quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Giovedì 24 OTTOBRE 2019
Federalismo in sanità. Cittadinanzattiva-Tdm. “Un Paese unito dalle liste di attesa e frammentato su diritti e servizi”

È ancora poco trasparente la pubblicazione dei tempi di attesa sui portali delle Regioni. Il Piano nazionale della cronicità è assente in Basilicata, Campania, Sicilia e Sardegna. E al Sud non decollano gli equivalenti.Cittadinanzattiva chiede che cittadini e pazienti siano coinvolti in un percorso di partecipazione sulle proposte di autonomia differenziata. LA SINTESI DEL RAPPORTO

Liste di attesa male comune in tutto il territorio nazionale. Un Sud che arranca su screening oncologici e consumo di farmaci equivalenti. Quattro le Regioni che non hanno ancora adottato il Piano cronicità. Coperture vaccinali insufficienti, non solo al Sud.
 
È questa la fotografia del federalismo sanitario scattata dall’Osservatorio civico presentato oggi da Cittadinanzattiva- Tribunale per i diritti del malato.
 
“L’urgenza di combattere le disuguaglianze è ormai al centro del dibattito pubblico. Con l’eliminazione del superticket, prevista per il 2020, si compie un primo importante passo – ha dichiarato Anna Lisa Mandorino, vice segretaria generale di Cittadinanzattiva – occorre però far fronte alle disparità nell’esigibilità dei Lea con cui i cittadini devono fare i conti: per questo chiediamo, tra le altre cose, che si dia piena attuazione al Piano nazionale di Governo delle liste di attesa, attraverso un monitoraggio della sua applicazione, e che le organizzazioni civiche siano coinvolte nel Piano nazionale cronicità. Allo stesso tempo chiediamo che i cittadini e le organizzazioni di cittadini e pazienti siano coinvolti in un percorso di partecipazione sulle proposte di autonomia differenziata. Per mitigare i possibili effetti perversi dell’autonomia – ha aggiunto – andrebbe approvata la proposta di riforma costituzionale, lanciata da Cittadinanzattiva con la campagna #diffondilasalute, che intende integrare l’art.117 nella parte relativa alle materie di legislazione concorrente, per rafforzare e restituire centralità alla tutela del diritto alla salute del singolo cittadino”.
 
Aspettativa di vita, garanzia dei servizi e spesa sanitaria: le Regioni a confronto. Le regioni meridionali si collocano al di sotto della media nazionale (82,7 anni) rispetto alla speranza di vita alla nascita con 81,9 anni, mentre il settentrione si attesta sugli 83,2. Le regioni che mostrano una speranza di vita alla nascita più lunga sono il Trentino Alto Adige con 83,8 anni e il Veneto con 83,4 anni. Le regioni peggiori sono la Campania (81,1) e la Sicilia (81,6). Queste differenze emergono in modo più marcato se consideriamo la speranza di vita in buona salute. I cittadini nati in Calabria nel 2017 hanno una aspettativa di vita in buona salute di 9 anni e 1 mese inferiore a quelli nati in Emilia-Romagna e rispetto al Trentino Alto Adige addirittura di 15 anni inferiore.
 
Per quanto riguarda l’erogazione dei Lea, sulla base dei nuovi indicatori che sostituiranno la Griglia Lea a partire dal 1° gennaio 2020, sono nove le Regioni che li garantiscono: Piemonte, Lombardia, P.A. di Trento, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche.
La nostra spesa sanitaria pro capite, fissata a 2551 euro (dati 2017), mostra che spendiamo meno della media europea, oltre che di Germania, Olanda, Francia, Regno Unito e, quest’anno, anche di Malta. Nel 2017 (ultimo esercizio per il quale si dispone un quadro completo di fonte ISTAT) la spesa totale era pari a 154,5 miliardi di cui 117,2 pubblica e 37,3 privata. La quota di spesa a carico delle famiglie è stimata di peso superiore a quello della Germania, in linea con quella rilevata in Francia, inferiore al livello raggiunto in Spagna e Portogallo.
 
