono 82,8 gli anni che un nuovo nato del 2016 si può aspettare in media di vivere: per gli uomini il valore è di 80,6 anni, il massimo assoluto, mentre per le donne si ritorna al picco di 85 anni già osservato nel 2014. Gli indicatori del Bes, in tutto 129, sono articolati come di consueto in 12 domini, tra cui la salute. IL RAPPORTO BES.

Nel 2016 la speranza di vita alla nascita in Italia era di 82,8 anni, con un completo recupero rispetto alla flessione osservata nel 2015, in concomitanza del picco di mortalità registrato in Italia e in molti paesi europei.

Nel 2016, gli indicatori che descrivono la qualità degli anni da vivere in buona salute o senza alcuna limitazione nelle attività a 65 anni non evidenziano, invece, variazioni di rilievo rispetto agli ultimi due anni. I principali indicatori di mortalità continuano a registrare un andamento positivo. 
Non si attenua inoltre il gradiente territoriale, con un vantaggio del Nord del Paese su quasi tutti gli indicatori.
 
I dati sono contenuti nella nuova edizione del Rapporto sul Benessere equo e sostenibile appena pubblicato dall'Istat.

Il Rapporto offre una lettura del benessere nelle sue diverse dimensioni ponendo particolare attenzione agli aspetti territoriali e allo sviluppo di alcuni indicatori di benessere inseriti nei documenti di bilancio. Gli indicatori del Bes, in tutto 129, sono articolati come di consueto in 12 domini: Salute; Istruzione e formazione; Lavoro e conciliazione dei tempi di vita; Benessere economico; Relazioni sociali; Politica e istituzioni; Sicurezza; Benessere soggettivo; Paesaggio e patrimonio culturale; Ambiente; Innovazione, ricerca e creatività (prima denominato Ricerca e innovazione); Qualità dei servizi.
 
Insieme all'edizione 2017 del Rapporto Bes, l'Istat aggiorna e amplia il set di indicatori sullo sviluppo sostenibile (SDGs) che è parte integrante di una più ampia lista approvata dall'assemblea delle Nazioni Unite all'interno dell'Agenda 2030.
 
Nel 2015 , in Europa, l’aumento della speranza di vita si è arrestato dopo oltre un decennio. L’Italia ha comunque mantenuto il secondo posto in graduatoria, con 82,7 anni di vita media attesa alla nascita, dopo la Spagna (83 anni), seguita dalla Francia (82,4); la media Ue28 è di 80,6 anni. L’Italia ha perso circa 5 mesi di vita media attesa rispetto al 2014, al pari di Francia e Germania, mentre in media l’Ue a 28 ha registrato un decremento di circa 3 mesi e mezzo. In Italia, la flessione della speranza di vita ha penalizzato maggiormente le donne, che hanno perso oltre 8 mesi in media di vita; solo a Cipro si è rilevata una flessione più ampia (-12 mesi).

Declinando le graduatorie per genere, la posizione dell’Italia nel 2015 non si modifica rispetto al 2014: gli uomini in Italia restano in seconda posizione dopo la Svezia, mentre le donne permangono al terzo posto dopo Spagna e Francia.
 

I dati del 2016. La speranza di vita alla nascita in Italia ha recuperato la diminuzione osservata l’anno precedente, legata a una combinazione di oscillazioni demografiche e fattori congiunturali di natura epidemiologica e ambientale. Sono 82,8 gli anni che un nuovo nato del 2016 si può aspettare in media di vivere: per gli uomini il valore è di 80,6 anni, il massimo assoluto, mentre per le donne si ritorna al picco di 85 anni già osservato nel 2014.
 
Nel 2016, gli indicatori che combinano la speranza di vita con le condizioni di salute riferite non evidenziano invece netti miglioramenti. Per la speranza di vita in buona salute alla nascita (58,8 anni nel complesso della popolazione) si osserva un lieve incremento tra i maschi, che passano da 59,2 anni nel 2015 a 59,9 anni nel 2016. Rispetto al 2009, gli anni vissuti in buona salute sono aumentati sia per gli uomini (+2,6 anni) sia per le donne (+2,2 anni). La speranza di vita senza limitazioni nelle attività a 65 anni rimane costante nel triennio 2014-2016 attestandosi a 9,8 anni. 







