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Lunedì 18 MARZO 2019
Il Regionalismo e le disuguaglianza in sanità. Ma cosa c’entra il Css?

Lo sconcerto sulla decisione del ministro Grillo di affidare al CSS il compito di definire addirittura una strategia contro le diseguaglianze, si spiega, se andiamo a leggere i compiti e le funzioni di questo istituto. Esse ruotano tutte intorno alla salute pubblica, al campo dell’igiene, nulla di più, e riguardano regolamenti, convenzioni, elenchi, stupefacenti, emanazioni radioattive, ecc.

Stiamo freschi! Il ministro Grillo, a proposito di regionalismo differenziato, ha intenzione di chiedere al Consiglio superiore di sanità (CSS) di elaborare una strategia per “ridurre” le disuguaglianze in sanità. (QS 13 marzo 2019).
 
E’ come dire alla rana di occuparsi dello stagno. Mi perdoni la franchezza ministro, ma lei, sembra non sapere di cosa parla, sembra non conoscere gli strumenti istituzionali che il suo ministero sovraintende, meno che mai il Css che proprio Lei, d’imperio, ha appena rinnovato. Uno dei motivi, rispetto al quale, il recente sondaggio di Pagnoncelli (Corriere della Sera di domenica scorsa) sul gradimento dei ministri, la punisce tanto severamente (meno 14 punti).
 
Ma quel che, davvero, fa cadere le braccia, è che lei mostra di non conoscere il problema delle diseguaglianze e di non avere nessuna idea politica su come cambiare veramente le cose che non vanno.
 
Per fortuna sul regionalismo differenziato, con molta probabilità, quando verrà il momento, non sarà lei a decidere, ma il Parlamento, come hanno chiesto recentemente, anche, 30 costituzionalisti (Qs 6 marzo 2019).
 
La “cura” delle diseguaglianze
La dichiarazione del ministro: “Da poco ho nominato un nuovo Css dove ci sono delle personalità che sono già un passo avanti nel futuro perché lavorano in strutture internazionali molto avanzate e usano terapie nuove. Gli chiederò di elaborare una strategia per ridurre le disuguaglianze, per fare andare avanti chi è più indietro e non di bloccare, chi è più avanti perché non avrebbe senso”.
 
Da questa dichiarazione si capisce che, per il ministro, la questione diseguaglianze nord/sud e più in generale della salute nel paese, è un problema essenzialmente “clinico” dal momento che chi dovrebbe risolverlo, sono coloro, come dice il ministro che “usano nuove terapie”.
 
Costoro, esclusi gli aventi diritto, sono sati nominati di recente, 30 in tutto, 23 dei quali sono ordinari di discipline mediche (istologia, patologia generale, geriatria, scienze animali, neuropatologia, medicina rigenerativa, oncologia, ecc.)  ai quali si aggiungono: 1 infermiere,1 direttore scientifico, 1 esperto di management, 1 giurista, 1 epidemiologo, 1 direttore scientifico, 1 rettore, ecc.
 
Il ministro Grillo rivolgendosi a questo Css è per caso alla ricerca di una “cura” per le diseguaglianze?
 
Ma lo sa il ministro cosa deve fare il CSS?
Lo sconcerto, di affidare al CSS il compito di definire addirittura una strategia contro le diseguaglianze, si spiega, se andiamo a leggere i compiti e le funzioni di questo istituto. Esse ruotano tutte intorno alla salute pubblica, al campo dell’igiene, nulla di più, e riguardano regolamenti, convenzioni, elenchi, stupefacenti, emanazioni radioattive, ecc.
 
Meglio sarebbe stato se, il ministro Grillo, a proposito di diseguaglianze, avesse pensato all’Agenas, che è una Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, cioè che ha a che fare con le regioni, esattamente come le diseguaglianze, un ente, quindi chiamato a contribuire a rendere il sistema sanitario sostenibile e capace di gestire situazioni di elevata complessità organizzativa. Anche se come tutti sanno l’Agenas svolge per lo più un lavoro di misurazioneanalisi, valutazione e monitoraggio.
 
