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Giovedì 15 MARZO 2018
Uno spunto di riflessione sul tema della sostenibilità del Ssn



Gentile direttore,
l'amico Marco Geddes da Filicaia, medico epidemiologo, mi invia la sua ultima fatica, edita dal Pensiero Scientifico, "La salute sostenibile", un libro breve e denso che porta come sottotitolo "Perché possiamo permetterci un servizio sanitario equo e efficace".
 
Un ottimo testo che induce a ulteriori riflessioni sul tema principale della discussione sul nostro criticato ma assai efficace servizio: la sostenibilità di un sistema sanitario equo. Geddes si inserisce puntualmente in questo dibattito, che appare spesso su Quotidiano Sanità, cui queste mie considerazioni vogliono contribuire: quindi non una recensione, ho già detto che si tratta di un libro utile e ben scritto, ma una divagazione provocata dalla sua lettura.
 
Escluse alcune rare voci che tentano una visione complessiva e rimedi generali, per lo più la discussione sul tema si sofferma su singoli aspetti, separati l'uno dall'altro, ad esempio il finanziamento o il personale, come se tutto non fosse legato da una visione, consapevole o no, attenta o al mercato oppure alla solidarietà. La lezione fondamentale di questo libro è la necessità, anzi l'indispensabilità, di giungere a un pensiero condiviso, insomma di riaffermare un'idea intorno a valori comuni.
 
Le domande su cui ruota la riflessione sono: il servizio, così come si è strutturato, è ancora sostenibile? E, visto l'aumento dei costi, l'invecchiamento della popolazione, la diversa propensione a spendere, il tasso di innovazione tecnologica, sarà comunque possibile mantenere prestazioni uguali per tutti i cittadini? Altresì è vero che sul servizio si addensano nubi di sospette fakes news. Perché i risultati ci sono e sono buoni. Il tam tam del "tutto va male" non serve a spostare risorse verso le assicurazioni? Tuttavia il problema principale resta: è possibile contenere i costi senza ridurre i servizi? Meglio: quali costi sono contenibili e perché? Una questione etica e politica, l'etica della scelta comprende quella del diniego.
 
Gli attacchi al servizio sanitario nazionale iniziarono all'indomani della sua istituzione, in coincidenza con l'esplosione del mercato globale. E' indubbio che la spesa pubblica per la tutela della salute dipende da valutazioni sociali e dalla volontà di diminuire le disuguaglianze: il servizio sanitario rappresenta l'argine più solido contro le discriminazioni per censo o per cultura. I dati sulla mortalità per parto o neonatale (tra i più basi del mondo) dimostrano che in Italia si muore in questi casi soltanto per motivi medici e non sociali.
 
Comunque le prime domande ne provocano altre. Quale è il finanziamento corretto rispetto al PIL? Quanto può gravare la tutela della salute sul bilancio dello Stato, ricomprendendovi ogni spesa, pubblica e privata? Possiamo agire sulla spesa attraverso gli strumenti dell'amministrazione, cioè del dare regole sia pur coinvolgenti, oppure attraverso quelli del mercato? Ma in tal caso si tenta di incidere sul mercato oppure si prosegue nel consentire che le aziende chimiche ignorino bellamente le leggi della concorrenza? Solo ora comincia a emergere il dibattito sulla formazione del prezzo dei farmaci, degli strumenti o dei dispositivi. Riduciamo i LEA o controlliamo sprechi e corruzione? Appare evidente che le due cose sono compatibili. Ma vi sono grosse difficoltà a passare dal chek al do.
 
Infine un sistema misto, pubblico e assicurativo, legato per lo più al welfare aziendale, funziona meglio o peggio? Geddes sostiene che funziona addirittura peggio. Ma forse, dopo che si è convenuto che il sistema sanitario vada ri- progettato meglio che ri-pensato, bisognerebbe essere ben certi che, al di là delle proclamazioni, tutti, politici, giornalisti, amministratori, la gente insomma, abbiano ben chiaro se si vuole o no mantenere i valori fondanti, l'universalità del diritto e l'uguaglianza dell'accesso alle prestazioni. Sembra facile ma non è così. Oggi va di moda attenersi al presente mentre, se i diritti civili hanno ancora un senso, occorre immaginare il futuro.
 
Quando i Sindacati contrattano con Confindustria la trasformazione di parte della retribuzione in welfare aziendale si mette in discussione la sopravvivenza della tutela della salute, che si difende soltanto con la solidarietà di tutti i cittadini che contribuiscono secondo il reddito così da sanare le disuguaglianze. Distogliere oneri dalla solidarietà generale per indirizzarli verso forme settoriali significa far rinascere le mutue.
 
Ancora Geddes ricorda che i beni immateriali richiedono un diverso approccio produttivo e nella sanità vale la tesi di William Beaumol che una sonata di Mozart richiedeva lo stesso tempo di ascolto sia che fosse eseguita dal compositore in persona o in una moderna sala da concerto. "La relazione è tempo di cura", se ne è accorto anche il Legislatore. Quindi occorre cambiare del tutto la logica del lavoro medico. Questioni collegate che è assai difficile sbrogliare in un colpo solo. Si parla sempre dell'apporto indispensabile della medicina generale ma non si dice che la convenzione deve cambiare radicalmente senza rimpianti o recriminazioni.
 
Molte voci si levano per spiegare la crisi della sanità con il disagio dei medici, in parte sulla difensiva per l'ingiusta pressione cui sono sottoposti, in parte incapaci di reagire e riprendersi in mano le sorti della medicina. Non dimentichiamo il sillogismo: gli italiani hanno pregi e difetti, i medici sono italiani, quindi i medici hanno pregi e difetti. Penso che le questioni sanitarie si risolvano solo coinvolgendo i medici ma non dai soli medici.
 
Il servizio sanitario serve per tutelare la salute e quindi incrementarne la "quantità" e la "qualità". In tal senso si tratta non soltanto di assegnare maggiori risorse a chi è svantaggiato ma di assicurarsi che i risultati siano il più possibile tali da colmare lo svantaggio. Il servizio è un'impresa ad altissimo tasso di intermediazione affidata a personale quasi tutto laureato e necessita di interventi individuali e di popolazione: il modello produttivo va ridisegnato sulla lunga distanza.
 
Queste e altre riflessioni nascono dalla lettura di questo libro. Non è poco. Concludendo la divagazione sul tema principale, se il fine della discussione è la salvaguardia dei valori, allora è opportuno predisporre un elenco delle questioni aperte da quelle globali a quelle locali, dall'insoddisfazione dei cittadini al disagio dei professionisti. Come si collegano tutti questi problemi e quali ne possono essere i ragionevoli rimedi? Come al solito di questi tempi latita il governo.
 
Paghiamo la mancanza di una politica coerente col prevalere di una burocrazia fine a se stessa o delle difformi sentenze della magistratura. In mezzo a tanta confusione, in attesa di un'incerta palingenesi, prendiamo spunto da testi come questo, e altri ce ne sono, per proseguire un dibattito cui manca però, a mio avviso, un punto di concentrazione, una think tank, da dedicare a una lettura attuale dell'articolo 32.
 
Antonio Panti

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