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Giovedì 04 APRILE 2019
Sanità sempre più “precaria”: 45mila operatori con contratti a tempo (+9% in un anno) 

I dati nel conto annuale 2017 che rileva un incremento di quasi 3.700 lavoratori precari rispetto al 2016. Nella sanità pubblica lavora il 13,3% di tutti i precari della Pubblica amministrazione. Il maggior numero di precari a tempo determinato tra gli infermieri che superano le 13.500 unità, seguiti dai medici con 9.342 contratti a tempo determinato. E le stabilizzazioni sono in calo.

Precari in aumento del 9% nel Servizio sanitario nazionale nel 2017 rispetto al 2016 (un trend rilevabile anche agli anni precedenti a partire dal 2013 in poi, dopo la flessione registrata tra il 2008 e il 2012): e in un solo anno si è passati dai 41.402 “contratti flessibili” come li definisce il Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato, ai 45.088 del 2017.

Attualmente,  secondo il Conto annuale, gli enti del Servizio sanitario nazionale assorbono il 13,3% di tutti i precari della Pubblica amministrazione.

E solo negli enti del Servizio sanitario nazionale si osserva negli anni una leggera tendenza all’aumento del rapporto di lavoro precario rispetto a quello a tempo indeterminato, che nell’ultimo anno ha raggiunto il valore massimo del 7 per cento.
 
Il personale flessibile considerato nella rilevazione del Conto annuale è formato da: personale a tempo determinato, lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità (LSU/LPU), dipendenti con contratto di formazione e lavoro, lavoratori con contratto di somministrazione di lavoro (ex interinali). Tipologie di lavoro che non sempre, come spiega la stessa Ragioneria generale dello Stato, determinano la nascita di un rapporto di dipendenza con la persona titolare del contratto. Infatti, se con i contratti a tempo determinato e quelli di formazione e lavoro si instaura un rapporto di lavoro fra la pubblica amministrazione e lavoratore, con i lavoratori ex interinali e con i lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità, invece, questo rapporto viene a mancare.
 
Nel Servizio sanitario nazionale il maggior numero di precari a tempo determinato si registra tra gli infermieri che superano le 13.500 unità, con un aumento di 1.939 unità, seguiti dai medici con 9.342 contratti a tempo determinato, con un aumento di 390 unità.

In assoluto nel 2017 rispetto all’anno precedente l’aumento registrato di 3.686 precari è praticamente tutto dovuto ai contratti a tempo determinato  (+3.685), mentre le altre tipologie di lavoro (ci sono 7.433 interinali, 617 LSU e 5 contratti di formazione lavoro) sono pressoché stabili (ad esempio aumenta il lavoro internale degli uomini, ma diminuisce di altrrettanto quello delle donne e così via).
 

 


Tempo determinato e formazione lavoro
Nel 2017 negli enti del Servizio sanitario nazionale e del comparto delle Regioni e autonomie locali si concentra il 63% delle unità annue di tempo determinato utilizzate. Per le Regioni ed autonomie locali (contratto nazionale) si sono registrate forti oscillazioni nel tasso di riduzione che hanno portato nel 2014 ad un ricorso al personale a tempo determinato o alla formazione lavoro quasi dimezzato rispetto al 2008; i successivi tre anni, gli ultimi della serie, restano sostanzialmente stabili, attestandosi poco al di sopra del valore minimo.

Negli enti del Servizio sanitario nazionale la riduzione è stata più graduale fino ad arrestarsi nel 2013, per poi riprendere ad aumentare con un tasso elevato nei quattro anni successivi, arrivando nell’ultimo anno a toccare il massimo del decennio.

Negli altri comparti della PA, il ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato è più ridotto.

Lavoro interinale e LSU
Solo due comparti, quello delle Regioni e autonomie locali e quello del Servizio sanitario nazionale, fanno ricorso in quantità significative a queste tipologie di lavoro flessibile, mentre negli altri comparti la loro presenza è poco rilevante, limitata a poche centinaia di unità annue e in continua riduzione, fino a diventare irrilevante nel caso degli Enti pubblici non economici

Nel Servizio sanitario nazionale si assiste, invece, ad una crescita nei  primi anni della serie (dal 2008 in poi) che ha raggiunto il valore massimo nel 2009 e a una successiva fase di contrazione che ha toccato il valore minimo nel 2013, per tornare a crescere e raggiungere il valore massimo dell’intero periodo nel 2016 e nel 2017. Va considerato però che in entrambi i comparti le oscillazioni hanno riguardato poche migliaia di unità annue.

I costi
Il costo sostenuto dal Sistema sanitario nazionale nel 2017 per il personale precario – unico comparto per il quale si rileva in termini di costo anziché di spesa poiché invia i dati secondo il principio della competenza economica – presenta una crescita sostenuta e analoga a quella registrata nei due anni precedenti, raggiungendo un nuovo valore massimo nel periodo considerato, mentre il valore registrato dal comparto delle Regioni e autonomie locali negli ultimi anni è stabile e lontano dai livelli massimi realizzati a inizio periodo.