Ma il ricorso all’Agenas avrebbe implicato da parte del ministro Grillo un cambiamento della sua visione ontologica: le diseguaglianze, da malattia da curare, sarebbero dovute diventare una questione organizzativa e funzionale.
 
Ma le diseguaglianze, in sanità, sono solo questo?
 
Cosa sono le diseguaglianze in sanità?
Sono relazioni di disparità tra le persone, tra le regioni, tra i servizi, tra le aziende, persino tra gli operatori, da non confondere con le “differenze” che, al contrario, sono solo oggettive caratteristiche della realtà.
Come relazioni di disparità, le diseguaglianze sono un problema prima di tutto di giustizia, e l’ingiustizia è una questione prevalentemente politica morale sociale e culturale.
 
L’ingiustizia, in sanità, è per definizione “immorale” e si ha quando:
- viene violato il diritto alla salute dell’individuo,
- sono ignorate le legittime aspirazioni di salute delle persone,
- i bisogni di cura delle persone sono prevaricati, sopraffatti, condizionati da qualcosa compreso tra: l’insufficienza delle risorse, l’incapacità di chi gestisce o di chi opera, il sopruso e il malcostume.
 
Le diseguaglianze, in sanità, sono immorali, perché causano sempre la negazione dell’essere, della vita, della vitalità delle persone. Esse sono ingiustizie che uccidono, fanno soffrire, limitano, menomano, tolgono autonomia, impoveriscono, cioè fanno spendere soldi, e nello stesso tempo arricchiscono altri, fanno sopravvivere altri di più, ad altri offrono di più. La misura dell’immoralità è misurata dall’epidemiologia: tassi di morbilità, di mortalità, morti evitabili, indice di sopravvivenza, attesa di vita, numero di anni in salute nella vecchiaia, ecc.
 
In sanità, le diseguaglianze quali ingiustizie, si hanno soprattutto a causa dell’egoismo, sul piano morale  l’equivalente della cattiveria umana, cioè della mancanza di una vera solidarietà, cioè  quando si nega l'equità, cioè quando, per una qualche ragione in genere finanziaria, non vi è una corretta attribuzione di opportunità alle regioni, ai servizi, alle persone, intendendo per opportunità: risorse, capacità professionali, utilità strumentali, valori culturali, cambiamenti, idee, che spettano loro per stare bene come tutti, cioè per “essere” come tutti gli altri.
 
Priorità, cosa è più giusto e cosa è meno giusto?
Di fronte ad una simile super complessità cosa c’entra il CSS?
 
Le diseguaglianze sono, in sanità, proprio perché ingiustizie, una grande e complessa “questione politica” per cui spetta alla politica elaborare una strategia, naturalmente con tutti i supporti di conoscenza che servono compresi quelli medico-sanitari del Css e organizzativi dell’Agenas. Ma non solo.
 
Ma è la politica che deve avere due cose: la volontà e le idee.
 
L’idea politica del ministro Grillo è, come si legge, quella di “ridurre le diseguaglianze”, ma se la questione riguarda la vita e la morte delle persone più deboli e più svantaggiate, la sua è, moralmente, una idea inaccettabile.
 
La vera idea politica, trattandosi di vita e di morte, è affermare il diritto alla salute quindi eliminare le diseguaglianze. Ovviamente va da sé che la messa in opera di questa idea implicherà delle gradualità, dei processi, un certo numero di provvedimenti. Ma l’idea politica deve essere “alta” cioè pari alla grande immoralità del problema.
 
Non si è più giusti se anziché far perdere ai cittadini del sud tre anni di aspettativa di vita se ne fanno perdere solo due. Alla fine i cittadini del sud sempre due anni di vita perdono.
 
E poi “ridurre” o “eliminare” le diseguaglianze sono due politiche, tra loro, molto diverse.
- nel primo caso le diseguaglianze sono considerate inevitabili e quindi si persegue, a valle, l’obiettivo della perequazione (fondi di solidarietà, di compensazione, criteri di ponderazione, ecc.),
- nel secondo caso, al contrario, si creano le condizioni, a monte, per non creare diseguaglianze, cioè le condizioni per avere sul serio parità di diritti.
 
