quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Martedì 19 MARZO 2019
Ho vinto la mia battaglia contro il licenziamento da “DG” del Lazio. Ma il punto è come garantire equilibrio tra politica e gestione



Gentile Direttore,
la sentenza del Consiglio di Stato n. 1671 del 13 marzo scorso ha messo la parola fine ad una vicenda che durava dal novembre del 2015. Mi ha reintegrata nelle funzioni di Direttore generale della ASL di Frosinone consentendomi di aggiornare il mio curriculum, condannando la Regione Lazio al pagamento dei 18 mesi restanti al termine del contratto, febbraio 2017, unitamente agli oneri previdenziali ed assicurativi ed alle rivalutazioni di legge.
 
Tecnicamente,“la reintegrazione del privato nel bene della vita inciso dal provvedimento illegittimo, poi annullato, avviene non solo in forma specifica, ma, ove questa non sia possibile per ragioni di fatto insuperabili, si realizza anche per equivalente, cioè con modalità che (come nel caso in cui una originaria pretesa in un bene infungibile viene convertita in una somma di danaro) tengano luogo della reintegrazione in forma specifica dell’assetto degli interessi lesi, ove tale reintegrazione specifica nei fatti non sia più concretamente conseguibile”.
 
Secondo i giudici del Consiglio di Stato, la prima sentenza del TAR del gennaio 2017 che annullava gli atti di revoca dell’incarico per il mancato raggiungimento degli obiettivi a 18 mesi dalla nomina doveva essere applicata “ora per allora”, a nulla valendo il fatto che dopo un anno dalla revoca avessi lavorato per pochi mesi in una struttura privata accreditata.
 
In altri termini, la scheda di valutazione dell’OIV regionale, elaborata senza seguire peraltro i principi del giusto procedimento, è nulla.
 
La vicenda pone l’attenzione sul rapporto tra indirizzo politico regionale e gestione aziendale del direttore generale che è certamente tra i più delicati e controversi della dirigenza pubblica ed è un problema al quale la legge n. 124 del 2015 ed i successivi provvedimenti (decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171 e s.m), hanno inteso porre rimedio con la previsione dell’elenco nazionale dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale. Lo scopo della legge è quello di valorizzare il merito, prevedendo apposite procedure di livello nazionale basate su specifici requisiti di ingresso, aprendo il ruolo anche al management privato, per favorire l’inserimento di esperienze provenienti dal mondo privato (non solo sanitario) e migliorare l’efficienza che deve contraddistinguere la managerialità del direttore generale nella difficile governance di una struttura sanitaria.
 
La Corte costituzionale è più volte intervenuta sulla materia, cercando di chiarire, di definire e di separare le rispettive sfere di competenze e di influenza, descrivendo il direttore generale come una figura tecnico-professionale che ha il compito di perseguire, attraverso un contratto di lavoro autonomo, gli obiettivi gestionali e operativi definiti dai provvedimenti regionali e nazionali e gli indirizzi della Giunta regionale.
 
Così è scritto nel parere del Consiglio di Stato il 18 aprile 2016 sulla legge 124: “ il rapporto di fiduciarietà politica insito nel meccanismo della nomina del direttore generale non può sconfinare, tuttavia, in uno spoils system senza limiti e garanzie, sicché la sua nomina e, ancor più, la sua rimozione deve passare attraverso un giusto procedimento di verifica dei risultati della gestione, tenendo conto della condizione economico- finanziaria di partenza della singola azienda, del budget assegnato e degli obiettivi di salute e di gestione fissati dalla Regione”.
 
La posizione del direttore generale, in altri termini, deve essere garantita per evitare che la sua posizione di dipendenza funzionale, rispetto alla volontà politica della Giunta regionale, si trasformi in dipendenza politica (Corte cost., 19.3.2007, n. 104).
 
I direttori generali, hanno scritto i giudici, “devono essere considerati «funzionari neutrali», poiché non sono nominati in base a criteri «puramente fiduciari», essendo l’affidamento dell’incarico subordinato al possesso di specifici requisiti di competenza e di professionalità, e non richiedendosi agli stessi «la fedeltà personale alla persona fisica che riveste la carica politica», ma la «corretta e leale esecuzione delle direttive che provengono dall’organo politico, quale che sia il titolare pro tempore» (Corte cost., 5.2.2010, n. 34).
 
Entrano così in campo i principi di trasparenza e di imparzialità che debbono sottendere i procedimenti di nomina e revoca di un direttore generale e che rappresentano la reale innovazione della legge, la quale, riformando questa materia, si pone l’obiettivo primario di riavvicinare il cittadino alla pubblica amministrazione, «destinata sempre più ad assumere i contorni di una ‘casa di vetro’, nell’ambito di una visione più ampia dei diritti fondamentali sanciti dall’articolo 2 della Costituzione, che non può prescindere dalla partecipazione ai pubblici poteri»(Consiglio di Stato, parere n. 515 del 24.2.2016), anche «al fine di realizzare l’aspirazione a una democrazia intesa come “regime del potere visibile” (secondo la definizione di Norberto Bobbio) ».
 
Il successo della riforma è affidata anzitutto all’opera e alla leale collaborazione delle Regioni e Province autonome, alle quali è demandata, anche sulla base della ripartizione delle competenze voluto dalla Costituzione, l’organizzazione del Servizio sanitario secondo i fondamentali principi di imparzialità, efficienza e trasparenza. Alle Regioni è anche demandata l’attuazione di un altro fondamentale caposaldo della riforma, e cioè la formazione e, si aggiunge, l’aggiornamento dei direttori generali delle aziende sanitarie.
 
Rimangono alcune criticità. Lapermanenza media a livello nazionale nell’incarico di direttore generale, è di circa 3 anni e mezzo, “il che costituisce, secondo i più autorevoli studiosi e attenti osservatori dell’organizzazione sanitaria, una delle maggiori criticità del processo di aziendalizzazione, impedendo programmazioni della gestione aziendale di medio-lungo periodo che possano concretamente incidere sull’organizzazione aziendale”. (Consiglio di Stato 2016)
 
L’età media dei direttori attualmente in carica è alta (come per quasi tutte le figure professionali del servizio sanitario nazionale), la partecipazione dei giovani e dei soggetti provenienti dal privato è scarsa, come risulta dalle selezioni ad oggi avvenute, la formazione è demandata ad un corso di 180 ore organizzato dalle Regioni al quale spesso segue un aggiornamento individuale, la mobilità dei direttori generali, proficua per la circolazione delle esperienze e delle migliori pratiche, è ostacolata dai costi per i trasferimenti e dalla manifesta tendenza delle Regioni e Province autonome a costruire una propria classe dirigente.
 
Non sono questioni di poco conto in una sanità ogni giorno più complessa che abbisognano di attenzione costante e coraggiose scelte.
 
Isabella Mastrobuono

© RIPRODUZIONE RISERVATA