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Giovedì 09 FEBBRAIO 2012
Patologie cardiache. Ecco le super-cellule per rigenerare il cuore danneggiato

Alcuni ricercatori del Cnr e dell’Irccs MultiMedica hanno dimostrato come sia possibile creare delle cellule embrionali del cuore, capaci di differenziarsi in cellule cardiache battenti, a partire da cardiomiociti già differenziati. Ampie le prospettive terapeutiche.

Cinque anni fa, nel 2006, il ricercatore giapponese Shinya Yamanaka stupì il mondo dimostrando la possibilità di ritrasformare le cellule adulte e differenziate in cellule “staminali”, simili a quelle embrionali - il cui uso pone problemi etici. Da quella ricerca, dalla quale nacque la nuova classe di cellule staminali dette multipotenti indotte, prende oggi le mosse una ricerca italiana, condotta dal Cnr e dall’Irccs MultiMedica, che promette di usare questa classe di unità biologiche per la rigenerazione dei cardiomiociti, le cellule del tessuto muscolare cardiaco coinvolte in una serie di patologie, tra le quali l’ischemia. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Cell Death and Differentiation.

“La ricerca nasce dalla integrazione del lavoro di Yamanaka con la nostra esperienza nella rigenerazione cardiaca maturata nel corso della nostra formazione negli Stati Uniti presso la Harvard Medical School”, ha spiegato a Quotidiano Sanità Roberto Rizzi dell’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Cnr (Ibcn-Cnr), primo autore dello studio. “Abbiamo affinato la metodologia già usata in Giappone nel 2006 utilizzando vettori che inserivano più geni alla volta”, ha spiegato il ricercatore: “dato che la manipolazione delle cellule cardiache richiede una specifica competenza e precisione, la difficoltà più grande è stata essere sicuri di aver riprogrammato un cardiomiocita”.

Lo scopo di tutto il lavoro era infatti riportare cellule neonatali e adulte, come i cardiomiociti post-natali, ad una condizione di ‘staminalità’, ovvero riportarle a uno stato embrionale. “I cardiomiociti hanno capacità proliferative minime se non assenti e ciò significa che a seguito di danno ischemico cardiaco, come per esempio nell’infarto, si crea una cicatrice riducendo la capacità funzionale del cuore, situazione nota come scompenso cardiaco”, ha spiegato Rizzi. “Il nostro lavoro ha dimostrato che, attraverso l’introduzione di geni fetali all’interno del genoma di cardiomiociti post-natali, è possibile ricondurre queste cellule già differenziate a uno stato embrionale. Una volta ottenute le staminali dai cardiomiociti, queste sono state indotte a differenziare nuovamente in cellule cardiache battenti”.
Un risultato senza precedenti che apre la strada a molteplici applicazioni. “La ricerca ha messo in evidenza che le cellule multipotenti indotte ottenute dai cardiomiociti hanno una capacità maggiore di ridiventare nuovamente cellule cardiache contrattili, rispetto ad altre cellule staminali, e ne ha definito le basi molecolari stabilendo che questa ‘memoria’ dipende da pochi geni”, ha continuato il ricercatore. “Grazie alle loro capacità differenziative, queste cellule potranno essere utilizzate per la riparazione del miocardio danneggiato”.

I ricercatori precisano però che l'applicazione clinica sugli esseri umani è ancora lontana. “Ad oggi, - ci ha detto Rizzi - il contributo importante che viene offerto da queste cellule è quello di potere effettuare una validazione in vitro di malattie geniche a carico del cuore”. In altre parole, sarà possibile usare le cellule per testare i farmaci: “Utilizzando questo modello sarà possibile testare le nuove molecole in laboratorio e individuare nuovi modi per trattare patologie cardiovascolari, problema che si era già provato ad affrontare con l'utilizzo di topi transgenici. Ora potremo portare avanti questa branca di ricerca in una maniera più realistica”.

Laura Berardi

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