Nel primo caso si adottano misure tampone o misure di mera razionalizzazione, nel secondo caso si mettono in campo misure riformatrici a scala di sistema. Per esempio nel primo caso si pensa a fare “qualcosa di più”, nel secondo caso si pensa di fare “qualcosa di diverso” per esempio si ripensa il genere di universalismo cioè si tenta la strada di un universalismo effettivo non solo convenzionale.
 
So che il ministro preferisce l’ordinario e che con le riforme si sente spiazzato ma secondo me, se un problema è di importanza vitale esso “politicamente” non è riducibile ma va eliminato. Faccio un esempio semplice: se l’asbesto causa il cancro, l’asbesto va eliminato cioè non può essere ridotto. Come faccio a perequare chi vive di più per i privilegi che riceve e chi vive di meno per i soprusi che deve patire? E’ chiaro questo concetto?
 
Una bella contraddizione politica
Il problema tuttavia non è solo quello di voler ridurre una cosa che andrebbe eliminata ma è anche un altro:
- da una parte il ministro Grillo dichiara che l’eutanasia è “la massima priorità del paese” (QS 13 marzo 2019) che, va detto, per quanto importante e per quanto da taluni ritenuta innegabile battaglia di civiltà, riguarda comunque un numero limitato di individui,
- dall’altra pensa che le diseguaglianze che riguardano milioni di persone, siano riducibili chiedendo al CSS una strategia per curarle.
 
Non entro nel merito dell’opportunità politica dell’eutanasia che, a parte non essere prevista nel contratto di governo, non c’è dubbio, che creerebbe in questo esecutivo, altri conflitti come la Tav e il regionalismo differenziato.
Penso ad esempioal congresso mondiale delle famiglie che si terrà a Verona dal 29 al 31 marzo sostenuto dalla Lega e avversato dal M5S. Dico al ministro Grillo che se facciamo un ragionamento politico, nel contesto dato,
- parlare di eutanasia potrebbe essere inopportuno e fuorviante,
- che la massima priorità del Paese non è l’eutanasia ma i milioni di persone vittime delle diseguaglianze di salute. Primo fra tutti il sud.
 
Abbiamo mezza Italia con mezzi diritti, qual è la priorità sulla quale concentrare l’azione di governo?
 
La diseguaglianza in sanità è figlia di cento albumi
Dietro alle diseguaglianze di salute nel nostro paese si nascondono tante cose, prima di tutto una storia di squilibri che, in 40 anni, neanche con la creazione del SSN siamo riusciti a recuperare, perché? Che razza di “servizio nazionale” abbiamo messo in piedi? Volevamo l’universalismo ma è venuto fuori ben altro, dove abbiamo sbagliato?
 
Poi delle scelte politiche molto poco ponderate: la riforma del titolo V ha cronicizzato il discorso delle diseguaglianze, ma anche l’imposizione alle regioni dei piani di rientro non ha scherzato, che facciamo?
 
Oggi Il regionalismo differenziato vuole completare l’opera in senso secessionista. Ancora governi regionali e aziendali della sanità corrotti e incapaci, (l’ultima notizia sonole infiltrazioni  dell’ndrangheta nella Asp di Reggio Calabria) operatori costretti a lavorare come migranti al nord, una mobilità di malati per un giro da 4 miliardi, un rapporto fiduciario tra popolazioni e servizi sempre più compromesso, per non parlare, in alcune regioni del sud, della sanità privata apertamente in competizione con la sanità pubblica, della distribuzione iniqua di tecnologie, della mancanza assurda di certi servizi (salute mentale, salute della donna e del bambino, riabilitazione…), della più totale mancanza di territorio cioè di distretti in alcune regioni vincolate però a rispettare i volumi del regolamento sugli ospedali, vincolati a standard incredibili.
 
Ma la prima grande diseguaglianza viene dallo Stato che distribuisce risorse in modo iniquo per avvantaggiare le regioni del nord e per subordinare a queste le regioni del sud, per obbligarle ad esportare malati, quindi a spostare risorse dal sud al nord per impedirgli l’auto-sufficienza. Questo Stato va contestato radicalmente.
 
