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Martedì 25 SETTEMBRE 2018
Epatite C. In Italia ci sono ancora 270/330 mila pazienti da curare

Di questi circa 200 mila sono pazienti con diagnosi già effettuata in attesa del trattamento mentre ammonterebbero a un numero variabile stimato tra 71 e 130mila i sieropositivi che non sanno di esserlo. Da oggi disponibile l’indagine aggiornata sulle stime di prevalenza dell’ epatite C nel nostro paese realizzata da EpaC onlus. I pazienti da curare presenti nelle strutture autorizzate sono sempre meno, ma ancora tanti sono i malati presenti in micro e macro bacini da indirizzare e avviare a terapia

Gli italiani con diagnosi nota di epatite C e in attesa di essere curati sono nettamente diminuiti, ma secondo le stime aggiornate di EpaC onlus sono ancora circa 200mila i pazienti da indirizzare verso una cura definitiva. A questi vanno sommati altri 100mila pazienti (media 71-130mila) che ancora non hanno scoperto l’infezione (il cosiddetto sommerso).

Queste sono le stime contenute nell’indagine “Epatite C: stima del numero di pazienti con diagnosi nota e non nota residenti in Italia”, realizzato dall’associazione di pazienti EpaC Onlus in collaborazione con il Eehta del Centro di Studi Economici e internazionali (Ceis) dell’Università Tor Vergata di Roma.

Una sintesi dell’indagine, realizzata grazie al contributo incondizionato della Gilead Sciences, è stata pubblicata oggi sul sito di EpaC e rappresenta un aggiornamento della precedente indagine svolta dell’associazione del 2015.

“Le nostre indagini di prevalenza non pretendono di essere l’unico punto di riferimento nazionale sulla quantificazione realistica dei pazienti ancora da curare, ma certamente possono essere messe a confronto con altre stime effettuate con metodi diversi, al fine di offrire ai decisori la possibilità di operare scelte ragionate e definire piani nazionali e regionali di eliminazione di epatite C, così come raccomandato dall’OMS”, afferma Ivan Gardini, Presidente di EpaC Onlus.

Stima pazienti con diagnosi nota in attesa di cura
Entrambe le indagini (2015 e 2018) si basano sull’analisi delle informazioni accessibili dei registri regionali sulle  esenzioni per patologia applicando successivamente variabili correttive.

La ricerca del 2015 è stata aggiornata migliorando lo standard nella raccolta delle informazioni: sono stati utilizzati, ad esempio, dati aggiornati ricavati da uno specifico sondaggio fatto compilare ai pazienti e che ha visto il coinvolgimento di 13 importanti strutture ospedaliere di tre regioni rappresentative del Nord, Centro e Sud del nostro paese (Campania, Lazio e Piemonte).

Il sondaggio è stata condotto tra settembre 2017 e gennaio 2018, coinvolgendo anche gruppi specifici di pazienti, quali tossicodipendenti e co-infetti (Hcv/Hiv), e fornisce una stima più accurata dei pazienti con diagnosi già nota, poiché è stata effettuata su un campione di pazienti doppio rispetto a quello considerato tre anni fa (2.860 contro 1.159), all'interno di strutture ospedaliere, e rispettando il criterio del reclutamento consecutivo. Sono poi state prese in considerazione delle variabili come ad esempio la stima dei decessi con eziologia HCV, le nuove infezioni, i pazienti guariti, ecc.

In sintesi:
1) al 1° Gennaio 2018, la stima del numero di pazienti con diagnosi nota in attesa di essere curati è di circa 240mila. (variazione massima tra 192mila e 311mila pazienti);
2) al 1° Gennaio 2019 la stima del numero di pazienti con diagnosi nota in attesa di essere curati si prevede sia di circa 160mila (variazione massima tra 159.133 - 170.133 pazienti). A tale quantità siamo giunti applicando le variazioni dovute a nuove infezioni, decessi e guarigioni stimate in tutto il 2018.

“Conoscere quanti pazienti con Hcv devono ancora essere trattati favorisce una programmazione virtuosa ed efficiente, anche dal punto di vista economico e finanziario, incidendo positivamente sulla sostenibilità di sistema” - dichiara Francesco Saverio Mennini, Direttore del Ceis dell’Università Tor Vergata di Roma. “Come emerso in un recente studio presentato al convegno Ispor Usa 2018, il trattamento del paziente nella fase precoce della malattia determina un ritorno completo dell’investimento effettuato dopo circa 6 anni ed è plausibile che questo trend prosegua, comportando minori impatti sulla spesa e ritorni ancora più rapidi.”

Stima pazienti con diagnosi non nota in attesa di cura (cosiddetto “sommerso”)
Oltre alle infezioni note, per la prima volta abbiamo stimato il numero delle infezioni non ancora diagnosticate e "sommerse", tema non ancora sufficientemente indagato a causa dei pochi studi realizzati, nonostante la sua rilevanza per raggiungere l'obiettivo dell'eliminazione. Visto il crescente numero di pazienti noti ormai a oggi curati – oltre 150mila) diventa fondamentale infatti reperire e analizzare informazioni “fresche” sulla quantità di infezione nascoste da far emergere e trattare.

In buona sostanza, e in via prudenziale, l’analisi delle fonti informative prese in considerazione induce ad affermare che i pazienti con infezione non ancora diagnosticata potrebbero essere tra i 71.200 -130.500, di cui la quota principale del sommerso è rappresentata da tossicodipendenti (tra 29mila e 46mila) e da persone over65 (tra 35mila e 57mila) e, in percentuale inferiore, da persone sotto i 65 anni. Per analizzare questo ultimo gruppo sono stati utilizzati i report ISS sulle donazioni di sangue effettuate da cittadini privi di fattori di rischio, per cui esiste la consapevolezza di una possibile sottostima.

“I risultati di questa nuova indagine - conclude Gardini -, evidenziano e confermano un aspetto sul quale insistiamo da diverso tempo: ormai, la maggior parte dei pazienti da curare vanno cercati in serbatoi al di fuori delle strutture autorizzate, e sono necessari piani di eliminazione regionali in grado di organizzare la presa in carico e l’avvio al trattamento dei pazienti da curare tramite il coinvolgimento di tutti gli stakeholders interessati (carceri, SerD, Medici di Famiglia, ecc.) e l’adozione di micro e macro Pdta funzionali a tale obiettivo. Purtroppo, sono ancora troppo poche le Regioni che si stanno organizzando in questa direzione, nonostante vi siano risorse vincolate per l’acquisto di farmaci anti Hcv, raccomandazioni dell’Oms, e quantità industriali di studi clinici che evidenziano la necessità di curare tutti i pazienti il prima possibile”.

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