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Mercoledì 19 DICEMBRE 2018
Il Pssr del Veneto e la medicina generale: una ‘rivoluzione’ senza una vera idea di riforma

Il Veneto con il suo piano socio-sanitario ci propone delle trivial policy per cui oltre l’antinomia convenzione/dipendenza/ privato non riesce ad andare convinto di poter fare di più solo se riuscirà ad amministrare direttamente i medici di famiglia. Fregandosene del fatto che non è amministrando il medico che si fa l’interesse del malato. Ma dall’altro lato la risposta dei medici di famiglia non può essere quella delle cozze che restano attaccate allo scoglio cioè alla propria convenzione.

Rivoluzione” è una parola grossa ma è stata usata dai giornali per indicare alcune misure previste nel piano socio- sanitario del Veneto e più precisamente quelle che riguardano i medici di famiglia e i pediatri di base.
Di che si tratta? Di sperimentare per i medici di famiglia e per i pediatri di base altre forme contrattuali (privato accreditato, dipendenza pubblica) oltre le imperiture convenzioni quelle che gli stessi medici a partire dai loro sindacati, hanno sempre considerato, sbagliando, come sempiterne sicumere.
 
La legge del divenire
In sanità di sempiterno c’è solo il transeunte. E’ solo questione di tempo. Chi l’avrebbe detto che anche la convenzione dei medici di medicina generale a sua volta avrebbe dovuto fare i conti con la legge del divenire? In realtà qualcuno, il solito sfigato dai capelli da pazzo, che nessuno prende sul serio, lo sta dicendo da anni:
- “i medici di medicina generale e le cure primarie per tante ragioni sarebbe meglio che non fossero più “tali e quali” (QS 26 novembre 2012);

“a proposito di cure primarie e assistenza territoriale, le politiche di ieri (…) legate alla ottimizzazione della convenzione, non bastano più” (QS 11 dicembre 2013);

- ”ho la sensazione che la sua storica intoccabilità prima o poi per tante ragioni intuibili sia destinata a finire”...
 
- “In pratica si tratterebbe di ripensare lo scambio tra lavoro e risultati accettando l'idea che quella transazione ibrida definita “convenzione” oggi va bene ai medici ma non alla sanità”...

- “Oggi la convenzione prevede sulla carta tutto il necessario per cambiare il mondo della sanità, ma non lo cambia. Anzi(…) crea problemi” (QS 16 luglio 2013);

- “Non facciamo altro che parlare di riformare le cure primarie. Forse c'è qualcosa nella convenzione che non funziona. Forse per cambiare il sistema delle cure primarie bisognerebbe cambiare la convenzione”...

- “Se le cose non cambiano allora si dovrà prendere atto che la convenzione è finita dal momento che non riesce più a soddisfare efficacemente i bisogni del sistema”...

- “Non si tratta tanto di rinnovare una convenzione quanto di cambiarla per conciliare uno stato giuridico libero professionista con le nuove esigenze della sanità pubblica”. (QS 9 febbraio 2015).
 
E patatrac, oggi in Veneto questa intoccabilità è ridiscussa, In che modo? Creando delle alternative cioè rimettendo in discussione il valore monopolistico e ricattatorio della convenzione. In questo probabilmente consiste la rivoluzione. Se la sperimentazione agli occhi del Veneto andrà bene la convenzione diventerà una forma di contratto residuale cioè una inutile rigidità.
 
Con tutti i problemi che ha una regione come il Veneto perché subire l’indisponibilità di un contratto autarchico chiuso nei propri interessi quando è possibile avere altri contratti controllabili in altro modo? Cioè perché il Veneto dovrebbe, nella sua azione di governo, essere limitata dalla convenzione quando cambiando la convenzione è possibile avere tutta la libertà di cui ha bisogno per governare?
 
Perché?
Soprattutto ai tempi duri dei tagli lineari, della spending review, del “decreto sanità” degli atti di indirizzo sulla medicina generale da Balduzzi in poi in sanità si creò una situazione che secondo me i medici di medicina generale non hanno saputo sfruttare a loro favore, anzi, una situazione che a causa della loro  storica  miopia  riformatrice hanno inutilmente sprecato  tirandosi, da li a poco come dimostra il Veneto, la zappa sui piedi.
 
Mi riferisco a quella stagione nella quale per compensare i pesanti interventi di ospedalectomia sul territorio nazionale non si faceva altro che parlare di riforma delle cure primarie. Era il tempo delle “associazioni funzionali territoriali” (AFT), degli ambulatori integrati, della medicina di gruppo ecc. I medici di medicina generale erano loro malgrado al centro della questione sanitaria nel senso che essi apparivano alla politica teoricamente la soluzione per antonomasia ai problemi principali del sistema.  A loro si chiedeva di compensare meno spedalità con più territorialità attraverso l’obbligo dell’assistenza H24 e quindi l’obbligo di aggregarsi per far funzionare a tempo pieno l’assistenza territoriale.
 