Nel 2015, in Italia, gli indicatori che descrivono la qualità degli anni che restano da vivere, ovvero quelli vissuti in buona salute o senza limitazioni nelle attività a 65 anni rimangono stazionari. Gli anziani italiani per i quali si registra un anno di vita media in più (22,2 anni per le donne e 18,9 per gli uomini) rispetto alla media dei paesi Ue a 28 nel 2015 si collocano al di sotto della media europea quando si considera la sopravvivenza senza alcuna limitazione nelle attività. Per gli uomini la speranza di vita senza limitazioni nelle attività a 65 anni è pari a 7,8 anni a fronte dei 9,4 anni della media europea; per le donne italiane il livello è di 7,5 anni rispetto ai 9,4 anni della media Ue.

Il tasso di mortalità infantile in Italia è da anni tra i più bassi in Europa. Nel 2015 i tassi più bassi sono stati registrati in Slovenia e Finlandia, entrambe con meno di 2 decessi nel primo anno di vita per 1.000 nati vivi; l’Italia segue a breve distanza con 2,8 decessi per 1.000 nati vivi.

Nonostante il generale miglioramento di questo indicatore nel breve periodo, a livello europeo si manifesta una forte eterogeneità. Nel 2015, Romania e Bulgaria presentano tassi di mortalità infantile ancora relativamente alti (rispettivamente 7,6 e 6,6 morti ogni 1.000 nati vivi). Il divario tra i paesi europei va comunque riducendosi: il coefficiente di variazione era di oltre il 50% nel 2004 e scende al 34,7% nel 2015.

Il tasso di mortalità per incidenti stradali riferito al periodo 2005-2014 ha registrato, per le classi di età 15-17 e 18-24 anni, una significativa riduzione in quasi tutti i paesi della Ue28 (15-17 anni -56% e 18-24 anni -53%). Nel 2016, il tasso di mortalità per incidenti stradali nella fascia di età giovanile in Italia appare in linea con la media dei paesi Ue28. Svezia, Regno Unito e Danimarca sono i paesi con i tassi più bassi per i 15-17 anni con valori inferiori a 0,2 per 10.000; per i 18-24enni, oltre a questi paesi, si aggiungono i Paesi Bassi, tutti con valori compresi tra 0,3 e 0,5 per 10.000. In Italia, i tassi di mortalità per incidenti stradali tra i 15 e 17 anni e tra 18 e 24 anni sono rispettivamente pari a 0,4 e 0,9 decessi per 10.000 abitanti.

L’Italia, insieme alla Francia, è tra i paesi europei con la più bassa quota di popolazione adulta in eccesso di peso (tra i 25 e i 64 anni è pari al 43%, contro il 51,7% della media Ue28). Tuttavia, si rilevano disuguaglianze più accentuate rispetto alla media Ue28: in Italia, avere un titolo di studio basso fa aumentare tra gli adulti il rischio di essere in eccesso di peso di oltre il 60%, a fronte di un aumento inferiore al 40% nella media europea.

Anche per quanto riguarda la quota di adulti (di età 25-64) che fumano tutti i giorni, l’Italia si colloca al di sotto della media europea, con il 21,7% di fumatori abituali; le percentuali più basse si rilevano in Svezia (9,5%) e Finlandia (13,8%), mentre le quote più elevate si osservano in Bulgaria (35,7%) e Grecia (35,1%).

Le disuguaglianze sociali nell’abitudine al fumo si differenziano rispetto al genere, in quanto non tutti i paesi europei si trovano nella stessa fase della cosiddetta epidemia del fumo6 . In quasi tutti i paesi (ad eccezione di Romania e Cipro) la percentuale di fumatori abituali tra gli uomini adulti è più elevata tra le persone con basso titolo di studio.

Tra le donne gli andamenti per titolo di studio sono differenziati. In alcuni paesi, come Portogallo, Romania e Cipro, la quota di fumatrici è più alta tra le più istruite. In altri paesi, tra cui ad esempio Italia, Francia e Spagna, si osserva uno svantaggio delle donne con basso titolo di studio. Nella maggior parte dei paesi questa tendenza appare già consolidata: in Svezia, la quota di fumatrici abituali tra le donne di 25-64 anni meno istruite è del 24,1%, contro il 3,5% tra le più istruite.

