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Lunedì 20 MAGGIO 2019
Professione medica. Il viaggio verso il cambiamento è iniziato



Gentile Direttore,
è stato veramente “straordinario” come lo ha definito Cavicchi, ciò che è avvenuto il 16-17 maggio a Roma con gli Stati Generali. Un momento di riflessione e di confronto di una portata dirompente, dove la professione medica con la presenza di esperti di altre discipline, si è fermata a ripensare  a se stessa  (un “pit stop” come ha detto il presidente Anelli) esprimendo idee, opinioni, valutando proposte e suggerendo risposte consapevole che una crisi c'è,   per alcuni solo del medico, per le 100 tesi,  essendo impossibile separare le sorti della medicina da quelle del medico, anche della medicina, sicuramente  per tutti  una crisi della professione.
 
E questo non è poco. Il riconoscimento che una  “crisi” c'è  vale già come punto di partenza per una soluzione.
 
Nella relazione introduttiva il prof. Cavicchi autore delle 100 Tesi, ha spiegato  che questa crisi è un processo iniziato da lontano e alimentato da  tanti  generi diversi di mutamenti (da quelli epocali che riguardano la società e l’economia a quelli più specifici riguardanti la professione come per esempio  il passaggio dalla libera professione  alla dipendenza) e pur tuttavia qualsiasi accezione di crisi,  fino  a  poco più di un anno fa,  cioè fino al cambio del vecchio gruppo dirigente della Fnomceo,  era negata.
 
Eppure noi che  facciamo i medici sappiamo bene che prima si interviene su una malattia e meglio è: il “fattore tempo” cioè la tempestiva identificazione della malattia e il rapido ricorso ad un trattamento adeguato, sono determinanti per la sopravvivenza del paziente.
 
Allora viene da chiedersi perché nonostante  le evidenze di crisi,   ci abbiamo messo così tanto a dichiararla? E perché alcuni continuano a negarla?
 
La parola crisi,  ha spiegato Cavicchi nella sua lucida relazione introduttiva si può usare solo quando qualcosa di fondamentale viene meno, o quando un paradigma si inceppa o quando c’è un importante problema di inadeguatezza.
 
Che qualcosa di fondamentale nel ruolo del medico sia venuto meno (penso alla sua autonomia ma non solo) è una evidenza; che qualcosa nel paradigma si sia inceppato (penso al contenzioso legale, alle violenze, alla medicina amministrata, alla crescita enorme delle medicine non convenzionali) è un’altra evidenza, che qualcosa abbia creato inadeguatezza e sfiducia (penso al paradosso che Cavicchi ha definito dell’appropriatezza inadeguata), è una ulteriore evidenza. 
 
Eppure l'ammissione della crisi per quanto “evidente”, tra di noi, non è un fenomeno scontato e in questi due giorni le “resistenze” sono emerse in maniera chiara e inequivocabile, mettendo a nudo più i problemi “autoreferenziali” dei rappresentanti storici dei medici che non quelli drammatici, dei medici tout court.
 
Ma è solo una desiderio di conservare intatta l'idea di medicina che ci ha accompagnato finora?  Io non credo, penso ci sia qualcosa di più.
 
Nel gruppo al quale ho partecipato (crisi della medicina) mi hanno colpito alcune cose:
- la mancanza assoluta da parte nostra di una autocritica come se la “questione medica” a proposito di ritardi, fosse considerata come un fulmine a ciel sereno,
- la mancanza assoluta di una prospettiva inter- generazionale; nessuno in questo gruppo ha manifestato una qualche preoccupazione per le nuove generazioni, come se  il presente e il futuro  fossero ostaggio del passato,
- il percepire la crisi come una ingiusta accusa alla storia, con ciò ritenendo che la storia non ha nulla di cui essere accusata e con ciò teorizzando praticamente una eterna invarianza del medico e della medicina. Ma una medicina astorica è una autentica assurdità.
 
In realtà la crisi se pur si porta dietro criticità del passato, è per massima parte legata all'enormità dei cambianti che sono avvenuti e che continuano ad avvenire: pensiamo alle nuove tecnologie, ai problemi etici che si portano dietro, al lavoro del medico che si trasforma;  al bisogno di autodeterminazione dell'individuo, al suo desiderio di essere partecipe delle scelte che lo riguardano, ai problemi di sostenibilità economica.
 
C'è un mondo e una realtà, a proposito di “realismo della medicina”, che sono mutate rapidamente e che chiedono una nuova figura di medico capace di essere come ci è stato proposto dalle tesi, ancora più realista di quello che è addirittura pragmatista perché deve badare ai risultati.
 
Ma si può definire un nuovo medico mantenendo invariata la medicina? Anche il gruppo sull’epistemologia, alla domanda posta dalle tesi, se sia necessario ridefinire la medicina ha risposto con un chiaro no ,  in linea con coloro che negano l’esistenza della crisi della medicina, per poi entrare clamorosamente in contraddizione quando a proposito di formazione  ha fatto proposte che si giustificavano  solo ammettendo un’altra definizione di medicina cioè un cambio di paradigma. E in effetti il prof. Cavicchi
rispondendo alle conclusioni del gruppo sulla epistemologia, ha fatto notare che riammettere la filosofia come proposto dai componenti del gruppo ,nel percorso formativo , significa ripensare la definizione di medicina di marca positivista, legittimando  conoscenze diverse da quelle strettamente scientifiche e concezioni  che vanno oltre la malattia fisica.
 
