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Martedì 02 OTTOBRE 2018
Con la quota “100” andranno in pensione 25mila medici in più. Ma non abbiamo chi li sostituirà. Rischio collasso per il Ssn
Non basteranno infatti i giovani neo specialisti a sostituirli, ma soprattutto è a rischio la qualità generale del sistema, perché i processi previdenziali sarebbero così rapidi e drastici da impedire il trasferimento di esperienze e di pratica clinica. Per questo occorrono risorse per incentivare la permanenza al lavoro e tempi rapidi per rinnovare un contratto
Il Governo si appresta a riformare la Legge “Fornero” introducendo la famosa quota 100 come nuovo criterio di pensionamento, con una soglia di 38 anni di contribuzione.
Attualmente superato lo “scalone” previdenziale creato dalla “Fornero” nel 2011, i medici e i dirigenti sanitari abbandonano il lavoro con una età media di 65 anni, grazie anche ai riscatti degli anni di laurea e specializzazione. La riforma determinerà in un solo anno l’acquisizione del diritto al pensionamento di ben 4 scaglioni, diritto che verrà largamente esercitato visto il crescente disagio lavorativo legato alla massiccia riduzione delle dotazioni organiche.
Attualmente escono dal SSN per quiescenza i nati nel 1952/1953. La curva demografica, elaborata e diffusa dall’Anaao Assomed fin dal 2011, mostra che con quota 100 l’uscita interesserà in pochissimo tempo i nati tra il 1954 e il 1957, più di 25 mila tra medici e dirigenti sanitari, coincidendo con la parte della curva con le frequenze più alte. Non basteranno i giovani neo specialisti a sostituirli, ma soprattutto è a rischio la qualità generale del sistema, perché i processi previdenziali sarebbero così rapidi e drastici da impedire il trasferimento di esperienze e di pratica clinica. Si tratta, infatti, di conoscenze e di capacità tecniche che richiedono tempo e una lunga osmosi tra generazioni professionali diverse.
Non è più sufficiente garantire che non ci saranno tagli né taglietti per la sanità. Chi ha responsabilità di governo ha il dovere etico di spiegare come intende affrontare il fenomeno descritto, sia ai Colleghi che rimarranno al lavoro in condizioni organizzative sempre più precarie, sia ai Cittadini che hanno diritto a cure tempestive, di qualità e sicure.
Il Conto annuale dello Stato mostra che dal 2010 al 2016 i medici e i dirigenti sanitari in servizio sono diminuiti di oltre 7.000 unità. Questo ha permesso alle Regioni una riduzione delle spese per il personale che limitatamente al 2016 ammonta a circa 600 milioni di euro. Diversi miliardi, se il calcolo viene effettuato dal 2010 ad oggi.
E’ necessario aprire una grande stagione di assunzioni in sanità eliminando l’anacronistico blocco della spesa per il personale introdotto dal Governo Berlusconi/Tremonti nel 2010. Ma, soprattutto, bisogna dare una risposta al disagio oramai insopportabile che pervade tutte le strutture sanitarie pubbliche e che induce alla fuga verso il pensionamento, considerato come un “fine pena”, o verso la sanità privata, alla ricerca di posti di lavoro più remunerativi e meno logoranti”.
Occorrono risorse per incentivare la permanenza al lavoro e tempi rapidi per rinnovare un contratto che rappresenta una formidabile leva per affrontare l’organizzazione dei servizi, le tutele dei medici e dei cittadini. Manca da troppi anni e gli effetti nefasti di questa estrema disintermediazione sono sotto gli occhi di tutti.
Tempi di lavoro, adeguata remunerazione del disagio, valorizzazione dell’esclusività di rapporto e nuovi modelli di carriera dei professionisti sono i temi sul tappeto. La loro soluzione esige un investimento di risorse eccezionale, almeno pari ai risparmi sul costo del lavoro che Regioni e Governi hanno realizzato nell’ultimo decennio. E’ l’ultima chiamata per salvare il SSN dalla sua estinzione.
Carlo Palermo
Segretario Nazionale Anaao Assomed
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