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Venerdì 22 GIUGNO 2018
Tumori: le reti regionali di assistenza funzionano. Al via il progetto Periplo per coinvolgere tutte le Regioni

E' stato presentato stamattina a Roma Periplo nazionale il nuovo progetto che tende ad unificare le reti di assistenza oncologica regionale. Le 7 Regioni che hanno aderito alla prima fase del progetto hanno ottenuto buoni risultati con una percentuale di sopravvivenza a 5 anni superiore al 50%.  

Omogeneità, qualità dell’assistenza e delle cure grazie alle migliori possibilità di accesso e utilizzo di farmaci innovativi, diminuzione delle migrazioni tra Regioni e Sud-Nord con la programmazione e la gestione dei flussi necessari, diminuzione dei tempi nelle liste d’attesa, aumento della sopravvivenza e delle guarigioni, gestione ottimizzata per i pazienti al confine tra le Regioni.
 
Sono questi solo alcuni dei punti chiave alla base della creazione delle reti oncologiche regionali, quasi tutti realizzati dove queste esistono già. Purtroppo, in sole sette Regioni italiane: Lombardia (in attesa di riorganizzazione e nomina referente regionale da oltre un anno), Piemonte e Valle D’Aosta, Veneto, Toscana, Umbria, Liguria e la provincia autonoma di Trento. In Campania e Puglia le reti sono state deliberate e sono in partenza. Il Lazio sta muovendo i primi passi, mentre altre ad oggi risultano solo su carta: Sicilia, Calabria, Sardegna, Basilicata.
 
Non pervenute, per ora, Emilia Romagna (dove esiste al momento la Rete Regionale dei Centri di Senologia e la Rete Oncologia Romagna), Marche, la Provincia Autonoma di Bolzano, Molise e Friuli Venezia Giulia.
 
Eppure, nelle Regioni dove la rete si è realizzata, i pazienti colpiti dal cancro guariscono di più rispetto al resto d’Italia. In particolare, in Toscana la sopravvivenza a cinque anni raggiunge il 56% fra gli uomini e il 65% tra le donne; in Veneto il 55% (uomini) e il 64% (donne) e in Piemonte – la rete più ‘antica’, esiste infatti da quasi 20 anni – il 53% (uomini) e il 63% (donne). Dati simili si trovano nelle altre tre Regioni dove esistono questi network.
 
I vantaggi quindi sono ben visibili: i pazienti possono accedere alle cure migliori, senza spostarsi dal proprio domicilio, con trattamenti uniformi sul territorio ed evidenti sinergie e meno sprechi di risorse per il sistema sanitario. Gli ospedali, inoltre, vengono utilizzati solo per le terapie più complesse, alleggerendo i dipartimenti, e le liste d’attesa possono essere ridotte fino al 50%.
 
Il comune denominatore di una rete oncologica sono i PDTA, cioè i percorsi diagnostico terapeutici assistenziali. Per questo un board di clinici, con un ruolo chiave nelle reti regionali già operative, ha creato una futura “rete delle reti” attraverso il progetto Periplo Onlus, con l’obiettivo di armonizzare i PDTA e le reti esistenti, aiutare lo sviluppo omogeneo di quelle in preparazione e spingere per la creazione delle Reti nelle regioni ancora scoperte.
Periplo, dopo la conclusione del percorso di lavoro nell’ambito del tumore del seno, ora ha avviato quello sul tumore del polmone, l’altra grande area oncologica dove negli ultimi anni si sono registrati i maggiori passi avanti nelle terapie.
 
“Con questa iniziativa – spiega Pierfranco Conte, presidente di Periplo, direttore della Rete Oncologica Veneta e direttore della divisione di oncologia medica 2 all’Istituto Oncologico Veneto – vogliamo rendere il percorso del paziente con tumore di migliore qualità e omogeneo sul territorio nazionale. Attraverso il confronto dei percorsi assistenziali (riassunto nei PDTA) tra le reti esistenti, in modo che possano essere applicati già pronti in quelle future, considerando che tutte le Regioni dovranno provvedere nel più breve tempo possibile. La rete, in sostanza, deve funzionare e fornire dati utili. Una volta definito il PDTA, gli indicatori di efficienza, e resi rilevabili e omogenei, sarà possibile stimare il costo vero, realistico, di un paziente riferito alla propria patologia oncologica. Questo è fondamentale, come molti altri parametri, per poter assicurare la migliore cura al paziente, rendendo sempre più sostenibile i costi per il SSN. La Valutazione Economico Sanitaria. Espandere queste esperienze in altre patologie oncologiche, e correlare il rispetto degli indicatori con gli esiti sarà il passo successivo. Già oggi, dopo aver concluso il primo passaggio nell’ambito del tumore del seno, la nostra attenzione si è rivolta al tumore del polmone”.
 
