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02 SETTEMBRE 2018
Carenza medici. Problema complesso che merita soluzioni integrate. A partire dal contratto

Senza una azione sinergica, che operi su vari fronti, anche l’eventuale immissione di nuove risorse mediche che, comunque, dati i tempi tecnici necessari per la formazione, non potrà avvenire in tempi congrui, rischia infatti di essere inadeguata a fronteggiare le nuove sfide del sistema

Finalmentesi è aperto un dibattito incalzante sulla problematica della carenza dei medici di medicina generale e di alcune discipline che rendono estremamente difficile la gestione di alcuni servizi essenziali, nonché ogni ipotesi di integrazione territoriale.
 
Pensare, ad esempio, di gestire il Piano nazionale della cronicità con una prospettiva di grave carenza dei Medici di medicina generale, significa elaborare teorie che non potranno trovare applicazione adeguata. Il ministro Grillo si sta impegnando in prima linea, coinvolgendo gli stakeholders del sistema, per la soluzione di un problema tanto grave quanto difficile da superare, perché, comunque, ci sono tempi tecnici per la formazione di medici specialisti/di medicina generale, che non consentono di affrontare rapidamente la situazione di emergenza che si è andata acuendo.
 
Riteniamo ottime le proposte della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, come pure molto apprezzabile l’impegno di tutte le categorie sindacali mediche ascoltate in audizione dal Ministero della Salute, che si sta facendo carico di indagare le modalità di superamento del problema, per capire come intervenire rapidamente.
 
In realtà, appare importante capire le cause profonde del problema, che ha molte facce e merita soluzioni integrate.
 
Ovviamente, al primo posto, la causa primaria sembrerebbe una grave carenza nel processo di programmazione, fortemente condizionato dalla carenza di risorse economiche. E questo è senz’altro vero; il Miur, e il mondo universitario in genere, si muove talora in maniera asincrona rispetto alle reali esigenze del SSN, con logiche che talvolta bypassano la inscindibilità, che dovrebbe essere garantita, sulla base della normativa vigente, tra didattica, ricerca e assistenza. Il risultato è a volte a danno della didattica e della ricerca, alte volte a danno degli aspetti assistenziali. La attuale normativa che regola il mondo universitario (l.240/2010) con il tempo ha mostrato serie lacune, soprattutto nelle regole del reclutamento universitario e, a tutt’oggi, il rapporto tra Ssn e Università è governato dal d.lgs. 517/1999, che necessita di una vigorosa riforma.
 
Per esempio, tale decreto, di 11 anni anteriore alla c.d. riforma Gelmini e, quindi, non in linea con la stessa, non impone ai Dipartimenti Universitari, attuali titolari della proposta di programmazione universitaria, di allinearsi alle esigenze del Ssn, con il rischio che i reclutamenti e le progressioni dei docenti universitari non avvengano tenendo conto anche delle esigenze assistenziali. Le conseguenze sono che il sistema sanitario non può rivendicare la necessità della maggiore presenza, presso le strutture sanitarie di riferimento, di alcune discipline o, nell’ambito delle stesse, di alcuni ruoli; d’altro canto il docente, al di fuori di una programmazione congiunta tra Università e SSN, potrebbe non avere uno spazio congruo per la didattica e la ricerca all’interno del sistema sanitario, aspetti essenziali per una adeguata formazione dei nuovi medici e per il miglioramento del sistema in generale, visto il ruolo strategico che, nello sviluppo di un Paese, riveste, o dovrebbe rivestire, sia la ricerca che la formazione. Ma se dobbiamo necessariamente programmare per risolvere l’attuale situazione di crisi, quanti medici servono? E qui entra in azione un ulteriore aspetto del problema.
 
