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Sabato 29 DICEMBRE 2018
La deriva contrattualistica tra medico e paziente
La legge Bianco Gelli ha cercato di porre ordine nella delicata materia della responsabilità medica. Il vero problema è che tuttora le leggi si riferiscono a una professione ormai desueta e non percepiscono il profondo cambiamento in atto
Nel 2017 il Parlamento ha approvato due leggi importanti, la legge Bianco Gelli sulla responsabilità professionale sanitaria e la l. 219/17 sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento. Considerando il 2018 come un anno di assestamento, c'è da chiedersi se nel 2019 il contenzioso medico aumenterà o no.
Oggi il diritto, anzi il biodiritto, invade sempre più il campo sanitario quando ancora il rapporto concettuale e metodologico con la scienza non è affatto chiarito, dalle perizie, alle testimonianze, al consenso, al valore dell'informazione al paziente e a quello della relazione. L'isola deserta su cui dovrebbe svolgersi il rapporto tra medico e paziente è coperta da una coltre di leggi nebbiose e esposta ai fulmini di variegate sentenze.
In verità il mondo del diritto comincia a interrogarsi se i paradigmi giurisprudenziali siano adeguati a affrontare le questioni etiche e giuridiche che nascono dal travolgente sviluppo della medicina. Tuttavia si avverte, nei convegni dedicati a queste nuove leggi, sempre dominati da problematiche legali, una deriva contrattualistica della relazione tra medico e paziente e, conseguentemente, dello stesso consenso informato.
Due temi sono significativi nella L. 219. L'art.1.c.8: "il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura" e il c.1 dell'art.4 per cui ognuno esprime la propria volontà "dopo aver acquisito adeguate informazioni". Nel primo caso come si valuta la carenza di tempo nella prassi professionale quotidiana? O il mancato rinnovo dei contratti che dovranno pur tener conto di questa indicazione di legge? Nel secondo caso chi decide sull'adeguatezza delle informazioni fornite al cittadino? Non si mette in dubbio la saggezza dei magistrati ma è il sistema giuridico così come è congegnato a creare preoccupazioni.
La legge Bianco Gelli ha cercato di porre ordine nella delicata materia della responsabilità medica. Il vero problema è che tuttora le leggi si riferiscono a una professione ormai desueta e non percepiscono il profondo cambiamento in atto. Nelle strutture sanitarie la medicina individuale è tramontata da tempo e fatalmente anche la medicina generale dovrà svolgersi in team multiprofessionali.
Altresì il medico nè finanzia né organizza le strutture in cui lavora. E' sempre più difficile stabilire il nesso causale tra l'agire individuale e la responsabilità oggettiva sia dell'amministrazione che della politica. E non pensiamo soltanto alla manutenzione o all'obsolescenza degli strumenti, quanto al fatto che il risultato di qualsiasi attività dipende dall'organizzazione del lavoro.
Il medico è una sorta di ponte tra organizzazione e paziente e, in verità, occorrerebbe invertire la tendenza a spostare verso il basso la ricerca della responsabilità. Altresì molteplici interessi spingono verso il mantenimento di questo tipo di responsabilità; una sorta di medicina difensiva dei vertici delle strutture sanitarie, mentre i pazienti spontaneamente si rivolgono contro chi materialmente si trovano davanti.
Il medico non può esimersi dallo svolgere una qualche posizione di controllo sulle strutture in cui opera, ma occorre rendersi conto di quanto poco penetrante sia questa presunta competenza. Di fatto il medico non ha concreti poteri gestionali sull'organizzazione sanitaria, che peraltro conosce assai poco. Infine le assegnazioni di bilancio risentono della discrezionalità politica.
Cresce la polemica contro lo spot trasmesso dalla TV "obiettivo risarcimento". La giusta protesta dei medici ha portato a un primo positivo risultato anche se il Ministero dovrebbe intervenire una volta per tutte regolando la materia come avviene per tutta la pubblicità legata alla salute. Tutte queste "solerzie" legali giovano poco ai cittadini e costituiscono senz'altro un'incitazione all'aumento della spesa sanitaria.
Tuttavia, fiducia o non fiducia nel medico, il diritto al risarcimento di un danno non è discutibile. Come tenere insieme tutti questi fatti? Scherzosamente si potrebbe proporre al posto del reddito di cittadinanza un reddito di giurisprudenza in modo da frenare la pur sacrosanta ricerca di lavoro di tutti coloro che vivono di assicurazioni.
Al di là delle battute potrebbe funzionare un fondo assicurativo nazionale che coprisse eventuali danni connessi alle cure spostando verso l'alto della piramide gestionale la responsabilità oggettiva dei fatti, abrogando l'inutile concetto penale di colpa professionale. Per il medico che commettesse errori al di là dei limiti concessi dall'umana casualità, basterebbe la formazione specifica e eventuali sanzioni contrattuali, oltre che l'esercizio, assai poco praticato da noi, della riprovazione sociale.
Antonio Panti
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