Al tempo scrissi un articolo (QS 6 agosto 2012) che vi invito a rileggere con il quale sottolineavo l’inadeguatezza di questo orientamento che tutto sommato al pari di qualsiasi altra soluzione marginalista si limitava alla fine a tagliare di brutto l’ospedale e a far funzionare di più quello che c’era e ad aggregare ciò che non si riusciva ad integrare e che comunque restava storicamente diviso. Cioè era una falsa soluzione riformatrice. Oggi il Veneto ci dice due cose:
- quella linea marginalista non ha funzionato,
- nei confronti dei problemi del sistema serve riformare ma per davvero.
 
Migliorare evidentemente non basta più
Dal canto mio sostenevo una soluzione riformatrice più forte e più coraggiosa (tanto per cambiare minoritaria) quella che poi sarà meglio descritta nella quarta riforma nella quale:
- l’intero assetto macro-strutturale del sistema spostava il suo hub dall’ospedale al luogo di vita del cittadino quindi alla comunità,
- il medico di medicina generale diventava lo snodo dei rapporti tra comunità e servizi sanitari, 
- in funzione di ciò la convenzione veniva ripensata alla luce di un medico “autore” e non più parasubordinato diventando un vero e proprio contratto di prestazione d’opera nel quale il medico mantenendo la sua liberalità era pagato in due modi per retribuzione in base a meglio ragionati massimali e per attribuzione in base ai risultati conseguiti negoziabili.
 
Nella mia proposta la “liberalità” del medico non solo restava ma si rinforzava evolvendo cambiando l’adempimento dell’obbligazione cioè accettando di fatto di dichiararsi disponibile alla risoluzione dei vari problemi sanitari organizzativi e finanziari a scala di sistema.
 
In quella del Veneto la liberalità del medico viene ridotta e ancor più subordinata con contratti tradizionalmente privatistici e di dipendenza pubblica cioè con adempimenti dell’obbligazione che vedono al medico non certo come un autore ma come un funzionario da amministrare.
 
La differenza politica è che:
- la mia proposta presuppone un medico di cui avere fiducia, cioè non amministrabile, imprenditore della propria professionalità,
- quella del Veneto presuppone un medico di cui non ci si può fidare e che per questo va solo amministrato.
 
Miopia
Sul finire del 2013 le regioni pubblicarono un atto di indirizzo sull’assistenza territoriale e in particolare sui medici di medicina generale.
In esso si diceva una cosa semplice “la situazione economica impone una revisione radicale del modello assistenziale”. In particolare la Fimmg rispose picche, minacciò scioperi, e parlò del pericolo di ridurre i medici di famiglia a “funzionari”. Davanti a questo rifiuto alla politica fu definitivamente chiaro che una certa convenzione rischiava di configurarsi come un ostacolo al cambiamento e quindi come il vero problema da risolvere.

Un paio di anni più tardi, la Fimmg prima di avviare le trattative per il rinnovo delle convenzioni, decise, al fine di neutralizzare del tutto le velleità delle regioni, di dichiarare uno sciopero preventivo. Le Regioni ai medici di famiglia chiedevano sostanzialmente di applicare la legge sulla quale i medici a parole hanno sempre convenuto  (art. 1 L.189/2011) cioè di aderire a un nuovo modello organizzativo multi professionali ed integrato inserito in una rete di servizi territoriali sotto la guida di una programmazione delle attività riferita ad un distretto con ben definiti livelli di spesa.
 
La Fimmg  questa volta andò oltre il pericolo del funzionariato e arrivò a parlare di di “medioevo contrattuale” e di voler “distruggere le basi della nostra sanità nazionale”  di voler ridurre i medici in catene cioè a “servi della gleba” di “abolizione del medico di famiglia” e gridò a tutti i venti la sua proposta di  “ruolo unico” e un  “livello essenziale di assistenza unico e nazionale”. Cioè disse in sostanza no al cambiamento.
 
Anche in questa circostanza alla politica fu chiaro che la linea sin qui seguita dell’ottimizzazione della convenzione, non bastava più. La convenzione di fatto si configurava come un ostacolo ad un rinnovamento più generale giudicato non più rinviabile. Cioè un tappo da rimuove e da rimuovere al più presto. I medici di medicina generale non si resero conto che in pochi anni da soluzione a tutti i mali della sanità erano diventati il problema per antonomasia della sanità.
 
Scioperare contro il cambiamento
La Fimmg proclamò uno sciopero, di fatto contro le regioni, il 19 maggio del 2015 e per quella occasione pubblicò un appello, Lo scopo era sempre il solito spingere il governo a tenere a bada le regioni.
 
