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Mercoledì 13 NOVEMBRE 2019
Joker, il ‘cattivo’ apparente
Gentile Direttore,
qualche giorno addietro avevo scritto qualche parola a favore del ricorso alla follia per dare conto di molti comportamenti criminali e trasgressivi. L’avevo fatto a partire dai numerosi commenti critici sull’uso di questo ricorso in Joker, film che non avevo ancora visto e che sono subito corso a vedere.
Ho trovato Joker un film di rara, rarissima bellezza. Lascio da parte (malvolentieri) le debite lodi al regista sceneggiatore Todd Phillips, allo straordinario interprete Joaquin Phoenix nei panni del Joker-Arthur Fleck, a diversi altri interpreti (fra i quali un sempre rimarchevole De Niro), alla fotografia e alla colonna musicale. Il film, d’altronde, ha ottenuto il ‘Leone d’oro’ a Venezia, e qualche ragione ci sarà stata. Qui voglio soprattutto indicare cosa ci appare convincente del reo-folle Joker.
Arthur Fleck è un bambino adottato da una madre delirante, già ricoverata in un ospedale psichiatrico. Il piccolo Arthur non solo patisce la violenza di essere adottato da una madre molto disturbata, ma da piccolo viene sottoposto a molte altre violenze psicologiche e fisiche, dalla madre o con la connivenza della madre. Eppure cresce maturando un apparente e profondissimo amore nei confronti della donna, che si trova ad accudire, da solo, quando la donna invecchia. La donna, nel suo delirio, diviene convinta che Arthur sia il figlio che lei ha concepito con Thomas Wayne (la citazione del più famoso Wayne è azzeccatissima), il miliardario a casa del quale la donna è stata a servizio e che ora si sta candidando come sindaco di Gotham City.
Ad Arthur Fleck sono già state diagnosticate gravi turbe psichiche, per le quali è stato ricoverato in manicomio e che cura poi con ingenti dosi di psicofarmaci all’interno di uno scalcinato programma di assistenza socio-sanitaria, molto simile a quelli attualmente ‘garantiti’ dalle nostre parti: gli psicofarmaci non li paga e ogni tanto va a parlare con una assistente sociale che nemmeno l’ascolta. Nonostante le patenti e dolorose ferite psichiche, la madre, proprio per negare e scotomizzare la sofferenza del figlio, fino da ragazzino lo chiama Happy. Così Arthur cerca in ogni modo di diventare un clown, ma finisce per essere deriso dal mondo per l’inanità dei suoi sforzi. Continua a essere vittima di gratuite violenze, troppo facili a esercitarsi su una persona tanto fragile.
Non starò qui a descrivere gli epiloghi della vicenda, poiché il film merita di essere visto. Diremo però che Arthur-Joker, la cui mano viene armata da un “amico” cinico, improvvido e autolesivo, finisce per prendersi le sue rivincite contro tutti coloro che lo hanno trascurato e violentato, diventando sì un reo-folle, ma anche il paladino di tutti coloro che, all’interno di una società indifferente ed edonistica, non riescono a ‘tenere il passo’ (un passo, quello sì, davvero folle) e vengono quindi lasciati indietro e abbandonati alle loro delusioni (delusion, in inglese, vale anche per delirio).
Io credo che non ci sia bisogno di spiegare non solo perché il film è bellissimo, ma anche perché Joker ci restituisce, molto al di là del suo valore metaforico e morale, uno spaccato del mondo in cui viviamo. E’ la realtà, d’altronde, a ispirare costantemente la finzione, specie quando tale finzione è davvero artistica. E questa realtà è letta facilmente da tutti coloro che non si lasciano precludere lo sguardo da stolide e pregiudiziali cortine ideologiche.
Due notizie apprendiamo proprio oggi, martedì 12 novembre, a proposito di rei-folli. Nel carcere Lorusso e Cotugno di Torino (un carcere intitolato a due agenti della Polizia Penitenziaria vittime di terrorismo), un sessantacinquenne, affetto da “psicosi paranoide” e già in cura anche all’esterno presso i servizi di salute mentale, si è tolto ieri la vita. Era in carcere (in carcere!) dopo che lo scorso agosto aveva ucciso la moglie con una trentina di coltellate.
Nel carcere Mammagialla di Viterbo, dove già l’anno scorso due detenuti si erano tolti la vita, ieri un altro giovane ventiquattrenne si è impiccato. Era sudanese e, in carcere dallo scorso marzo, pare che avesse il fine pena nel 2020. La cronaca ci dice che soffriva di non lievi disturbi psichici.
Dr. Mario Iannucci
Psichiatra psicoanalista
Esperto di Salute Mentale applicata al Diritto
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