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Mercoledì 17 GENNAIO 2018
La legge Lorenzin e il codice deontologico. Non dimentichiamo che in democrazia quello che prevale è sempre la legge
Gentile direttore,
vorrei contribuire al dibattito sorto sul tema della legge Lorenzin in particolare dopo gli interventi del Dott. Panti e del Prof Benci. Mi chiedo: un medico può agire in contrasto alla nuova legge sul consenso informato e dat? E se lo fa è sottoposto al codice deontologico o alla legge o a tutti e due?
E che succede se il codice deontologico, diversamente da ora, contenesse norme in contrasto con la legge?
Trascuro il fatto che la nuova legge è nata anche da una lettura attenta del codice deontologico attuale e quindi non dovrebbero esserci conflitti, perché sappiamo che i codici deontologici dei medici hanno subito diversi aggiornamenti e altre modifiche sono preannunciate quindi potrebbero esserci problemi in futuro.
Un altro esempio andando indietro nel tempo. Fino al 1978 l’aborto era un reato ma era anche vietato dal codice deontologico. Dopo l’approvazione della legge 194 il codice dovette essere rivisto, e aggiungo non senza sofferenze e contestazioni. Seguendo la linea proposta dalla lettura della sentenza della Cceps il dirigente medico del ministero che istruì l’atto avrebbe potuto essere sottoposto a procedimento disciplinare per averlo fatto, e magari pure il ministro se fosse stato un medico!
Quello che vorrei far comprendere è che alcuni grandi temi etici non sono materia esclusiva dei codici deontologici, che c’è una dinamica tra la legge e il codice deontologico, c’è sempre stata, ma che in democrazia quella che prevale è la legge.
A dimostrazione di quanto sia antico il tema si prenda il vecchio testo del decreto legislativo 233 del 1946 con cui fu ricostituito l’ordine che diceva alla “ f) esercitare il potere disciplinare nei confronti dei sanitari liberi professionisti inseriti nell'albo, salvo in ogni caso, le altre disposizioni di ordine disciplinare e punitivo contenute nelle leggi e nei regolamenti in vigore;".
Il codice deontologico non è la normativa di una repubblica autonoma collocata al di fuori dello spazio e del tempo che stiamo vivendo, ignara della Costituzione, delle leggi, della magistratura.
Se così fosse il primo a pagarne il prezzo sarebbe il singolo medico, sottoposto al codice deontologico come medico e alle leggi come cittadino, punibile da l’uno per comportamneti permessi dall’altro!
Nei casi particolarmente gravi dove l’espulsione o la sospensione dall’ordine precedono o seguono a condanne penali, entrambi, il codice e la normativa, vanno nella stessa direzione. Se invece c’è conflitto tra il codice e la normativa statale o regionale che il medico è tenuto a rispettare tale conflitto non può scaricarsi sul singolo professionista, va risolto prima e in altro modo.
La norma che abbiamo scritto aggiornando il vecchio testo dice: comma 2 lettera l) vigilano sugli iscritti agli albi, in qualsiasi forma giuridica svolgano la loro attività professionale, compresa quella societaria, irrogando sanzioni disciplinari secondo una graduazione correlata alla volontarietà della condotta, alla gravità e alla reiterazione dell’illecito, tenendo conto degli obblighi a carico degli iscritti, derivanti dalla normativa nazionale e regionale vigente e dalle disposizioni contenute nei contratti e nelle convenzioni nazionali di lavoro.
So che il riferimento alla normativa regionale ad alcuni dispiace ma l’esito del refererendum costituzionale ha ribadito e semmai rafforzato la loro competenza “ concorrente” con le leggi statali. Questa è la Costituzione attuale.
“Tenendo conto“ ci ricorda che l’ordine non è una repubblica di San Marino e che il singolo professionista agisce nel rispetto di più fonti normative e non il solo codice.
Aggiungo che è vero che manca l’espresso riferimento al codice come fonte del potere disciplinare così come mancava nel 1946, anche se nessuno dei tanti auditi lo ha fatto notare, ma la si deduce dalle lettere a) e b) del comma 2.
Sarebbe allora opportuno seguire l’indicazione contenute tra le righe sella sentenza Cceps sul caso Bologna, e cioè il ricorso al giudice amministrativo avverso l’atto o la norma considerate in conflitto con il codice deontologico. Purtroppo questo suggerimento è arrivato tardi rispetto alla approvazione della legge delega ma è saggio. Quando il conflitto è tra organi, tra poteri, va individuato un giudice a cui rivolgersi per risolverlo, (e alla fine si arriva alla Corte costituzionale,) non scaricarlo sulle spalle del singolo professionista che diventa ostaggio di un conflitto tra istituzioni.
Un ultima osservazione: sembra che riforma degli ordini e codice deontologico sia un problema solo dei medici, non è così. Le norme previste dalla legge Lorenzin riguardano tutti gli ordini, sia vecchi come farmacisti e psicologi sia nuovi, come infermieri o tecnici di radiologia. Ognuno con il proprio codice deontologico. Il legislatore ha temuto il potenziale conflitto tra ordini e tra codici deontologici e ha temuto la deriva verso la mera rivendicazione sindacale, quindi ha ribadito che potere legislativo statale e regionale (art 117 Costituzione) è fonte comune a tutti e, in più punti ,che l’attività sindacale è altro dalla mission ordinistica. ( articolo 39 Costituzione).
Se si tiene la Costituzione come faro e si applica l’articolo 4 del ddl Lorenzin a tutti gli ordini vecchi e nuovi delle professioni sanitarie forse anche i punti contestati possono essere meglio compresi prima di procedere a frettolose e tardive modifiche.
On. Donata Lenzi
Membro della Commissione Affari Sociali della Camera del Partito Democratico
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