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Martedì 12 NOVEMBRE 2019
Troppa aggressività sui social. Noi psicologi, per primi, dovremmo fare qualcosa



Gentile direttore,
sento il dovere umano e professionale di esprimere pubblicamente la mia preoccupazione per gli esiti che la comunicazione “social” ha generato negli ultimi anni, con un’escalation di aggressività che spesso travalica i confini “virtuali” per concretarsi in azioni auto ed etero distruttive.
 
Noi tutti operatori della salute dovremmo seriamente, e congiuntamente, progettare interventi correttivi che, a partire da un’attenta analisi dei fenomeni sociali, possano invertire il trend negativo di benessere.
 
In tutti gli ambiti (politica; professioni; ecc.) sono messe in atto condotte divisive che enfatizzano le differenze e ignorano le analogie. Tali stili comportamentali generano costantemente ciò che in letteratura è definito “dolore sociale” (social pain) - la sofferenza causata dal sentirsi esclusi da reti/gruppi/categorie o attività sociali; rifiuto; bullismo; sarcasmo - e distress.
 
Il social pain e il distress, secondo le evidenze accertate da numerose ricerche di neuroscienze, in un’ottica biopsicosociale implicano un deterioramento della salute. In particolare, uno studio1 pubblicato nel 2015 evidenzia che la percezione di dolore sociale attiva aree che codificano le componenti somatosensoriali del dolore fisico (corteccia insulare posteriore e corteccia somatosensoriale secondaria) , anche se esperita indirettamente (empatia), con l’attivazione della corteccia cingolata subgenuale; con esiti, dunque, paragonabili a quelli prodotti dal dolore fisico cronico (azione inibitoria sul sistema immunitario; fluttuazioni dell’umore; ecc.). . Gli effetti del distress sono ben più noti: stanchezza cronica (fisica o mentale); problemi interpersonali e autoisolamento; rigidità muscolare; bruxismo; indebolimento del sistema immunitario; malattie cardiovascolari (ipertensione, tachicardia,extrasistole, infarto); genesi del cancro; malattie autoimmuni; asma; allergie; acnee psoriasi; cistite, uretrite, annessite e vaginite; disturbi del sonno; ecc.
 
Nella guerra del tutti contro tutti chi è maggiormente resiliente tenta di “allearsi”, per non sentirsi escluso, con coloro che via via percepisce più forti, inasprendo lo stile aggressivo e “urlato” per contrapporsi decisamente a chi per fragilità o spesso per scelta di precisi stili etici viene designato quale vittima della gogna mediatica e delle aggressioni.
 
Troppo spesso viene indicato vincente chi sceglie uno stile aggressivo (offese; volgarità, discriminazioni) agendo una continua ricerca di nemici da attaccare, giustificando tale condotta con l’esigenza di difendere se stesso e le proprie convinzioni.
 
È così che l’autoassoluzione per le azioni aggressive riscontra giustificazione sociale: il medico aggredito in pronto soccorso se l’è cercata con la sua tracotanza; l’insegnante percosso e/o offeso ha provocato l’insulto con la sua arroganza; il bambino bullizzato non è sveglio ed è troppo remissivo; la violenza di genere è determinata dal fatto che le donne minacciano con il loro desiderio di affermazione sociale e professionale la virilità e il potere maschile; le convinzioni politiche vanno difese con il sangue, naturalmente quello degli interlocutori.
 
Così si assiste passivamente, ma con sofferenza, al decremento della salute biopsicosociale, cui corrisponde un incremento di spesa sanitaria e legale.
 
Gentile direttore, quanto affermato non vuole costituire uno sterile sfogo, ma un appello a tutti gli operatori sanitari, in particolar modo ai colleghi psicologi, affinché si sentano sollecitati ad intervenire attivamente, prima con la personale testimonianza nel quotidiano e poi con la progettazione di azioni/interventi accuratamente definiti, nel contesto socioeconomico, al fine di contrastare la deriva di cui oggi siamo testimoni.
 
Dominella Quagliata
Presidente PLP Psicologi Liberi Professionisti
1G. Novembre, M. Zanon, G. Silani. Empathy for social exclusion involves the sensory-discriminative component of pain: a within-subject fMRI study, Social Cognitive and Affective Neuroscience, Vol. 10, n. 2, Feb 2015, Pag 153–164

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