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Lunedì 21 MAGGIO 2018
Legge 194. Ancora tante cose da fare per tutte le donne italiane

La legge sull’aborto che domani celebra i suoi 40 anni va attuata concretamente per proteggere realmente le donne. E per questo ricordare i quarant’anni della legge non è solo orgoglio di tante battaglie e di tante conquiste ma consapevolezza del cammino che ancora resta da fare con il nuovo Parlamento e con il nuovo Governo per tutte le donne italiane

Domani per tutte noi e per il nostro paese vogliamo ricordare una legge e la sconfitta del referendum che voleva abrogarla, perché certo è stata una vittoria delle donne, ma anche di un paese che volle uscire dall’oscurantismo e dall’oppressione di troppo facili giudizi morali, e dall’ipocrisia della clandestinità che causava morte e facili profitti.
Ho firmato la lettera proposta da tante donne e da molte loro associazioni perché ho imparato negli ultimi 40 anni che mai nessuna conquista è per sempre e che soprattutto per le donne il cammino è duro, durissimo, anche se abbiamo compiuto molti passi in avanti.
 
Viviamo ancora in un paese dove la parità sostanziale è ben lontana sia per l’accesso che per la remunerazione del nostro lavoro, dove fare figli sta diventando un gesto eroico di pochi, dove essere più longeve, appare rassegnata solitudine ad una non buona qualità di vita, dove la nostra libertà e la nostra autodeterminazione è minacciata da una violenza belluina, regressiva, figlia della concezione distorta del possesso e del potere.
 
Per questo è giusto rivolgersi alle tante donne che oggi, più che ai miei tempi siedono in Parlamento, per dire loro che noi ci siamo e che insieme possiamo fare tanto per noi e per il nostro paese, non solo per difendere le nostre conquiste, ma per andare avanti e raggiungere nuovi traguardi.
 
Bella festa, ricordare gli imminenti quarant’anni della legge che consentì l’interruzione volontaria della gravidanza, ma festa consapevole che per l’applicazione piena del titolo di quella legge c’è ancora molto da fare: “Norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria della gravidanza”.
 
Benci e Viglino hanno ricordato su questo giornale, che pur con delle imperfezioni la 194 è una legge degna di un paese civile. Ma vi è ancora molto da fare sul terreno dell’educazione sessuale, della contraccezione, della prevenzione.
 
Medici obiettori. Recentissimi dati ufficiali del ministero della Salute ci dicono che – con il 70,9% di medici obiettori, ma nel Mezzogiorno si va oltre l’88%, con il primato regionale del Molise: solo un medico, uno solo, che dà sostegno alle donne (con nove interventi alla settimana) perché gli altri obiettano.  Se scomponiamo i dati, i risultati ci dicono che al Sud la situazione è drammatica: Abruzzo: non obiettori 15 contro 83 obiettori; Campania appena 53 contro un esercito (235) di obiettori; Puglia idem: 46 contro 281; per non parlare della Sicilia: 69 non obiettori contro 377 medici che si rifiutano, “per motivi di coscienza”, di applicare la legge. Parziale eccezione della Calabria dove i non obiettori sono 17 contro 40.
 
L’escalation è stata particolarmente accentuata tra il 2005 e il 2009: dal 58,7 a oltre il 70 per cento e da allora si è stabilizzata.
In Europa si va dalla Gran Bretagna con il  10%, alla Francia con il  7%, nessuno in Svezia. Per sopperire alla mancanza dei medici in grado di eseguire le interruzioni volontarie di gravidanza, gli ospedali debbono ricorrere a medici esterni, risorse permettendo.
 
Dunque, non si corre il rischio soprattutto in un’area del paese del ritorno alla clandestinità o del ritorno a fenomeni di speculazione finanziaria ad opera di medici compiacenti e di altrettanto compiacenti strutture private? Per questo l’informazione e la conoscenza scientifica dell’innovatività della contraccezione farmacologica deve essere potenziata.
 
Occorre ritornare a fare informazione scientifica nelle scuole e soprattutto potenziare i consultori familiari sul territorio, altrimenti anche qui oltre all’ignoranza attecchiscono le fake news, si pensi al rapporto contraccezione ormonale tumore al seno.
 
Vado indietro con la memoria a quattr’anni fa, a due ricorsi al Consiglio d’Europa in cui si denunciava la violata libertà d’aborto in Italia. Un ricorso della Laiga (Associazione per l’applicazione della 194) che denunciava la sostanziale sparizione dei medici abortisti,  ed un ricorso parallelo della segretaria generale della Cgil, che sottolineava l’esigenza di far valere non solo i diritti delle donne ma anche quelli dei medici non obiettori “sui quali grava tutto il carico di lavoro relativo alla interruzioni di gravidanza”. I ricorsi non solo furono accolti, ma severissima fu la contestazione nei confronti dell’Italia del Comitato europeo dei diritti sociali, diretta emanazione del Consiglio.
 
Su due elementi distinti, ma coerenti si fondò la dura censura del Comitato. Il primo: “Le autorità competenti non assicurano il diritto delle donne di accedere alla interruzione volontaria di gravidanza alle condizioni previste dalla legge, e ciò si traduce nella violazione del loro diritto alla salute garantito dalla Carta sociale europea e dalla Costituzione del loro paese; Il secondo elemento era – ed è – costituito da una “discriminazione irragionevole”:  “Le donne sono costrette a spostarsi da una struttura all’altra, da una regione all’altra, con ciò compromettendo il loro diritto alla salute, anche tenendo conto che in materia di interruzione volontaria di gravidanza il fattore tempo assume un rilievo cruciale”.
 
Nel render noto il documento del Comitato (approvato con 13 voti a favore e uno solo contrario), la segretaria della CGIL, Camusso, lo aveva definito “un atto forte che sancisce un diritto fondamentale e incontrovertibile delle donne: quello della libertà di scegliere della propria vita e del proprio corpo con un’assistenza adeguata come prevede la legge”.
 
Bene, anzi male. Sono passati quattro anni, la percentuale degli obiettori ha continuato ad aumentare.
C’è dunque da chiedersi: che fa il ministero della Salute,  che cosa fanno le singole regioni, per fronteggiare questa carenza di medici abortisti?
Esisteva un tavolo di monitoraggio ministero-regioni per verificare le singole criticità su tutto il territorio nazionale. Che fine ha fatto? E perché il recente rapporto annuale del ministero della Salute (da cui ho tratto  le percentuali di obiezione sia nazionale che meridionale) non accenna minimamente al monitoraggio e neanche alle misure per fronteggiare le spaventose carenze di medici in grado di applicare la 194.
 
Certamente l'aborto è una esperienza dolorosa per qualunque donna. A quella fisica si accompagna il senso di vergogna e di intimità violata, comunque di sconfitta. Per questo, la legge 194/78, dai più considerata giusta, anche attraverso lo strumento referendario, va attuata concretamente per proteggere realmente le donne e per questo ricordare i quarant’anni della legge non è solo orgoglio di tante battaglie e di tante conquiste ma consapevolezza del cammino che ancora resta da fare con il nuovo Parlamento e con il nuovo Governo per tutte le donne italiane.
 
Grazia Labate
Ricercatore in economia sanitaria già sottosegretaria alla Sanità
 

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