Ghe pensi mi
Quando ho letto dell’intenzione del ministro Grillo di affidare l’elaborazione di una strategia contro le diseguaglianze al CSS mi sono tornate alla mente le parole del prof. Remuzzi, autorevole membro del CSS, ospite, un paio di settimane fa a “Piazza pulita” (La 7, 7 marzo 2019) per discutere di regionalismo differenziato. Cioè ho fatto un collegamento.
Le sue tesi, a proposito di diseguaglianze nord/sud, mi sono apparse molto generose nello slancio ma anche drammaticamente semplificanti. Delle vere amenità. La tesi di fondo erano due:
- “ghe pensi mi”,
- “non ci vuole niente a risolvere il problema del sud”.
 
Basta rivolgersi al prof. Remuzzi e chiedere a Milano di aiutare il sud quindi diprestare al sud dei buoni Dg, di vincolare i Dg in caso di bisogno a farsi curare negli ospedali che dirigono. A queste tesi, nel corso della trasmissione, se ne sono aggiunte delle altre: mandare ispettori del nord al sud, rimandare nel sud i medici che sono emigrati al nord e dove si sono fatti una posizione professionale. Amenità null’altro che amenità.
 
In passato non pochi Dg, che sono andati al sud, venivano da altre regioni, e non pochi sono stati i tentativi di fare mobilità tra gli operatori in luogo dei malati. Ma il problema delle diseguaglianze è rimasto, continuando a incancrenirsi. Magari si risolvesse tutto con dei buoni DG. E poi nessuno dice che al nord molti sono i Dg che vengono dal sud e che, a condizioni non impedite, non hanno nessuna intenzione di tornarci.
 
In cuor mio voglio augurarmi che il ministro Grillo nel suo voler “curare” le disuguaglianze con una strategia elaborata dai “Remuzzi” del CSS, non presti ascolto a queste tesi. La questione delle diseguaglianze è più complessa di quella che dice il prof. Remuzzi che con le sue affermazioni dimostra in realtà di conoscere molto poco la complessità del problema.
 
Ma soprattutto mi auguro che il ministro rifletta su un dato politico: come mai a proposito del sud, e di mala gestione, nonostante il costante ricorso al commissariamento, l’intervento dello Stato centrale, non ha fatto altro che aggravare la situazione? Come tutti sanno il commissariamento è l’imposizione di una gestione da parte dello Stato in luogo di quella regionale, come mai a questa reiterata imposizione non è seguito nessun tipo di miglioramento della situazione?
 
Ci vuole un progetto “sud e salute”
Un governo del cambiamento, se in sanità davvero fosse tale, nei confronti delle diseguaglianze dovrebbe mettere a punto un progetto riformatore specifico per il sud. Caro ministro Grillo in sanità, come ho avuto modo di dirle, di questioni straordinarie ce ne sono tante ma ce n’è una in particolare ed è proprio il sud cioè le diseguaglianze.
 
Il primo enorme errore strategico, fatto sino ad ora dalla politica, come dimostrano proprio le esperienze di commissariamento, è affrontare il problema del sud con logiche e con approcci ordinari o peggio amministrativi, come se il sud fosse un problema “normale”.
 
Non è mia abitudine fare analisi senza tirare fuori qualche proposta, spero che il ministro Grillo, non si senta a disagio se mi permetto di offrirle, pro bono come sempre, qualche idea “politica”, quelle per intenderci che vanno oltre le visioni ordinarie e che nessun CSS, per quanto ambrosiano sia, è in grado di offrirle.
 
Le questioni da affrontare in un eventuale progetto “sud e salute” sono tante. Io mi limiterò ad affrontarne due, forse le più importanti: la distribuzione delle risorse e la mobilità sanitaria.
 
