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Venerdì 19 GENNAIO 2018
La “bi-zona” della spesa sanitaria

In Italia esiste una spesa privata elevata. La necessità di ricorrere alla spesa privata notoriamente abbassa l’equità nell’accesso alle prestazioni. Se in più è pure sostitutiva, nella commistione deregolata tra pubblico e privato finisce con l’incrementare il rischio di moral hazard, d’inefficienza del sistema e di effetti distorsivi indiretti. Come appunto quello, curioso, della maggiore spesa privata del Nord che migliora gli esiti della pubblica riducendone la domanda.

“Il SSN del Sud è più efficiente di quello del Nord”. Era la considerazione ancillare alla mia recente analisi qui su QS in cui evidenziavo come l’elevata spesa privata, riducendo la domanda aggregata del SSN, ne alleggerisse il carico migliorandone la funzionalità.
 
Perciò quote capitarie SSN simili ma domanda ribassata dalla privata, “input” analoghi ma “output” richiesti inferiori, quindi minore “efficienza teorica” o “produttività nominale”, o “rendimento”. Eresia da far virare il volto dell’ultrà della Longobarda al verde della sua camicia o far invocare l’esorcista ai tanti (ex) amministratore e dirigenti sanitari devoti.
 
Delle classifiche in sanità, al pari della formica della canzone di Heather Parisi (inno all’intellettualità) non ce ne cale mica, e solo lo stolto fissa lo sguardo sui sofismi del dito della risultanza algebrica che indica la luna di una sanità che funziona. Pur tuttavia certe anomalie possono segnalare distorsioni di sistema. Qui nel rapporto tra pubblico e privato.
 
Tra i Paesi OCSE spicca la nostra spesa privata, un terzo della pubblica, con grande variabilità regionale, un sesto in Sicilia fino a quasi la metà in Lombardia. In crescita come nel mondo, nel trend di revisione di welfare e tutele sociali, dalla polarizzazione della ricchezza e del suo spostamento dal reddito al profitto, con le sanità appetibili per la messe di anziani e coerentemente con il crescente individualismo anti-solidaristico delle nostre sempre meno alfabetizzate periferie.
 
Quindi da noi spesa privata elevata. E anche sostitutiva. Cioè prevalentemente per beni e servizi già coperti dai LEA ma che non essendo adeguatamente fruibili col SSN (liste d’attesa, carenze organizzative, scelte locali, ecc.) finiamo col pagarci, nel principio dei vasi comunicanti per l’incomprimibilità della domanda aggregata (vedi i dati sui CPS da Istat, Corte dei Conti, MEF e le analisi di OASI-Bocconi, Ceis, Altems, Gimbe, ecc.).
 
Spesa privata elevata e sostitutiva. Ma pure deregolata. Dove il pubblico convive strettamente col privato, “more uxorio”, nella spesa e nell’erogazione, nella domanda e nell’offerta, in un contesto normativo permissivo talvolta foriero di ambigui rapporti promiscui, plurimi ed incrociati, “partouze” da “comune” hippie californiana anni ‘70. “Generali francesi che lavorano per il Re di Prussia” ma anche “Re di Prussia che fa lavorare generali francesi”.
 
La necessità di ricorrere alla spesa privata notoriamente abbassa l’equità nell’accesso alle prestazioni. Se in più è pure sostitutiva, nella commistione deregolata tra pubblico e privato finisce con l’incrementare il rischio di moral hazard, d’inefficienza del sistema e di effetti distorsivi indiretti.
 
Come appunto quello, curioso, della maggiore spesa privata del Nord che migliora gli esiti della pubblica riducendone la domanda. Un loop inferenziale curioso, un paradosso binario spurio, una doppiezza immiscibile. Uno schema duale bizzarro. La bi-zona di Oronzo Canà. Mitico allenatore, appunto, della Longobarda.
 
Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia Sanitaria 

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