Liste d’attesa, la giungla delle differenze su tempi di attesa e trasparenza nelle varie regioni. Più di un cittadino su due, fra quelli che si rivolgono al nostro servizio di consulenza ed informazione PiT Salute, denuncia difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie a causa delle liste di attesa. Secondo un Rapporto presentato da Istat a novembre 2018, una percentuale non irrilevante di cittadini rinuncia alle cure per i lunghi tempi di attesa: ciò avviene soprattutto per le visite specialistiche. La percentuale più alta di rinuncia è al Sud e nelle isole (4,3% dei pazienti), mentre la percentuale più bassa si rileva nel Nord Est (2,2%).
 
Ancora poco trasparente la pubblicazione dei tempi di attesa sui portali delle Regioni: la Calabria non fornisce alcuna informazione; Campania, Sicilia ed Umbria rimandano ai siti web delle aziende sanitarie, senza fornire dati aggregati e comparabili; Abruzzo, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto e P.A. di Trento rendono disponibile solo l’archivio storico e la frequenza di aggiornamento dei dati è estremamente variabile; le rimanenti 9 regioni – Basilicata, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Piemonte, Toscana, Valle D’Aosta e P.A. di Bolzano – dispongono invece di portali interattivi.
 
In ambito oncologico, per un intervento per tumore al polmone si attendono circa 13 giorni in Basilicata, oltre 46 nelle Marche. Per un intervento di tumore alla mammella i tempi migliori si registrano in P.A Bolzano e in Calabria (18 giorni) mentre i tempi più lunghi sono in Sardegna (40,6). Per il tumore all’utero i tempi d’attesa variano tra i 16,2 giorni nella P.A di Bolzano e i 37,5 della Toscana. Per il tumore al colon retto, si va dai 14,4 giorni di attesa per l’intervento in Puglia ai 38,5 della Sardegna. Per il tumore alla prostata, la variabilità è ancora più marcata: dai 13,8 giorni di attesa in Molise agli 85,5 dell’Abruzzo.
 
Sbalordiscono le differenze tra tempi di accesso nel pubblico e in intramoenia per alcune prestazioni: ad esempio, in Sicilia per una colonscopia si attendono 157 giorni nel pubblico e 13 in intramoenia; in Liguria per una visita oculistica si va dai 58 giorni del canale pubblico agli 8 del canale intramurario; anche in Emilia Romagna per una gastroscopia si va dai 45 giorni nel pubblico ai 6 giorni in intramoenia.
 
Piano nazionale della cronicità, ancora assente in Basilicata, Campania, Sicilia e Sardegna. Una risposta alle esigenze di milioni di pazienti affetti da patologie croniche è arrivata dopo anni di battaglie e di richieste alle Istituzioni nel 2016, quando ha visto finalmente la luce il Piano nazionale della Cronicità (Pnc). Dopo l’approvazione in Conferenza Stato Regioni, il Piano ha iniziato il suo lento e travagliato percorso di applicazione nelle singole regioni. Ad oggi, a distanza di quasi tre anni, sono quattordici le regioni e due le province autonome che lo hanno approvato: Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Piemonte, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto, P.A. Bolzano e P.A. Trento. La Lombardia ha un suo Piano Regionale della Cronicità e Fragilità e successivi provvedimenti attuativi.
 
Coperture vaccinali. Sicilia indietro su copertura morbillo, Sardegna, Valle D’Aosta e P.A. di Bolzano su antinfluenzale. E l’Anagrafe informatizzata è ancora a macchia di leopardo
Su 16 Regioni analizzate, emerge che tutte sono dotate di un’Anagrafe informatizzata per i vaccini in età pediatrica, ma solo in poco più della metà dei casi copre l’intero territorio regionale. Nel 34% dei casi manca invece un’anagrafe informatizzata per le fasce di età adulto/anziano. E solo nel 14% dei casi i medici di medicina generale vi hanno accesso.
Sebbene si siano registrati incrementi generalizzati nelle percentuali di bambini che sono stati sottoposti alle vaccinazioni obbligatorie, l’immunità di gregge, con percentuali superiori al 95%, è stata raggiunta soltanto da Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Piemonte, Sardegna, Toscana ed Umbria. Tutte le altre sono al di sotto di tale percentuale, con punte negative nel Friuli Venezia Giulia (90,2%) e provincia autonoma di Bolzano (84,7%).
Per il vaccino contro morbillo, parotite e rosolia (MPR), soltanto il Lazio supera la soglia stabilita del 95%. Molto indietro la Sicilia che non arriva al 91%.
 