Distribuire con giustizia
Distribuire in altro modo politicamente significa prima di tutto, trasformare le “diseguaglianze” in “differenze”, cioè:
- riformare l’attuale forma convenzionale di universalismo assoluto che da 40 anni guarda all’Italia come se fosse uniforme, cioè senza differenze, per dare le gambe ad una specie di universalismo discreto,
 
- universalismo discreto vuol dire dare ad ogni regione (comunità) secondo le proprie complessità, cioè distribuire i diritti non sulla base di standard uniformi e quindi sulla base di un finto uniformismo, ma accettando le differenze e le specificità che esistono nel nostro paese,
 
- l’universalismo discreto obbedisce alla teoria della “giustizia come equità” secondo tale teoria l’attuale meccanismo di distribuzione delle risorse, basato sul criterio della quota capitaria ponderata, va riformato perché iniquo, al suo posto è necessario usare un criterio equo che se, il ministro rileggesse gli articoli che ho scritto a questo proposito (QS 22 novembre/3 dicembre 2018) ho proposto di definire “indice di occorrenza”,
 
- l’indice di occorrenza, sostituisce la quota capitaria ponderata, ed è un indice sul bisogno di salute che interpolando un sacco di variabili compreso la deprivazione, misura l’effettivo bisogno di salute di una comunità. L’obiettivo è dare risorse secondo bisogni di salute effettivi.
 
La doppia mobilità: malati e operatori
Si tratta di avviare processi per bloccarla e invertirla per trattenere quanto più è possibile le risorse al sud, con l’obiettivo di raggiungere l’autosufficienza, ma attenzione nella doppia accezione: di malati e di operatori che emigrano al nord:
- se non si incentivano gli operatori, soprattutto medici e infermieri, a restare al sud o ad andare a lavorare al sud, non si potranno sviluppare i servizi che servono e il sud non potrà mai diventare autosufficiente,
- se non avremo operatori motivati difficile sarà ricostruire le condizioni di fiducia sociale che ci servono per rilegittimare la sanità del sud.
 
Propongo tre cose:
- una moratoria,
- un ruolo attivo degli ordini professionali e dei sindacati,
- la definizione di un paternariato con altre regioni altri servizi sanitari altre professioni e altri ordini.
 
Viste le drammatiche condizioni del sud:
- si sospende l’applicazione del dm 70 e ogni blocco alle assunzioni del personale provvedendo a definire, sul posto, le effettive necessità della popolazione intanto con l’obiettivo di assicurare condizioni di base sufficienti e qualificate,
 
- il governo, di intesa con gli ordini professionali (enti sussidiari dello Stato), e con il sindacato, si riserva di presentare un progetto che preveda un massiccio processo di formazione e di aggiornamento del personale in servizio, un pacchetto di incentivi volto a favorire l’occupazione professionale al sud, quindi a superare ogni forma di precariato e di lavoro appaltato, il coinvolgimento degli ordini professionali come soggetti di garanzia ma anche come soggetti formatori,
 
- il partenariato è un patto sostanzialmente tra regioni e servizi e professioni, quindi anche tra ordini professionali, per la realizzazione di interventi finalizzati alla qualificazione della tutela sanitaria, allo sviluppo della qualità dei servizi, e alla buona gestione della cosa pubblica,
 
- si tratta di programmare una forte riorganizzazione ad hoc dei servizi a partire da un piano ben garantito di edilizia sanitaria che riformi anche radicalmente la macrostruttura funzionale del sistema sanitario regionale e locale.
 
Conclusione
Mi fermo qui. So da me che ci sono altre questioni, altri problemi, a partire dal malaffare, dalla corruzione, dalla pessima gestione della cosa pubblica.
 
Ma torniamo alla politica e al ministro Grillo:
- se la sente questo governo di mettere a punto un progetto straordinario per eliminare le diseguaglianze? Perché parliamoci chiaro, o si fa sul serio o si fa solo propaganda,
 
- se la sente questo governo di mettere a capo di un progetto obiettivo per il sud, perché di questo si tratta non di altro, un garante, non un commissario (non si tratta di commissariare nessuno) per coordinare una riforma?
 
Ma la domanda delle 100 pistole soprattutto se penso al nostro ministro dell’ordinario, è sempre la stessa: se la sente questo governo di riformare la sanità o no? Cioè di prendersi una responsabilità politica per cambiare davvero?
Ma, come diceva mio nonno, se si va a spigolare è quando si svuota il sacco che si vede come è andata.
 
Ivan Cavicchi

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