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Giovedì 26 APRILE 2018
Obiezione di coscienza, diritti umani e fine vita (1ª parte)

La libertà di coscienza non deve essere salvaguardata a tutti i costi e con ogni mezzo estendendola a tutti quei campi del vivere collettivo sui quali esistono visioni morali inconciliabili perché è soggetta all’interposizione del legislatore nella sua opera di attento bilanciamento degli interessi in gioco, non avendo uno statuto assolutamente illimitato, estendibile a nostro piacimento a tutti quegli ambiti del vivere collettivo in cui le visioni etiche non sono simili

Intervengo nuovamente su Quotidiano Sanità per discutere il supposto diritto del medico all’esercizio dell’obiezione di coscienza negli scenari disciplinati dalla recente legge sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento (legge n. 219/2017).

Sono stimolato a farlo per l’insistenza di alcuni Colleghi liguri e lombardi dell’Associazione italiana di Psichiatria (AIP) con i quali, su incarico del suo Presidente, stiamo predisponendo un documento finalizzato a dare a questa nuova norma una dimensione umana nel tentativo di correggere alcuni errori e resistere alle derive burocratiche che rischiano di trasformare il medico in un (più o meno) diligente impiegato dello Stato che informa e si adegua ai desiderata di chi si rivolge a lui per ragioni di cura; insistenza dovuta ad una serie di suggestioni che si stanno insinuando all’interno della categoria medica che, per quanto ho capito, sarebbero l’esito di alcune prese di posizione emerse in maniera scomposta all’interno della componente ordinistica nell’interpretazione di un passaggio contenuto in quella legge.
 
In quella parte in cui si stabilisce che “il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo” non potendo comunque il paziente medesimo “esigere trattamenti sanitari contrari alla legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali […]” (art. 1, co 6).
 
Con la conseguenza che, prevedendo l’art. 22 del Codice di deontologia medica del 2014 il diritto del medico ad astenersi da azioni “in contrasto con la propria coscienza o con i suoi convincimenti tecnico-scientifici”, sarebbe lecito non esaudire quelle volontà espresse in anticipo dalla persona sana e da quella ammalata per salvaguardare il diritto di chi ritiene la vita un valore sacro e non negoziabile.

Questa tesi, anche se suggestiva, non è pero convincente pur inserendosi nel solco delle idee espresse dall’On. Beatrice Lorenzin all’indomani dell’approvazione della nuova legge, puntualmente riprese dalla cronaca e dal suo Quotidiano, con le quali si annunciava l’intenzione politica di aprire la strada all’esercizio dell’obiezione di coscienza nelle pratiche normate dalla legge sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento.

Non sono tra i supporter di questa nuova legge avendone ripetutamente e pubblicamente denunciato i suoi errori ed i pericoli delle derive burocratiche ma non posso condividere l’idea di chi, pur non avendo avuto il coraggio di contestarla quando i tempi lo permettevano (l’Associazione italiana di Psicogeriatria è la sola Società scientifica che ha preso una posizione critica nel settembre del 2017 interrogando le coscienze di chi componeva l’allora Aula parlamentare), si appella ora (tardivamente) all’obiezione di coscienza utilizzandola come una mazza per tradire o rendere non esigibili i diritti annunciati. Confondendo l’obiezione con la clausola (opzione) di coscienza e dimenticando che lo stesso Codice di deontologia medica prevede che l’esercizio della prima debba essere conforme a quanto previsto dalla legge.

Agli attuali improvvisati savant che aprono a questa suggestiva interpretazione voglio umilmente ricordare che l’obiezione di coscienza: (1) non è un diritto che il testo costituzionale prevede in forma lata, richiedendo essa l’interposizione del legislatore come più volte ribadito dal Giudice delle leggi; (2) il suo carattere conciliativo e non di rottura, dando essa fondo all’idea che lo sviluppo sincronico e coerente delle nostre personalità (art. 2 Cost.) non può farne a meno; (3) il suo valore personale, perché l’obiezione di massa trasfigura nella resistenza attiva e nella disubbidienza civile che sono un’altra cosa rispetto al valore della coscienza.
 
Ciò a dire che la libertà di coscienza non deve essere salvaguardata a tutti i costi e con ogni mezzo estendendola a tutti quei campi del vivere collettivo sui quali esistono visioni morali inconciliabili perché l’obiezione di coscienza è soggetta all’interposizione del legislatore nella sua opera di attento bilanciamento degli interessi in gioco, non avendo uno statuto assolutamente illimitato, estendibile a nostro piacimento a tutti quegli ambiti del vivere collettivo in cui le visioni etiche non sono simili. Legislatore chiamato ad una particolare prudenza in quelle situazioni in cui il comportamento astensivo dell’obiettore e il suo non facere davanti all’onere atteso dall’ordinamento possono negativamente condizionare la salvaguardia e la promozione dei beni, dei diritti e delle libertà di terzi.

In questa prospettiva bisogna sottolineare il carattere eccezionale e derogatorio dell’obiezione rispetto al comportamento atteso dall’ordinamento e i limiti che il Giudice delle leggi ha imposto al legislatore dell’urgenza nella sua, necessariamente, cauta regolamentazione giuridica. Perché, se così non fosse, il non facere astensivo metterebbe a repentaglio l’unitarietà e la legalità della tenuta del diritto diventando uno strumento pericoloso e disgregante la socialità e l’ordine costituito: una mazza (o una clava) che può essere brandita da chicchessia con l’obiettivo di rompere l’ordine e l’asse della convivenza civile decisa dalla maggioranza politica anche se il marchingegno del canguro utilizzato per la rapidissima approvazione della nuova legge non è stata certo stata una scelta brillante sul piano democratico (fine prima parte).
 
Fabio Cembrani 
Direttore U.O. di Medicina Legale
Azienda provinciale per i Servizi sanitari di Trento

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