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Sabato 01 GIUGNO 2019
L’infermiere di famiglia e di comunità nel nuovo Patto per la Salute. Le Regioni dicono sì 

XI Conferenza sulle politiche della professione infermieristica: i direttori generali degli assessorati di Emilia Romagna, Toscana, LOmbardia, Liguria e Piemonte e l'assessore alla Salute della Toscana hanno sottolineato che obiettivo è dare ai cittadini ciò di cui hanno veramente bisogno, disegnando i nuovi modelli su quello che segue la diagnosi e la terapia: l’assistenza continua e la continuità tra ospedale e territorio.

Patto per la Salute come nodo essenziale della politica e della riorganizzazione sanitaria nelle Regioni. In questo, particolare e necessaria attenzione al territorio che è il luogo dove la nuova epidemiologia – più anziani, non autosufficienti, malati cronici ecc. – si manifesta. E per l’assistenza sul territorio, proprio nel Patto, l’asso nella manica è l’infermiere di famiglia e di comunità.
 
Sono state tutte d’accordo le Regioni presenti all’XI Conferenza sulle politiche della professione infermieristica che si è svolta a Firenze. Emilia-Romagna, Toscana, Lombardia, Liguria e Piemonte sono tutte sulla stessa lunghezza d’onda: se cambia la società, se c’è bisogno di prendersi cura (assistenza) della nuova epidemiologia, bisogna ragionare non solo in termini economici, ma soprattutto di organizzazione.  
 
 
Obiettivo è dare ai cittadini ciò di cui hanno veramente bisogno, disegnando i nuovi modelli su quello che segue la diagnosi e la terapia: l’assistenza continua e la continuità tra ospedale e territorio.  
 
Di più, ha sottolineato Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli ordini degli infermieri, il maggiore d’Italia con oltre 450 mila iscritti, bisogna spostarsi a domicilio dell’assistito. E non come singola professione, ma in un disegno che metta in moto vere équipe multiprofessionali sociosanitarie dove tutti i professionisti devono lavorare insieme, ognuno secondo le proprie caratteristiche, ma tutti sullo stesso piano.  
Kyriakoula Petropulacos, direttore generale cura alla persona, salute e welfare dell’Emilia Romagna, Carlo Rinaldi Tommasini, direttore del servizio diritti di cittadinanza e coesione sociale della Toscana, Marco Salmoiraghi, del Dipartimento salute e servizi sociali della Lombardia, Francesco Quaglia, direttore del dipartimento salute e servizi sociali della Liguria, Danilo Bono, direttore della direzione sanità del Piemonte, hanno ribadito ciò che nelle premesse aveva già affermato Stefania Saccardi, assessore al diritto alla salute, al welfare e all'integrazione socio-sanitaria e vicepresidente della Toscana: gli infermieri sono la professione cresciuta di più in questi anni e per questo le Regioni hanno voluto dare una forte spinta alla professione per assegnargli maggiori responsabilità in un sistema in cui oggi è necessaria una presa in carico multidisciplinare.  
 
La scommessa di queste Regioni, tutte benchmark rispetto al quadro nazionale, è stata quella di istituire (o di stare per farlo) l’infermiere di famiglia e di comunità. Che secondo Saccardi “ha dato risultati straordinari anche rispetto alla percezione dei cittadini di sentirsi davvero assistiti”.  
 
L’infermiere di comunità “è una grande sfida” secondo Petropulacos, “e rappresenta un passo necessario nonostante i problemi e i vincoli di spesa, attenuati dal ‘decreto Calabria’, ma che ancora esistono, per dare ai cittadini quel livello di servizio che ormai può crescere solo con la crescita delle professioni sanitarie”.  
 
“La collaborazione tra professionisti – secondo Tommasini – è una questione di ‘allenamento’ che in Toscana è già partito da circa nove anni: l’effetto dell’innovazione è stata una riduzione della mortalità per una serie di patologie croniche, dimostrando che la strada è quella giusta e che la soluzione è in nuove competenze e nuove aree da dedicare alla professione infermieristica, con un modello non più ospedalocentrico, ma indirizzato ai servizi territoriali secondo il Chronic Care Model (un modello che prevede per il miglioramento della condizione dei malati cronici un approccio ‘proattivo’ tra il personale sanitario  e una medicina di iniziativa. Ndr.)”.  
 
“In Lombardia la nuova legge sanitaria si muove su due cardini: la presa in carico del paziente fragile e la continuità assistenziale. “Obiettivi che possono essere realizzati solo con un’organizzazione multidisciplinare e multiprofessionale, senza corporativismi”, ha sottolineato Salmoiraghi che ha riconosciuto al mondo infermieristico la maggiore capacità di aprirsi all’idea di prendersi cura della persona all’interno di un processo multidisciplinare.

“Quale Regione più della Liguria ha bisogno di utilizzare il Chronic Care model, dove il 29% degli abitanti sono anziani? E l’infermiere di famiglia – secondo Quaglia – è una delle direzioni verso cui andare per realizzare il nuovo modello”.  
 
Un modello che il Piemonte ha già sperimentato e introdotto da tempo, ha spiegato Bono, con risultati eccellenti che descrivono da soli importanza e ruolo della multidisciplinarità e dell’infermiere di famiglia. E Bono è andato oltre, in un terreno “che qualcuno strumentalizza per creare divario tra professionisti invece che coesione e multiprofessionalità: l’emergenza”. Bono ha sottolineato che quello attuale, quasi uguale in tutte le Regioni presenti all’incontro dove i risultati sono tangibili e i migliori possibili dal punto di vista degli effetti positivi sui cittadini, è un buon modello e funziona e per questo deve restare così com’è. Anche per l’ospedale, ha sottolineato ancora, il Piemonte ha sviluppato il primary nursing che si fonda sull’attribuzione, dall’ingresso alla dimissione, di uno o più pazienti a un infermiere: una presa in carico analoga tra ospedale e territorio.  
 
“Il massaggio è chiaro – ha detto Mangiacavalli -: i percorsi vanno disegnati insieme. Bisogna costruire processi, modelli, percorsi e progettazioni e chi si occupa di formazione deve dare un continuum a tutti i professionisti, perché management (più o meno complesso) e clinica (anche con le specializzazioni infermieristiche), non siano disgiunti e perché il percorso sia aderente al panorama epidemiologico e di salute in cui oggi e nei prossimi anni ci troviamo e ci troveremo”.

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