Le unità annue impiegate dai due comparti sono simili ma presentano andamenti divergenti. Le Regioni e autonomie locali partono da un valore superiore per scendere, negli ultimi anni, significativamente al di sotto di quelle impiegate nella Sanità.

Dal 2014, il costo sostenuto da quest’ultimo comparto – che è sempre stato il più elevato fra tutti i comparti – è più che raddoppiato rispetto alla spesa sostenuta dagli enti del comparto Regioni ed autonomie locali. Questo è dovuto sia al diverso costo unitario del personale di livello simile sia all’utilizzo in sanità di personale con una più elevata qualificazione.

Le spese per i contratti di somministrazione (ex interinali) e per i lavori socialmente utili non presentano un andamento uniforme tra comparti.

Circa due terzi della spesa totale è sostenuta dal comparto Sanità, con un progressivo aumento nel periodo considerato5 ed è quindi questo comparto che influenza l’andamento generale per tale tipologia di compensi.

La crescita registrata in questo comparto nei primi quattro anni, la sensibile riduzione fino al 2013 ed il nuovo incremento negli ultimi anni, rappresentano l’andamento riferito al totale del pubblico impiego.
 



Co.Co.Co. e incarichi
Il Servizio sanitario nazionale è rimasto il secondo utilizzatore di questi contratti fino al 2016, per  essere superato nell’ultimo anno dagli Enti della lista S13 (Amministrazioni pubbliche), mentre gli Enti di ricerca presentano nel 2017 il valore minimo sull’intero periodo considerato, ormai poco significativo in termini assoluti.

L’andamento del comparto Sanità presenta una riduzione nei primi anni per poi stabilizzarsi negli anni successivi.
Il costo medio di un co.co.co. nella Sanità è di 21.935 euro, superiore ai 12.965 euro degli Enti della lista S13 e ai quasi 13.899 euro corrisposti mediamente nel comparto delle Regioni e autonomie locali.

Il valore medio corrisposto dalle Università (4.760 euro) è poco più di un quinto di quello della Sanità.

Mentre il valore medio dei contratti nella Sanità è aumentato significativamente negli ultimi anni, quello delle Università si è progressivamente ridotto, ampliando sempre più il differenziale esistente.

Per quanto riguarda gli incarichi nel 2008 il comparto delle Regioni e autonomie locali, considerando anche gli enti che applicano i contratti regionali, risultava quello con gli importi più elevati, ma già a partire dal 2009 è stato superato dal comparto della Sanità e inizia una graduale riduzione che lo porta, nel 2013, a valori inferiori del 30% rispetto all’anno iniziale.

Nel 2014 gli enti di questo comparto presentano un incremento notevole e, se si prescinde dagli Enti della lista S13, determinano quasi per intero l’aumento della tipologia di spesa in esame. Negli ultimi tre anni i valori tornano nuovamente a ridursi. Il comparto delle Università, pur con valori assoluti di spesa contenuti, è il solo che presenta una spesa per questa tipologia di contratti costantemente in crescita fino al 2016, che però si riducono nell’ultimo anno.

Anche per questa tipologia di contratti, i valori medi sembrano indicare una richiesta di prestazioni con livelli diversi di qualificazione: il costo medio unitario nei comparti Sanità (17.592 euro) e Enti di ricerca (18.835 euro) è nettamente superiore a quello di tutti gli altri comparti.

Considerando cumulativamente la spesa per co.co.co. e incarichi, ed escludendo gli enti della lista S13, si passa da una spesa di poco meno di 1,4 miliardi di euro del 2008 a 746 milioni nel 2017, con una riduzione del valore iniziale superiore del 46 per cento.
 
Le stabilizzazioni
Per quanto riguarda le stabilizzazioni, il Servizio sanitario nazionale a partire dal 2007 è secondo solo alle Regioni e autonome locali: 26.537 stabilizzati contro i 30.869 delle Regioni.

Tuttavia il trend è rimasto abbastanza alto fino al 2012 per poi calare a poche centinaia di unità l’anno.

Negli ultimi anni, sottolinea la Rgs nel Conto annuale,  nonostante i numeri più bassi gli interventi di stabilizzazione hanno riguardato soprattutto il comparto della sanità e delle autonomie locali, che sono i principali fruitori del personale con contratto di lavoro flessibile.

Le stabilizzazioni si riferiscono a persone fisiche mentre il personale con contratto flessibile è espresso in “unità annue”. Una sola di tali unità si può riferire a più persone che hanno lavorato per frazioni d’anno. Di conseguenza, le unità assunte attraverso le stabilizzazioni potrebbero essere più elevate della differenza fra le unità annue di personale flessibile rilevabili fra due anni contigui.
 

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