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Martedì 05 MARZO 2019
Cancro, prevenzione e assicurazioni



Gentile Direttore,
la discussione iniziata da Geddes, GIMBE, Donzelli e Vecchietti è troppo stimolante per restare in silenzio e quindi ritengo doveroso fare alcune riflessioni. Chi scrive è oncologo medico: pertanto mi soffermerò maggiormente sulla specialità che mi appartiene. Dobbiamo prima di tutto ricordare che i tumori maligni non hanno tutti il medesimo grado di malignità.
 
Tantissimi carcinomi prostatici sono presenti a livello autoptico nei maschi deceduti all’età di 70 anni e oltre, senza aver avuto nessun ruolo nella morte della persona in questione e senza aver mai dato nessun sintomo o problema a livello clinico.
 
Anche uno screening organizzato con PSA, nel migliore dei casi, ha comportato una diminuzione di mortalità per carcinoma prostatico (e non sempre neppure quella), ma nessuna riduzione della mortalità globale dei soggetti sottoposti a screening. Per questo l’AIOM, la maggiore associazione di oncologi medici italiani, nelle sue Linee Guida, non prevede lo screening in soggetti asintomatici, ma soltanto un impiego del PSA a giudizio del curante in casi di sospetto diagnostico su base clinica.
 
Un discorso simile può essere fatto per altri screening tumorali, anche per quelli raccomandati, dove le prove mostrano benefici se attuati con intensità molto inferiore a quella prevista nei pacchetti RBM, come giustamente ricordato da chi è intervenuto sul tema. Una frequenza eccessiva di test non aumenta i benefici complessivi, ma aumenta gli effetti avversi.
 
È ormai assolutamente dimostrato che anche screening di consolidata efficacia, come quello per la diagnosi precoce del carcinoma mammario, possono comportare una percentuale non irrilevante di sovra diagnosi. Si pensi ad esempio al carcinoma duttale in situ e al meno frequente lobulare in situ: si tratta di diagnosi che troppo spesso portano a sovra trattamenti per neoplasie maligne che, non avendo superato la membrana basale, si risolvono con la mera asportazione chirurgica locale. Molte autopsie le rilevano in donne decedute per tutt’altra causa, senza minimamente sospettare di essere portatrici (senza sintomi) di questi tipi di carcinomi.
 
Chi scrive è anche Presidente di Ecoistituto di Reggio Emilia e Genova, una associazione di volontariato che si interessa di tutela dell’ambiente e di prevenzione. È proprio a quest’ultimo termine che desidero riferirmi in particolare. Dobbiamo smettere di chiamare prevenzione quella che è una diagnosi precoce di una neoplasia maligna, o di una qualsivoglia malattia, che è già insorta e su cui si interviene terapeuticamente.
 
Prevenzione, e qui la maiuscola è doverosa, è azzerare o comunque ridurre le cause di una patologia agendo sui determinanti di salute. A questo proposito, oltre a richiamare la fondamentale importanza di corretti stili di vita individuali, è anche doveroso ricordare che secondo l’OMS (2016) il 24% delle morti nel mondo sono dovute a cause ambientali (PREVENTING DISEASE THROUGH HEALTHY ENVIRONMENTS A global assessment of the burden of disease from environmental risks A Prüss-Ustün, J Wolf, C Corvalán, R Bos and M NeiraWHO Library Cataloguing-in-Publication Data VI. World Health Organization. ISBN 978 92 4 156519 6 (NLM classification: WA 30.5). Quindi è su queste che dovremmo agire e se il ruolo dei medici è importante, in questo campo sono importanti anche il chimico, il geologo, il fisico, l’architetto, ecc.
 
Mi sembra anche opportuno ricordare che l’Associazione Slow Medicine in Italia sta portando avanti il Progetto “Choosing Wisely” (“scegliere con cura”), finalizzato all’appropriatezza delle procedure diagnostiche e delle terapie, non anzitutto per ridurre gli sprechi, ma essenzialmente di implementare una medicina che dia al cittadino/paziente quello che la sua situazione clinica richiede, né di meno, ma neppure di più, alla luce della Medicina basata sulle prove scientifiche e sui Valori umani.
 
È comprensibile che esponenti del mondo assicurativo enfatizzino una medicina trionfalistica basata sulle prestazioni, anche quando non sono necessarie, ma trovarsi in situazioni di evidente conflitto di interesse dovrebbe indurre a non intromettersi, mostrando inoltre di non conoscere i termini della questione, in discussioni scientifiche che dovrebbero vedere la partecipazione di medici, ricercatori e cittadini/pazienti.
 
Gianfranco Porcile
Oncologo medico - Presidente di Ecoistituto di Reggio Emilia e Genova

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