La necessità di insegnare ai nostri futuri medici ciò che  esorbita dalle nozioni strettamente scientifiche  è di per se una  evidenza della necessità di un cambiamento della medicina.
 
Del resto tutti i gruppi hanno indicato la formazione del medico come il principale terreno del cambiamento.  Resta da chiarire a quale medicina formare il medico del futuro e quale medico del futuro vogliamo.
 
Ammettere la crisi, riconoscere l’interdipendenza tra la crisi della medicina e del medico, lavorare alla ridefinizione della medicina, ma soprattutto, come ha spiegato Cavicchi, ri-contestualizzare la medicina definita nel secondo millennio in questo terzo millennio, non è un atto di accusa verso qualcuno o qualcosa, ma è riconoscere che  è necessario cambiare, che non c’è nulla di male  se cambiare vale come migliorare  e che migliorare resta l’unica strada per essere rilegittimati.  Non si può pensare di continuare a restare quello  che per altro non siamo già più.
 
C'è un bisogno riconosciuto da tutti di recuperare prestigio e autorevolezza all'interno della società e la strada maestra passa attraverso il recupero della funzione sociale della nostra professione.
 
Lo ha detto chiaramente il Presidente Anelli in apertura di questa due giorni:  “I medici vogliono essere considerati come coloro  che riescono a garantire i diritti  in questa società; i diritti sono in capo ai cittadini e quindi i medici diventano i medici dei cittadini che tutelano e promuovono i diritti:  il diritto alla salute, il diritto all'autodeterminazione, il diritto alla coscienza. Quei diritti che sono  scritti nella  nostra Carta Costituzionale e sono diritti inviolabili dell'uomo”.
 
Questo è sicuramente un passaggio  molto importante che vale quale un manifesto politico:se lo Stato attraverso la dipendenza giuridica intende condizionare gli obblighi deontologici dei medici nei confronti dei diritti costituzionali dei cittadini, sappia che noi medici non siamo disposti ne a tradire i principi costituzionali ne i bisogni delle persone: io medico curo per conto dello Stato i cittadini, ma sono io medico che decido in scienza coscienza economicità, con razionalità e ragionevolezza, come curarli, perché al medico non si può chiedere di venire meno al suo essere medico.
 
Questo pensiero mi sembra in sintonia con il concetto di  “autore” proposto da Cavicchi nelle sue tesi: essere dipendenti non vuol dire essere assoggettati, perché la delega per la cura delle malattie, che lo Stato deve ovviamente dare al medico, si basa sull’autonomia della medicina . La dipendenza non può  essere in contraddizione con la nostra autonomia ma è solo una forma giuridica coerente con un sistema di welfare pubblico attraverso la quale questa è organizzata e definita.
 
In definitiva, l'apertura degli Stati Generali è stata contrassegnata dalla percezione che qualcosa si è mosso, che uno scossone è stato dato e che l'onda di propagazione non può più essere fermata.
 
Cosa produrrà? Certo è troppo presto per capirlo. Il cambiamento che ci viene richiesto è un passo che spaventa molti: si lascia un porto sicuro verso un nuovo che ci è in gran parte ignoto. La tentazione è quella di limitarsi a una semplice operazione di restyling.  Ma siamo solo all'inizio di un evento che non ha precedenti nella storia della professione.
 
Non è infatti mai avvenuto che una intera categoria di una intera Nazione si fermi a discutere su se stessa dandosi tempi adeguati. Di tutto questo dobbiamo essere grati alla FNOMCeO che ha capito e creduto nella necessità di riconoscere la crisi.
 
Sono convinta come ha detto il Presidente Anelli in conclusione di queste due giornate che sarà “Una crisi di crescita (capace di ) rilanciare ancora di più la professione  medica e di renderla sempre più fruibile”
In tutti noi c'è la percezione chiara che si sta scrivendo una nuova pagina della storia della medicina.
 
Da ultimo mi sia consentito anche di essere compiaciuta per l’ufficializzazione nelle tesi del fenomeno della femminilizzazione, (ora mi aspetto intanto almeno una riformulazione della deontologia) e per l’eccellente lavoro fatto dalle donne medico nel gruppo ad esse dedicato.
 
Resto convinta, come molti, che le donne, alla risoluzione della crisi della professione, con un pensiero adeguato, possono dare un grande contributo nel quale al valore della maggioranza ,della differenza, della singolarità, sia abbinato anche quello della rilevanza culturale.
 
Non si cresce senza fatica, non si percorre un percorso senza mettersi in cammino: “Un lungo viaggio di molte miglia si comincia con il muovere il piede” (Lao Tse).
 
Il viaggio verso il cambiamento è ormai iniziato e sono certa che non potrà essere fermato.
 
Ornella Mancin
Presidente Fondazioe Ars Medica-Omceo VE

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