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Martedì 12 MARZO 2019
Pfas. Ciclo alterato e fertilità a rischio per le donne del Veneto più esposte agli inquinanti

Uno studio condotto dall’Università di Padova evidenzia un significativo ritardo della prima mestruazione (di almeno sei mesi) e una maggior frequenza di alterazioni del ciclo tra le ragazze ventenni residenti nell’area critica rispetto alle coetanee non esposte agli inquinanti. I Pfas interagirebbero sul progesterone alterando anche la capacità dell’endometrio di accogliere l’embrione.

Fertilità a rischio per chi vive in Veneto nella zona rossa dove l’esposizione del Pfas è massima. Dopo lo studio che ha fatto emergere le possibili interferenze tra gli inquinanti e il testosterone, l’Università di Padova ha infatti riscontrato possibili problemi anche su quella femminile. La ricerca ha concentrato la propria attenzione su 115 ragazze ventenni residenti nell’area critica facendo evidenziando come tra queste ragazze si registrino casi di alterazione del ciclo mestruale ben più frequenti che nel resto della popolazione femminile.

Nel dettaglio, i primi risultati sperimentali condotti dall’equipe di ricerca, presieduta dal Prof. Carlo Foresta e coordinata dal dott. Andrea Di Nisio, su cellule di endometrio in vitro,  e presentati in occasione del XXXIV Convegno di Medicina della Riproduzione, hanno fatto emergere che i Pfas alterano la funzionalità endometriale interagendo col progesterone, ormone sessuale femminile fondamentale per la regolazione del ciclo mestruale e della fecondità.  

“In presenza di Pfas – ha spiegato il Prof. Foresta - c’è una mancata attivazione dei geni proprio da parte del progesterone, che altera le importanti funzioni coinvolte nella regolazione del ciclo mestruale e nella capacità dell’endometrio di accogliere l’embrione e che quindi giustificano il ritardo nella gravidanza, la poliabortività e le nascite pre-termine. Nella donna il progesterone svolge un ruolo fondamentale nel regolare finemente lo stato maturativo dell’endometrio attraverso lo stimolo di diverse cascate di geni. La riduzione nell’espressione di questi geni da parte dei Pfas è dunque indicativa di una possibile alterazione della funzione endometriale”.

Le conseguenze cliniche di questi risultati “sono state peraltro confermate da un recente studio della Regione Veneto sugli esiti materni e neonatali, che ha riportato un incremento di edemi o ipertensioni e diabete nelle donne gravide, di nati con basso peso alla nascita, di anomalie congenite al sistema nervoso e di difetti congeniti al cuore nelle aree con maggiore esposizione a Pfas".  

Nel dettaglio, la comparazione tra le 115 ragazze ventenni residenti nell’area critica e un gruppo di 1.504 giovani donne di pari età ma non esposte all’inquinante, ha fatto emergere tra le ragazze del primo gruppo un significativo ritardo della prima mestruazione (di almeno sei mesi) e una maggior frequenza nelle alterazioni del ciclo mestruale con ritardi del 30%, superiore, dunque, ad dato del 20% registrato sul donne non esposte.

“Sono segni – spiega Foresta - che ci fanno protendere per una interferenza da parte degli inquinanti ambientali sull’attività degli ormoni sessuali nella donna. Sommando questi risultati a quelli precedentemente osservati su modelli sperimentali, possiamo meglio comprendere il meccanismo d’azione dei Pfas sulla funzione endometriale, che si rivela di importanza fondamentale dal punto di vista clinico e sperimentale”.

Una volta scoperto il meccanismo alla base dell’alterazione della fertilità, ora ci si chiede cosa si può fare per ridurre al minimo l’esposizione a queste sostanze nella popolazione, e soprattutto in quelle persone più a rischio, che sono rappresentate dalle donne in cerca di una gravidanza, o già incinte.

Endrius Salvalaggio

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