Nell’appello c’era scritto:
- “rialziamoci e uniamoci per difendere la nostra dignità, la nostra libertà e l’avvenire professionale di ciascuno di noi ”,
- “è per la sicurezza del nostro futuro che chiediamo a tutti di aderire senza indugi alle azioni di protesta”,
- “mai come in questo momento il destino della medicina generale Italiana è nelle mani e nella volontà dei medici di famiglia”,
- “la medicina generale sta per essere consegnata ai burocrati delle regioni e nere nubi si stanno addensando sulla nostra convenzione...”,
- “i cittadini rischiano di perdere la libera scelta del proprio medico di fiducia mentre noi non potremo più organizzare autonomamente il nostro studio e la nostra giornata di lavoro secondo le esigenze dei nostri assistiti e secondo orari adatti alle nostre attività”,
- “sicurezza del nostro futuro significa poter mantenere il rapporto di lavoro libero professionale convenzionato (QS 04 maggio 2015)
 
Il governo Renzi, allora in carica, intervenne e impose alle regioni il basso profilo ma aprendo una contraddizione grossa come una casa:
- da una parte definanziava il sistema,
- dall’altra lasciava le regioni nelle peste cioè privandole della possibilità di togliere il tappo che impediva la riorganizzazione dei propri sistemi sanitari.
 
Oggi le regioni vanno all’attacco chiedono il regionalismo differenziato proprio per avere le mani libere su convenzioni e quanto altro. Il Veneto è solo l’avanguardia di un processo che per quello che mi riguarda vedo difficile da fermare o meglio da fermare con uno sciopero anche questo contro il cambiamento.
 
Il Veneto conta con le sperimentazioni contrattuali (rectius, convenzionata, accreditata o medico dipendente) di trasferire tutti i codici bianchi dall’ospedale agli ambulatori dei medici generali e in questo modo di dare una sforbiciata significativa alle liste di attesa e nello stesso tempo coprire quelle zone montane e/o pedemontane che ancora oggi non hanno le tutele di cui hanno diritto. Se i tappi tappano per stappare bisogna togliere i tappi.
Come dare loro torto?
 
Trivial policy tra imbecilli e opportunisti
Il Veneto ha la necessità di cambiare e si è rotto le scatole di avere le mani legate ed ha scelto la strada disperata di uscire dal servizio sanitario nazionale ma il suo limite è quello culturale di non avere un pensiero riformatore vero che:
- ripensi ad esempio la propria forma di governo e la vecchia idea mutualistica di tutela,
- davvero faccia della comunità l’hub del suo sistema sanitario,
- ridefinisca il medico un autore anziché un funzionario da amministrare.
 
Le complessità non si amministrano si governano.
Il Veneto con il suo piano socio- sanitario ci propone delle trivial policy per cui oltre l’antinomia convenzione/dipendenza/ privato non riesce ad andare convinto di poter fare di più solo se riuscirà ad amministrare direttamente i medici di famiglia. Fregandosene del fatto che non è amministrando il medico che si fa l’interesse del malato.
 
I medici di famiglia a giudicare dalle flebili quanto scontate proteste che ho letto da parte della Fimmg regionale o sono degli imbecilli o degli opportunisti, nel senso o che sono scemi o sono d’accordo sotto banco con la regione Veneto.
 
Nel primo caso non si rendono conto che affiancare la convenzione con strumenti contrattuali ad essa alternativi, fa venire meno quello che prima ho definito un monopolio e quindi mette in crisi il potere contrattuale storico dei sindacati.
 
Nel secondo caso vuol dire che continueranno a monetizzare tutto, come hanno sempre fatto, ma questa volta diventando effettivamente quello che non hanno mai voluto essere cioè dei funzionari, quindi sacrificando sull’altare del tornaconto la liberalità della professione. Cioè accettando di farsi amministrare.
 
Per me:
- tra la dipendenza pubblica, il lavoro convenzionato e quello privato, esiste la “quarta strada” dell’autogoverno del lavoro cioè degli “autori” e, per rispondere al regionalismo differenziato, un’altra forma di governo partecipato della sanità,
- quello che bisogna contrattare è lo scambio tra autonomia e responsabilità misurando la retribuzione de medici per risultati preventivamente concordati,
- tra i risultati da concordare c’è quello di portare l’hub del sistema sanitario dall’ospedale alla comunità, perché questo cambiamento riformatore è esiziale ai fini della sostenibilità del sistema.
 
Conclusione
Hanno ragione:
- i medici di famiglia a temere il funzionariato ma la risposta non può essere quella delle cozze che restano attaccate allo scoglio cioè alla propria convenzione,
- le Regioni a cercare altre soluzioni oltre la convenzione ma la strada non può essere il medico amministrato e quindi la medicina amministrata.
 
Possibile mai che, sia gli uni che gli altri, cioè le istituzioni e il sindacato, ancora non se siano resi conto che è arrivato il tempo di riformare ma per davvero?
 
Ivan Cavicchi

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