Le principali differenze in Italia
L’analisi della dinamica della sopravvivenza osservata negli ultimi anni conferma, anche per il 2016, le differenze di genere; continua però a diminuire il vantaggio femminile, dovuto soprattutto ai maggiori guadagni in longevità degli uomini. In 10 anni gli uomini, infatti, hanno guadagnato almeno 2 anni di vita mentre le donne hanno guadagnato un solo anno.
Sul territorio si conferma il divario tra Centro-Nord e Mezzogiorno, con una differenza media di oltre 1 anno di vita atteso a svantaggio del Meridione. Tali differenze territoriali permangono anche quando si analizza la speranza di vita per titolo di studio: anche i più istruti del Mezzogiorno hanno un’aspettativa di vita inferiore ai più istruiti del Nord (soprattutto se uomini). Il primato per longevità nel 2016 spetta ancora alle province autonome di Trento e Bolzano (rispettivamente 83,8 e 83,4 anni) e Marche (83,4 anni), mentre si confermano agli ultimi posti la Campania (81,1 anni), la Sicilia (81,8 anni) e la Valle d’Aosta (81,9), unica regione del Nord nella parte bassa della graduatoria.

Il valore minimo della speranza di vita in Italia si osserva per gli uomini residenti in Campania (78,9 anni) e quello massimo per le donne della provincia autonoma di Bolzano (86,3 anni). Gli indicatori sulla qualità della sopravvivenza evidenziano disuguaglianze territoriali ancora più marcate, con una differenza di vita attesa in buona salute alla nascita tra Nord e Mezzogiorno pari a circa 4 anni; le regioni con valori significativamente superiori alla media nazionale sono le province autonome di Trento e Bolzano e l’Emilia-Romagna, mentre quelle al di sotto sono Basilicata, Calabria e Sardegna.

Per la speranza di vita senza limitazioni a 65 anni è analogo il gradiente territoriale: nel Nord sono 11 gli anni di vita da vivere senza limitazioni nelle attività, nel Centro 10 e nel Mezzogiorno 8. Il trend decrescente della mortalità infantile riguarda i maschi, per i quali, dal 2013 al 201510 si passa da 3,4 a 3,1 decessi per 1.000 nati vivi, mentre per le femmine nello stesso periodo si registra un lieve aumento da 2,5 a 2,7 decessi per 1.000 nati vivi. Il tasso calcolato sui bambini presenti in Italia, anziché sui residenti, evidenzia un tasso di mortalità più elevato, segno che, sebbene il trend sia comunque decrescente, si riscontra una mortalità più elevata tra i minori di un anno non residenti in Italia.
A livello territoriale la riduzione del tasso di mortalità infantile riguarda prevalentemente il Centro e il Mezzogiorno mentre è costante nel Nord.

Si assottiglia dunque ma permane lo svantaggio del Mezzogiorno, con un tasso pari a 3,4 per 1.000 nati vivi nel 2014 (era 3,8 nel 2013), contro il 2,4 nel Centro (era 2,6) e il 2,5 per 1.000 nati vivi nel Nord. Si conferma il valore più elevato in Calabria e in Sicilia, mentre in Campania si registra una significativa diminuzione da 4 a 3 morti nel primo anno di vita per 1.000 nati vivi residenti. Dopo la riduzione registrata fino al 2012 nella mortalità per incidenti stradali nei giovani, soprattutto tra i maschi, il tasso si è mantenuto sugli stessi livelli negli anni successivi.
 
Nel corso degli anni l’incidentalità stradale per la classe di età 15-34 anni ha evidenziato una tendenza alla convergenza a livello di grande ripartizione territoriale mentre a livello regionale permangono alcune differenze. Nel 2016, i livelli più elevati del tasso si registrano in Puglia, provincia autonoma di Bolzano, Calabria, Molise e Sardegna (livelli tra 1,1 e 0,9 per 10.000 contro 0,7 per l’Italia).

