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Martedì 03 APRILE 2018
Contratto statali: Corte dei Conti lo certifica, ma lo giudica “deludente” per mancanza parametri che incentivino davvero la produttività

Secondo la Corte il contenuto dell’accordo “è stato coerentemente recepito nelle leggi di bilancio per il 2017 e il 2018. che prevedono, come detto a regime, cioè a partire dal mese di marzo del 2018, incrementi retributivi pari al 3,48% della massa salariale di riferimento”, anche se gli aumenti sono superiori all'indice IPCS o al tasso di inflazione programmato, ma manca "il vero parametro per certificare la compatibilità economica di incrementi contrattuali, specie se superiori all’andamento dell’inflazione, non può prescindere da una valutazione degli effetti della contrattazione, in termini di recupero della produttività del settore pubblico”. IL RAPPORTO DI CERTIFICAZIONE. 

Certificazione “positiva” della Corte dei Conti per il contratto del comparto Funzioni centrali, il primo contratto collettivo per il personale del settore pubblico, successivo al blocco della contrattazione collettiva nazionale del 2010 e più volte prorogato, ma con parecchie osservazioni che lo rendono secondo i magistrati contabili un contratto “deludente”.

Un contratto che si sovrappone per i contenuti a quello del Comparto sanità tabellari – su cui la Corte dei Conti si esprimerà a giorni – per le stesse modalità di assegnazione degli aumenti e che delude i giudici  proprio per la parte economica che non premia secondo la Corte il merito e incentiva produttività ed efficienza nel pubblico impiego.

Secondo la Corte il contenuto dell’accordo “è stato coerentemente recepito nelle leggi di bilancio per il 2017 e il 2018. che prevedono, come detto a regime, cioè a partire dal mese di marzo del 2018, incrementi retributivi pari al 3,48% della massa salariale di riferimento”. Ma, aggiunge, “si tratta di importi superiori a quelli previsti nel caso in cui si fosse applicato l’indice IPCA previsto dal citato accordo dell’aprile 2016 o il tasso di inflazione programmato, previsto nel precedente accordo di luglio1993 sulla politica dei redditi. In mancanza di un predefinito parametro di riferimento, la verifica della compatibilità economica dei costi contrattuali si rivela, pertanto, di non facile percorribilità”.

Osserva tuttavia la Corte “che il vero parametro per certificare la compatibilità economica di incrementi contrattuali, specie se superiori all’andamento dell’inflazione, non può prescindere da una valutazione degli effetti della contrattazione, in termini di recupero della produttività del settore pubblico”.

E “sotto tale profilo, – aggiunge – l’ipotesi all’esame si rivela complessivamente deludente” perché le risorse messe a disposizione risultano “pressoché esclusivamente per corrispondere adeguamenti delle componenti fisse della retribuzione”.

Secondo il rapporto della Corte “l’incremento del fondo per la retribuzione accessoria, limitato agli enti diversi da quelli appartenenti all’ex comparto ministeri, deriva, infatti, esclusivamente da un’operazione volta a rendere omogenea la dinamica della retribuzione stipendiale. Al riguardo, non si può non sottolineare come la legge delega n.15 del 2009 affidava alla contrattazione collettiva il compito di procedere ad una sostanziale ridefinizione delle componenti variabili della retribuzione, da destinare prevalentemente a finalità realmente incentivanti e premiali”.

Comunque, nonostante il giudizio “dubbioso” la Corte ha dato il via libera al contratto che, quindi diventa ora pienamente operativo.

Perché allora, nonostante i dubbi la certificazione positiva?

La Corte spiega nel suo referto che a partire dal 2010, la spesa per redditi da lavoro dipendente nel settore pubblico “ha evidenziato una significativa inversione di tendenza derivante dalla adozione di severe misure restrittive, alcune delle quali, come la riduzione degli organici, di carattere strutturale”.

In questo senso il rapporto tra redditi da lavoro dipendente e prodotto interno lordo si attesta costantemente negli ultimi anni su valori inferiori al 10%, con la previsione di un ulteriore riduzione, anche tenendo conto degli effetti complessivi della tornata contrattuale, in relazione all’andamento più sostenuto del Pil.

“Va considerato, altresì – sottolinea ancora la Corte -  il lungo periodo di blocco retributivo che ha comportato un riposizionamento dei valori del reddito da lavoro nel 2016 su valori decisamente inferiori a quelli di inizio decennio (164 miliardi), mentre l’incremento registrato nel 2017 è ascrivibile in gran parte all’inserimento della Rai nel perimetro delle pubbliche amministrazioni e alla contabilizzazione delle risorse già stanziate nella legge di stabilità per il predetto anno per i rinnovi contrattuali. Va, infine, sottolineata la contestuale dinamica positiva dei redditi del settore privato che, negli ultimi dieci anni, hanno pienamente recuperato il differenziale che si era in precedenza venuto a creare rispetto a quelli del settore pubblico”.

Si tratta di considerazioni che “ferma restando l’esigenza di definire un quadro programmatico di riferimento per la crescita della spesa di personale, consentono alla Corte di concludere per una positiva certificazione anche della compatibilità economica della presente Ipotesi di accordo”, giudicato tuttavia “deludente” perché, come detto, “il vero parametro per certificare la compatibilità economica di incrementi contrattuali, specie se superiori all’andamento dell’inflazione, non può prescindere da una valutazione degli effetti della contrattazione, in termini di recupero della produttività del settore pubblico”, che invece per i giudici non c’è.

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