“L’Agenzia Nazionale per i servizi Sanitari Regionali, in ottemperanza a quanto previsto dal Dm 70/ 2015 – ha detto Alessandro Ghirardini, referente revisione e monitoraggio reti cliniche e sviluppo organizzativo dell’AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) – ha recentemente elaborato un documento contenente la Revisione delle Linee guida organizzative e delle raccomandazioni per la Rete Oncologica.  Le linee guida sulle reti oncologiche delineate dal tavolo Istituzionale, coordinato da AGENAS, disegnano un modello omogeno declinato in nodi e connessioni necessari a garantire al paziente, ovunque si trovi, equità di accesso alle cure e precoce presa in carico del paziente oncologico, in particolare promuovendo tra i professionisti coinvolti la collaborazione e la sinergia nella diffusione di conoscenze e la condivisione collegiale di percorsi, valorizzando le migliori evidenze e le pratiche già disponibili in alcune realtà regionali.Altro aspetto saliente del modello designato è il totale supporto al paziente gestendo e risolvendo eventuali problemi burocratici, dandogli la possibilità di potersi concentrare e dedicare esclusivamente alle cure cui sarà sottoposto. Insomma, una rete con il paziente oncologico al centro”.
 
“Periplo, dopo essersi occupata del tumore del seno ha volto ora lo sguardo verso il tumore del polmone – spiega Silvia Novello, professore di oncologia medica all’università di Torino, Azienda Ospedaliero Universitaria S. Luigi Gonzaga –.  Anche qui i cambiamenti terapeutici hanno portato alla necessità di un approccio diagnostico nuovo, per l’introduzione del concetto di medicina di precisione e dell’immunoterapia. L’obiettivo della medicina di precisione è identificare il paziente che meglio risponde a una cura, con vantaggi in termini di quantità e qualità di vita, avendo essa anche una migliore tollerabilità. Per questo ha però bisogno di un bersaglio visibile (il cosiddetto “marcatore”), di un test diagnostico che lo identifichi, e la relativa cura specifica da somministrare (il “farmaco biologico” o “a bersaglio molecolare”). L’immunoterapia parte da un concetto differente, che sfrutta il nostro sistema immunitario, ma anche qui si cerca di raggiungere una somministrazione personalizzata. Il denominatore comune è sempre la rapidità e la correttezza diagnostica, oggi perseguibile grazie alla collaborazione tra specialisti, ossia grazie ai cosiddetti ‘gruppi multidisciplinari’, quindi non solo oncologi medici, ma anche pneumologi, radiologi, anatomopatologi, chirurghi e radioterapisti. Per un paziente e per i suoi familiari è indispensabile sapere di essere seguiti nel posto giusto e con uguale accesso alle pratiche diagnostiche (e ai test) di un altro paziente sul territorio italiano. I gruppi interdisciplinari sono, in questo contesto, una garanzia in più e le reti oncologiche, che hanno spesso favorito e aiutato la costituzione di questi gruppi, sono fondamentali”.
 
“Negli ultimi cinque anni lo sviluppo delle reti è stato davvero importante – spiega Monica Calamai, direttore Generale della Direzione Diritti di cittadinanza e coesione sociale della Regione Toscana. Questo ha coinciso anche con l’adozione del DM 70/2015 “Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera”. Tale processo di sviluppo è andato di pari passo con una maturazione complessiva del nostro Paese, che ha permesso di attivare forme di monitoraggio e di verifica all’interno delle singole Regioni nonché la definizione di indicatori e di standard e l’attivazione di processi di valutazione e benchmarking delle performance della prestazione finale di valenza internazionale. Questo ha consentito di affinare e meglio definire la rete oncologica in tutti i suoi aspetti. La gestione delle innovazioni tecnologiche e terapeutiche è in questo modo più semplice: la rete garantisce a tutti i pazienti la medesima qualità ed appropriatezza della presa in carico e dell’accesso alle cure, anche di quelle di nuova generazione. Il passo successivo è l’integrazione dove la rete, anzi le reti, devono essere consolidate e portate a sistema. Poi si dovrà lavorare sul livello superiore definendo percorsi di rete di ambito nazionale. Il tutto attraverso la condivisione e finalizzazione dettata da atti regolamentari nazionali”.
 
Tre esperienze regionali
Piemonte - “L’inizio del percorso di cura – spiega Oscar Bertetto, che dirige la Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta, e direttore del Dipartimento funzionale interaziendale-Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta ed è anche segretario di Periplo – è l’inizio reale della cura. Non è un gioco di parole. Curare l’accoglienza all’inizio del percorso, uno dei momenti più delicati perché al paziente viene comunicata la diagnosi, è fondamentale. Inoltre, questo tipo di organizzazione per reti prosegue Bertetto – avrà un altro grande importante ruolo: gestire gli spostamenti dei pazienti da Regione a Regione. Per alcune forme particolarmente gravi di tumore (pancreas, esofago, sarcomi e altri tumori rari), infatti, alcune Regioni non potranno pensare di avere a disposizione tutte le competenze e le tecnologie per poterle affrontare. In questo senso un accompagnamento coordinato del paziente in una struttura ad alta specializzazione di un’altra Regione avverrà con tutte le informazioni corrette e necessarie. La collaborazione tra le reti potrebbe anche facilitare la vita dei pazienti tra territori confinanti. A volte con piccoli spostamenti in altra Regione, rispetto a lunghi spostamenti nella Regione stessa”.
 