Altra vera causa di crisi è la necessità di riforma del sistema sanitario attuale. La risorsa medica è una variabile strettamente dipendente dall’organizzazione. Un sistema ospedalocentrico ha più bisogno di certe discipline, un sistema che punta di più sulla dislocazione dei servizi sul territorio ha maggiormente bisogno di medici di medicina generale e, contestualmente, di nuovi ruoli delle altre professioni sanitarie. Disegnare una programmazione integrata tra Università, SSN, Regioni per la formazione dei medici, senza pensare di ridisegnare l’intero sistema, appare fortemente limitativo. Ormai è tempo di una nuova riforma del sistema sanitario, che tenga conto dei nuovi aspetti epidemiologici, sociali ed economici di contesto. Sarebbe utile avviare una programmazione delle risorse umane, sia in termini quantitativi che qualitativi, congrua con una nuova riforma del sistema.
 
Altro punto cruciale è il tipo di formazione dei nuovi medici, in termini di durata della stessa e di contenuti professionalizzanti. Il Decreto interministeriale (Miur, d’intesa con il Ministero della salute), recante gli standard, i requisiti e gli indicatori di attività formativa e assistenziale delle scuole di specializzazione di area sanitaria, del 13 giugno 2017, ha posto le basi per una migliore svolgimento dei crediti professionalizzanti, ma, nella pratica, rimangono aree di criticità che vanno rimosse. Le scuole devono essere in grado di fornire una formazione realmente professionalizzante. In via generale, poi, gli ordinamenti didattici delle singole scuole vanno adeguati con una formazione mirata al superamento di alcune sistemiche criticità e lacune: la gestione del rischio, l’appropriatezza delle prestazioni cliniche, l’approccio di processo e di presa in carico globale delle cure, gli aspetti di relazione con il paziente, tematiche che spesso mancano nella formazione specifica delle singole scuole.
 
La difficoltà di reperimento dei medici è maggiore in quelle discipline maggiormente esposte a rischi medico legali (medici d’urgenza, ginecologi, ortopedici, neurochirurghi, chirurghi vascolari, radiologi interventisti). Occorre recuperare la frattura culturale tra medico e paziente, insistere sul miglioramento dei processi di comunicazione, attuare la legge 24/2017 sulla responsabilità professionale sanitaria, attraverso l’emanazione dei decreti attuativi mancanti e il miglioramento del sistema delle linee guida, aprire un serio dibattito culturale sugli aspetti che la deontologia medica comporta, in termini di relazioni e di libertà responsabile di cura.
 
E’ fondamentale puntare su nuove modalità di formazione per i medici di medicina generale, vero fulcro di qualunque riforma del sistema, che enfatizzi un nuovo ruolo che punti di più sulla prevenzione e sulla continuità assistenziale. E’ necessario, altresì, avviare una formazione costante, in continuità con i medici specialisti e con quelli operanti presso le strutture per acuti, per assicurare una reale e consapevole presa in carico del paziente.
 
Si assiste ad un fenomeno importante di abbandono dei ruoli pubblici, spesso a vantaggio delle strutture private, infinitamente più libere di assicurare retribuzioni più adeguate alla professionalità acquisita dai singoli professionisti. Ciò provoca un gravissimo danno ad un sistema che investe ingenti risorse per formare negli anni professionisti, che poi scelgono la via della struttura privata, spesso accreditata. Il fenomeno merita una riflessione ed eventualmente vincoli nei confronti delle strutture accreditate nell’acquisizione dal pubblico dei professionisti.
 
D’altronde, il sistema pubblico paga poco e, in aggiunta, non è in grado di garantire progressioni di carriera che quanto meno compensino il basso livello retributivo. Tutto il sistema organizzativo è ancora schiacciato sulle responsabilità di struttura, che non possono che essere limitate e creano perimetri organizzativi che male si conciliano con la gestione per processi.
 
La prossima contrattazione collettiva deve introdurre meccanismi di novità rispetto ad un assetto, di fatto fermo al  CCNL del 2000, individuare incarichi professionali che si muovano lungo i percorsi di processi assistenziali, rivedere la distinzione tra struttura complessa e struttura semplice dipartimentale che oggi ha poco motivo di esistere.
 
Senza una azione sinergica, che operi su vari fronti, anche l’eventuale immissione di nuove risorse mediche che, comunque, dati i tempi tecnici necessari per la formazione, non potrà avvenire in tempi congrui, rischia di essere inadeguata a fronteggiare le nuove sfide del sistema.
 
Tiziana Frittelli
Presidente Federsanità

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