Tra il 2013 e il 2014, il calo della mortalità per tumori maligni nelle età dai 20 ai 64 anni ha riguardato in misura maggiore le donne (il tasso passa da 8,2 a 7,9 per 10.000 residenti) rispetto agli uomini (da 10,4 a 10,3 per 10.000). Le differenze geografiche si accentuano tra le donne del Mezzogiorno per le quali la mortalità per tumori non diminuisce, come invece accade nelle altre ripartizioni. Abruzzo, Calabria ma soprattutto Campania, regione che aveva già nel 2013 la mortalità per tumori maligni più elevata d’Italia (anche tra gli uomini) mostrano i risultati peggiori. Tra gli uomini la mortalità per tumori si riduce in tutto il Mezzogiorno (tranne che in Abruzzo e Molise), pur restando più elevata che nel resto del Paese.

Il trend di diminuzione della mortalità per demenze e malattie del sistema nervoso nella popolazione di 65 anni e oltre, iniziato nel 2013, assume lo stesso ritmo per entrambi i generi mantenendo inalterata la distanza: nel 2014 il tasso per gli uomini è pari a 28,9 per 10.000 residenti e per le donne è 26,8. I livelli più elevati di mortalità si osservano nelle regioni del Nord. Il Mezzogiorno insieme al Centro, invece, presenta tradizionalmente livelli più bassi per entrambi i generi ma con una particolarità: a partire dal 2011 la mortalità per demenze degli uomini del Mezzogiorno supera per la prima volta quella delle regioni del Centro, e questo avviene soprattutto per gli elevati livelli osservati in Sardegna e Abruzzo. Tra le donne i tassi più bassi si registrano in Molise e Calabria, per gli uomini in Lazio e Campania.

Per tutti gli stili di vita permangono le differenze di genere a favore delle donne, più propense a seguire stili di vita salutari, ad eccezione della sedentarietà. Il rischio di non praticare attività fisica, infatti, è più elevato del 50% tra le donne rispetto agli uomini. Gli uomini sono particolarmente svantaggiati per la diffusione dell’eccesso di peso e del consumo di alcol. Il rischio di essere in eccesso di peso, infatti, è quasi 2 volte e mezzo più alto tra gli uomini rispetto alle donne e per i comportamenti a rischio nel consumo di alcol è oltre 3 volte superiore. Anche le differenze territoriali non mostrano cambiamenti rilevanti, con una maggiore propensione nel Mezzogiorno ad adottare abitudini sedentarie (il rischio è quasi 3 volte più elevato che al Nord), nonché ad essere in eccesso di peso o a consumare quantità non adeguate di frutta e verdura. Il Nord si caratterizza per una maggior quota di persone che consumano abitualmente quantità di alcol oltre le soglie specifiche per genere e fasce di età o che praticano il binge drinking.

La diffusione di comportamenti poco salutari tra bambini e ragazzi merita una particolare attenzione perché connessa all’insorgenza futura di importanti patologie croniche. Inoltre, in letteratura è ampiamente riconosciuta la capacità predittiva dell’obesità in età preadolescenziale e adolescenziale per la presenza di obesità in età adulta.

In Italia, si stima che il 24,7% dei bambini e ragazzi tra 6 e 17 anni sia in eccesso di peso (dato medio 2015-2016), 28,6% tra i maschi e 20,5% tra le femmine. La geografia dell’eccesso di peso riflette quella osservata per gli adulti, con una quota nel Nord pari al 20,6%, 23,2% nel Centro e 30,2% nel Mezzogiorno, con un picco in Campania (37,4%).

La presenza in famiglia di genitori obesi o in sovrappeso ha un forte impatto sui figli: se entrambi i genitori presentano un eccesso di peso la quota di bambini e ragazzi di 6-17 anni obesi o in sovrappeso è del 34,8%, scende al 19,5% quando nessuno dei genitori è in eccesso di peso. Il consumo di quantità adeguate di frutta e verdura tra i bambini e i ragazzi è ancora poco diffuso, con il 12,9% delle persone tra 3 e 17 anni che nel 2016 consuma almeno 4 porzioni di frutta e/o verdura al giorno. Le caratteristiche socio-culturali della famiglia influenzano significativamente gli andamenti: se il titolo di studio della madre è più alto la percentuale del consumo sale al 17,5%, e raggiunge il 21,3% nel Centro.
 
ANALISI ON LINE DEGLI INDICATORI
 

 

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