Rispetto al 2017, nel 2018 cresce di molto la copertura contro la varicella che passa dal 45,6% al 74,2%. Basilicata e Puglia vanno oltre il 91%, segue Veneto (89,6%) e Toscana (89,1%). Le regioni con meno copertura sono la Valle d’Aosta (37,9%), l’Umbria (42,9%) e il Piemonte (47,4%).
Nel 2017 calano invece, rispetto al 2016, le coperture HPV che arrivano al 64,3% per la prima dose (rispetto al 65% del 2016) e al 49,9% per il ciclo completo (53,1% nel 2016). I punteggi migliori si registrano in Umbria, Emilia Romagna e Molise, i peggiori in Sicilia, Calabria e provincia autonoma di Bolzano.
Per concludere, la copertura vaccinale antinfluenzale è ancora ovunque al di sotto della soglia raccomandata del 75%: le più virtuose sono Umbria, Calabria e Molise che superano il 60%; le meno virtuose P.A. di Bolzano (35,3%), Sardegna e Valle D’Aosta al 44%.
 
Adesione agli screening oncologici: parte del Sud ed isole ancora molto indietro. Sono cinque le Regioni che non raggiungono lo score (9) che definisce una regione adempiente rispetto ai Lea sull’adesione agli screening oncologici: Calabria (2), Campania e Sicilia (3), Puglia (4) e Sardegna (5). Migliorano Lazio, Molise, Puglia, P.A. di Trento. L’Umbria invece con due punti di score in meno registra un peggioramento, pur rimanendo nell’ambito di un punteggio adeguato.
L’adesione allo screening mammografico è più alto al Nord (83%), segue il Centro (79%), Sud ed Isole indietro (59%). Significative le differenze a livello regionale: in Campania aderisce appena il 48% delle donne, nella P.A. di Trento l’89%.
Per lo screening cervicale, si sottopone a quelli previsti dai programmi organizzati il 45% delle donne, mentre a quelli fuori programma il 34%. Significative anche qui le differenze regionali: per gli screening organizzati l’adesione in Calabria raggiunge il 60%, in Emilia Romagna si arriva al 90%.
La copertura per la diagnosi precoce dei tumori colorettali mostra una marcata differenza regionale e di area: si va dal 25% di adesione nel Sud, al 48% nel Centro e al 65% al Nord. Agli estremi la Puglia con il 12% e la P.A. di Trento con il 73%.
 
Farmaci: al Sud non decollano gli equivalenti. Cresce il consumo di farmaci equivalenti nella Provincia Autonoma di Trento, in Lombardia e in Emilia Romagna (la spesa sul totale di quella farmaceutica è rispettivamente pari al 42,7%, 38,9% e 36,6%); il consumo cresce, fra 2017 e 2018, anche nelle regioni del Sud che tuttavia resta ancora l’area con il minor utilizzo di farmaci equivalenti: la Calabria passa dal 15,8% al 19,8%, la Basilicata dal 16,6% al 20,1%, la Campania dal 17% al 21,3%.
La maggior spesa per i farmaci innovativi nell’anno 2018 si registra in Lombardia (251,3 milioni di euro), Campania (169,6 milioni di euro) e Lazio (169,3 milioni di euro). A livello di consumo di farmaci innovativi, in testa invece Campania, seguita da Lombardia e Lazio.
Lombardia e Campania sempre in testa per la spesa per farmaci innovativi oncologici e non oncologici, mentre Molise e Basilicata sono le regioni che spendono meno in entrambe le categorie.
Resta inutilizzata parte dei fondi destinati all’acquisto di innovativi non oncologici, si tratta di 151,2 mln di euro sui 500 mln stanziati; per gli innovativi oncologici invece nel 2018 sono stati spesi 113,8 mln di euro in più rispetto ai 500 mln stanziati.
 
Partecipazione civica in sanità, molto variegata e non sempre “effettiva”. Dodici Regioni hanno previsto un organismo stabile di partecipazione in sanità. Solo in Valle D’Aosta e P.A. di Trento lo stesso è composto unicamente da rappresentanti della società civile, mentre nelle restanti dieci ha una composizione mista. Tutte le normative regionali attribuiscono a tali organismi funzioni consultive e solo a volte propositive, mentre i pareri espressi sono a volte indicati come obbligatori ma mai vincolanti per il decisore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA