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Martedì 22 GIUGNO 2010
Meglio non prendere sotto gamba l’ipertensione

L’appello arriva dal Congresso della Società Europea di Ipertensione dove sono stati presentati i dati dello studio SHARE: più del 10% dei pazienti a rischio non viene trattato in maniera sufficientemente aggressiva.

È un campanello d’allarme che spesso i medici non tengono in sufficiente considerazione, l’ipertensione. E ciò espone i pazienti che ne sono affetti a un innalzamento evitabile del rischio cardiovascolare.
È quanto emerge dai risultati dello studio SHARE (Supporting Hypertension Awareness and Research Europe-wide) presentato a Oslo nel corso del 20° Congresso annuale della Società Europea di Ipertensione (ESH). Lo studio ha preso in esame il vissuto professionale di 2.629 medici di base e specialisti in tutta Europa da cui è emerso che spesso i medici trattano con troppa superficialità i loro pazienti ipertesi. Anche se il 76% ritiene il target pressorio suggerito dalle linee guida europee corretto (e un 5% lo vorrebbe addirittura più stringente), quando si analizza la pratica clinica le cose cambiano.
Il 29% dei medici reputa soddisfacente il raggiungimento di valori di pressione arteriosa sistolica sopra il target di 140 mmHg e il 15% si accontenta di valori di pressione arteriosa diastolica sopra 90 mmHg. Inoltre, in generale, i livelli di pressione che creerebbero preoccupazione sono significativamente più alti rispetto al target delle linee guida (149/92 mmHg) e tali livelli devono raggiungere soglie ancora più alte prima che i medici si sentano spinti a intervenire aggressivamente (168/100 mmHg).
Insomma, per molti pazienti, prima di arrivare ad assumere una terapia efficace per tenere a bada la pressione potrebbe passare molto tempo.
E le ragioni sono probabilmente svelate da un altro aspetto dell’analisi, che rivela come alla percezione del rischio non faccia seguito l’azione prescrittiva da parte dei medici. Infatti, anche se i medici sono ben consapevoli che soltanto la metà dei pazienti raggiunge i target di pressione arteriosa fissata dalle linee guida, stimano tuttavia che soltanto il 34% di essi rientri nella categoria dei “Challenging Patients”, cioè i pazienti a rischio che non riescono a raggiungere livelli di pressione arteriosa almeno di 140/90 mmHg. Pertanto - conclude l’analisi - si può concludere che più del 10% dei pazienti che ha valori pressori al di fuori dei limiti delle linee guida non viene trattato in maniera sufficientemente aggressiva oppure che i medici sottostimino il numero dei “Challenging Patients”.
Superfluo ricordare i rischi a cui questi malati vanno incontro: “il rischio associato a pressione arteriosa alta è ben documentato - ha commentato Josep Redon, primario del reparto di Medicina Interna e dell’unità d’Ipertensione del Policlinico universitario di Valencia e co-direttore dello studio SHARE - e qualsiasi paziente con pressione superiore a 140/90 mmHg necessita di trattamento clinico costante per arrivare a raggiungere il target e ridurre il rischio cardiovascolare. Sottostimando il numero dei Challenging Patients - ha aggiunto - i medici non riescono a riconoscere la reale portata del peso sanitario ed economico associato a questa tipologia di pazienti”.
L’ipertensione, infatti, rimane in Europa la principale causa di mortalità e morbilità. Come se non bastasse, i costi associati a un suo insufficiente controllo ammontano nel sola Vecchio Continente a quasi 200 miliardi di euro.  

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