Toscana - “Quella della rete precisa Gianni Amunni, direttore operativo dell’Istituto Toscano Tumori e della rete oncologica Toscana, ed è vicepresidente di Periplo – non è più, oggi, una filosofia originale o la libera scelta di un singolo, di questa o quella Regione. La rete è ‘IL’ sistema, l’unico, quello che il Ministero della Salute ha definito come il miglior modello per l’oncologia. Quindi ora è necessario che le Regioni in cui la rete ancora non esiste si impegnino a costituirla, secondo criteri di compatibilità e omogeneità rispetto a quelle delle altre Regioni, in modo da poter – appunto – entrare a far parte della rete delle reti nazionale. Anche in Europa – dove abbiamo coordinato fino allo scorso anno un progetto che si chiamava CancOn, e nel quale uno dei sotto progetti riguardava proprio il sistema dei network oncologici – vale ormai il concetto che il network, la squadra, il team, il gruppo, la Rete, hanno un valore aggiunto rispetto alla singola Istituzione. Periplo è qui anche per questo: offrire un posto dove le esperienze già consolidate si confrontano con quelle in arrivo, definiscono i possibili link collaborativi e creano le condizioni perché non vi siano errori”. 
 
Campania – “Da un anno in Campania stiamo lavorando sulla Rete Oncologica, devo dire con risultati sicuramente interessanti e, forse, non tutti prevedibili all’inizio spiega Attilio Bianchi, che dirige l’Istituto Pascale di Napoli– a partire dalla definizione di 13 PDTA che coprono il 75 per cento delle patologie tumorali, approvati con decreto regionale, affiancata da un progetto con tutti i farmacisti regionali dedicati per ottimizzare i consumi di immunoterapici. Abbiamo creato una piattaforma informatica che consente, a regime, di seguire, attraverso il ‘case manager’, tutti i pazienti in trattamento, e di garantire la presa in carico e la continuità assistenziale dai territori alle aziende di rifermento, e al rientro sui territori. Per ogni PDTA sono stati inseriti indicatori di processo in modo da poter costantemente seguire e monitorare il rispetto dei tempi e la qualità complessiva del servizio. Abbiamo stretto una alleanza di collaborazione tra Regioni, che si chiama AMORe, che sta per Alleanza Meridionale Oncologica in Rete, con la Puglia e la Basilicata, a cui presto si aggiungerà la Calabria, una sorta di embrionale Rete delle Reti del Sud Italia, in cui andiamo a condividere già progetti di ricerca, i PDTA relativi agli screening, puntando nel breve a un comitato etico unico e, in prospettiva, a quella che ci piace chiamare Area Vasta Oncologica tra le Regioni che partecipano. Le risorse arriveranno sempre meno per aggiunta e sempre più per trasformazione dei nostri comportamenti. La condivisione dei processi, la loro misurazione sulla capacità di incrementare il valore degli obiettivi di salute, ci consentirà sempre più di guardare ai farmaci innovativi con serenità e senza porci soltanto problemi di cassa. Siamo convinti che la massa critica generata dalle reti, e dalle Reti delle Reti, possa utilmente entrare nel dialogo e nel confronto con le aziende produttrici”. 
 
Le reti e la ricerca clinica
“Le Reti sono fondamentali anche per la ricerca spiega Paolo Pronzato, direttore di Dipartimento di oncologia2 all’Ospedale San Martino di Genova, direttore della Rete ligure e presidente del comitato scientifico di Periplo– e offrono la possibilità straordinaria di fare squadra, in modo da proporsi come soggetto unico e completo nei confronti dei promotori della ricerca clinica. Da una parte si trova l’industria, dall’altro soggetti istituzionali, pubblici o privati, che promuovono le ricerche ‘no profit’. Pensiamo ad esempio alla ricerca nel campo delle malattie rare. Un ulteriore settore è quello della ricerca epidemiologico sanitaria. È importante che di questi ammodernamenti del sistema, organizzativi, si possa valutarne l’utilità e la qualità. Non è, infatti, cosi scontato che tutti i cambiamenti organizzativi si traducano necessariamente in vantaggi sia in termini di outcome che di altri aspetti o indicatori. Fondamentale, infine, è l’osservazione di ciò che accade nella cosiddetta ‘real life’. Molto spesso i vantaggi osservati negli studi sono relativi a popolazioni limitate e selezionate, che non corrispondono completamente alla popolazione reale dei pazienti, che invece è tenuta sotto eccellente controllo dalle reti oncologiche. I singoli centri possono essere molto qualificati, ma non adatti a questo tipo di studi. Per cui se le ricerche di rete si limitano semplicemente alla raccolta dei dati del lavoro di molti gruppi o delle singole reti, allora basterebbe un singolo gruppo di ricerca o cooperativo. Con le Reti dobbiamo e possiamo avere qualcosa di più rispetto alle ricerche tradizionali”.

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